In Iran non è facile essere liberi. “La censura è ovunque”. A molti artisti, In Iran non gli è permesso cantare, cosa consentita per legge solo agli uomini e proibita invece alle donne. Per chi, ad esempio, è di religione bahayi, minoranza perseguitata nella Repubblica islamica. destino comune a molte altre etnie religiose che non seguono i dettami della Sharia islamica imposta dagli ayatollah. La storia dell’Iran, è l’esemplificazione di come ogni autocrazia fa uso di censura, strumento sgradito in tutti i campi dell’arte dove, invece, ad avere campo libero dovrebbe essere la libertà di esprimersi e di creare. Lo sanno bene numerosi artisti iraniani fuggiti dalla Repubblica islamica dell’Iran perché, chi più chi meno, si sentiva oppresso dalle regole imposte dal potere. Ne sanno qualcosa le centinaia di artisti e intellettuali rimasti in carcere nel grande Paese del Medioriente, uno su tutti il regista Jafar Panahi, ne sanno tutti quelli che ci sono passati, emigrando in altri Paesi del mondo per realizzarsi, nei quali sentendosi liberi hanno potuto anche integrarsi.
Tra questi anche la cineasta iraniana, emergente per il pubblico europeo: Zar Amir Ebrahimi. Oggi, l’attrice risiede in Francia, paese in cui nel 2022 ha ricevuto il Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes per la sua interpretazione nel film Holy Spider di Ali Abbasi. L’anno successivo, debutta anche alla regia, assieme a Guy Nattiv, con il film Tatami, del quale è anche protagonista. Dopo essere stato presentato alla scorsa mostra di Venezia, il film è pronto ad arrivare, in esclusiva dal resto del mondo, nelle nostre sale italiane, il 4 aprile. Scopriamo il rapporto tra l’attrice e il suo paese d’origine, al fine di evidenziarne le profonde lacune e mancanze e sostenere il movimento sociale e politico che da anni si sta facendo strada tra le vie del paese: Donna Vita Libertà.
Holy Spider, un affresco di un paese in bilico tra stato e religione
Holy Spider è un film intelligente, moderno nel linguaggio e contemporaneo nella messa in scena. Il film racconta di un paese, il quale governo è imbevuto del tessuto sociale delle strade nelle quali si aggira la convinzione di salvezza nella speranza di effettuare una pulizia etica. Ali Abbasi disamina il suo paese e ne fa un ritratto terrificante nel rappresentare la classe aristocratica completamente assuefatta dal potere e dalla supremazia nei confronti della donna. La sua protagonista è una giornalista che pretende la verità: la cerca, l’ambisce e per raggiungerla è disposta ad ogni cosa. Viceversa, il killer è disposto a tutto pur di liberare le strade di mashad da un male terreno, da lui considerato ancor peggiore: le prostitute.
Il regista molto intelligentemente mischia il film di genere con l’autorialità e dà vita ad un labirinto di perversioni di una classe sociale offuscata dall’odio e dall’invidia che culmina con l’assassinio di molte vittime. Abbasi spiega come il suo fil abbia avuto delle conseguenze e si sia tirato addosso diverse inamicizie, sin dalla sua presentazione al festival di Cannes: “Già a Cannes, abbiamo ottenuto il sigillo di disapprovazione: siamo traditori, blasfemi, il pacchetto completo. Il mio montatore ha ricevuto un ordine del tribunale e non è tornato in Iran. Uno dei miei assistenti è stato anche interrogato. Detto questo, si comportano in modo piuttosto goffo, e non è che al momento siamo in cima alla loro lista di priorità, ci dovrebbero essere circa 99 problemi prima di noi, direi”
Il film mostra la precarietà di un paese diviso a metà tra atti politici e religione, la quale è movente e giustificazione di tanti drammi. Queste ragioni conducono anche il governo a limitare l’espressione e la parola è fortemente etichettata ed additata. Così, sempre il regista del film risponde alla domanda relativa al suo rimpatrio a seguito di una critica audio visiva tanto dichiarata, quanto feroce: “Oggi non posso entrare in Iran. Quando non abbiamo ottenuto il permesso di girare in Iran, abbiamo optato per la Turchia, ma dopo la pressione iraniana, i turchi ci hanno buttato fuori. Abbiamo girato in Giordania, poi ci hanno ricontattati, chiedendo di vedere il film, “per evitare possibili conseguenze”. “Certamente”, ho detto, “siete i benvenuti se venite in Germania e lo vedete”. “È complicato”, hanno risposto, “non potremmo invece incontrarci e guardarlo in Turchia?”. “Sì, certo”, ho replicato, “così mi rapite nel frattempo? No grazie”.
Nella prima parte, il regista introduce l’Iran attraverso il Cinema di genere e inquadra un’azione nell’atto di compimento ed un’azione che interviene per far sì che l’azione maligna precedente venga effettuata. Questa cosa ha tutti i crismi necessari al cinema thriller per esprimersi e l’investigazione del caso, effettuata dalla protagonista: Zar Amir Ebrahimi, è necessaria a convincere lo spettatore che, una volta conclusa, il genere soddisfi lo spettatore, quando l’assassino è stato catturato.
La seconda parte invece, introduce la conseguenza a tale azione, la quale è a sua volta un’altra azione, cioè, quella politica. Abbasi disinnesca l’idea di soddisfazione scaturita dalla cattura e mostra che quest’ultima non è un punto di arrivo conclusivo, ma anzi è solo l’inizio di un’altra vicenda, la quale è ancora più efficace nel rappresentare le innumerevoli contraddizioni e spietatezze di un paese come l’Iran. Alla domanda sulla politica di Holy Spider, così ha risposto il regista: “Forse. Il mio lato stupido e fantasy sta riposando in questo momento. In generale, sono molto interessato agli eventi attuali. Essere nel bel mezzo di tutto rischia di farti perdere un po’ di distanza da un argomento, ma mi piace anche stare in mezzo alle cose. Non mi dispiacerebbe fare un film sul 2024 nel 2024, magari con una data di scadenza breve, ma nel momento, su un certo argomento politico”
Tatami, libertà e dignità
Tatami è un piccolo ma potentissimo film racchiuso all’interno del genere thriller. Il film alza la voce mentre divampa l’eterno conflitto tra Israele e Palestina, e ci ricorda così che, il cinema può rappresentare un’occasione di incontro, cooperazione, magari riconciliazione. In Tatami si parla dell’Iran, di come il governo autoritario stia impedendo ai propri cittadini di incontrare gli israeliani nell’ambito di eventi internazionali. Il film è un dramma che usa gli strumenti del film sportivo per raccontare una vicenda ad alto contenuto politico. Una storia verosimile e fortemente realistica che si dipana in un giorno, in una spirale di tensione crescente e costante, innescata dal conflitto di una giovane campionessa di judo iraniana, Leila, alla quale il regime al governo, le chiede di rinunciare all’incontro decisivo per il titolo, che la impegnerebbe in un combattimento con l’atleta che rappresenta Israele, nazione nemica, sfocia in una seria crisi diplomatica che mette a repentaglio la vita di diverse persone.
Guy Nattiv e Zar Amir, hanno girato in segreto nella capitale della Georgia, Tblisi, a due ore di distanza da Teheran e da Tel Aviv. “Lo judo è un’arte marziale che ha lo spirito dell’onore, dell’amicizia e soprattutto della resistenza, non sarebbe stato lo stesso film se avessimo scelto un altro sport da combattimento” Il bel bianco e nero, tanto definito quanto contrastato, acuisce l’intensità di Tatami, quasi scontornando la vicenda della cronaca per restituirla al cinema, così da farne racconto esemplare capace di trascendere le circostanze specifiche. E ne enfatizza la dimensione claustrofobica, la quale evoca un sentito senso di oppressione fisico ed emotivo.
“Il film contiene un messaggio importante”, spiega Ebrahimi, coinvolta anche come co-regista per il suo ruolo fondamentale nello sviluppo produttivo del film: “Nello sport, come nell’arte, non esistono confini né nemici. Guy e io abbiamo scoperto di avere un sacco di cose in comune. Prima della Rivoluzione, i nostri popoli ascoltavamo le stesse band musicali, vedevano gli stessi film”. “Abbiamo unito le forze per raccontare la storia di coraggiose atlete iraniane che mettono a repentaglio la propria vita per la libertà. Gli artisti israeliani e iraniani hanno trovato i loro fratelli e le loro sorelle incontrandosi nell’arte e hanno scoperto di essere in realtà molto vicini e di avere tantissime cose in comune, condividendo l’arte”.
Tatami è un film che dimostra come le cose stiano cambiando, come si evince dalla recente rivolta delle donne iraniane. Il film, infatti, pone le donne al centro della scena, anzi, del ring, e attraverso le loro azioni rivelare un coraggio che può essere d’ispirazione.
Gli atleti, come i registi e molti altri artisti e intellettuali, stanno cercando di spingere progressivamente più in là restrizioni e censure. La mentalità sta piano piano cambiando, convergendo sempre di più verso una tendenza progressista e finalmente libera. Attraverso l’allegoria di una presa di posizione, che intercetta lo sport come spazio in cui misurare gli equilibri diplomatici, le donne che devono sottostare agli ordini di nazioni che non meritano le loro imprese, le gare che non sono mai solo vicende personali ma hanno sempre una temperatura politica.
All’interno del film, è presente anche una prevaricazione di istintività da parte di generazioni contrastanti ideologicamente: da una parte c’è una narrazione più spettacolare incarnata dalla judoka, che riguarda il desiderio di vittoria. Leila, infatti, si mostra più tenace dell’allenatrice. Dall’altra, attraverso lo sguardo dell’allenatrice orgoglioso ma sempre più sotto pressione e dominata da un conflitto che ha radici profonde per via dei suoi trascorsi agonistici anch’essi costellati dalle stesse intimidazioni, dimostra che, le generazioni attuali, non solo sono mosse da grande animosità e vivacità tipica dell’età giovane, ma anche da profondo senso di giustizia e desiderio di libertà. Come accade nel film, il coraggio si trasmette e si alimenta da una generazione all’altra e in questi passaggi si rafforza e si spinge oltre, andando contro le ingerenze del potere e le imposizioni del regime. Così facendo, la tenacia delle giovani generazioni iraniane alimenta la resistenza di chi li ha precedute subendo, e produce una nuova forza rigenerante e salvifica che si spera porti ad una condizione di equilibrio.
Storie che devono essere conosciute da tutti
In un’intervista durante una presentazione europea di Holy Spider, venne chiesto al regista Ali Abbasi, cosa ne pensasse della situazione e del suo rapporto attuale con il suo paese d’origine. Alla domanda, il regista iraniano rispose così: “Il mio carattere mi rende il peggior diplomatico di sempre, il che in parte deriva dalle mie origini, un luogo di frustrante non trasparenza. Nessuno dice quello che pensa e tutti tergiversano. Per me la vita è troppo breve per questo, soprattutto quando si tratta di problemi evidenti e considerevoli. Quando affronti un problema del genere nel modo più diretto e semplice possibile, la regola numero uno è non mentire. Niente di tutta quella lettura tra le righe che permea la cultura iraniana”.
Oggi, più che mai è necessario scoprire le personalità di cineasti ed artisti come Zar Amir Ebrahimi o Ali Abbasi. Queste donne e questi uomini sono la testimonianza che il mondo può migliorarsi e come l’arte, nel suo piccolo, possa cambiare le cose ed influenzare le persone nel desiderio di voler correggere la rotta. La forza ed il coraggio che unendosi danno vita ad un legame indissolubile, come quello registico tra Zar e Guy Nattiv per Tatami: esempio dell’incontro tra due paesi, i quali desiderosi di raccontare il thriller che avvolge i loro stati e governi, si sono uniti sotto un unica bandiera, al fine di raccontare la verità, il cui valore è capace di andare contro le tendenze ed affrontare l’ottusità del prepotenti.
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