Lo studio del monomito applicato alla struttura narrativa dei film è una pratica consolidata da decenni, principalmente rivolta a personaggi maschili. Il primo testo sacro a riguardo è L’eroe dai mille volti (1949) di Joseph Campbell, studioso di mitologia comparata che, influenzato dal lavoro di Jung, sostiene che si possono rintracciare degli archetipi e delle fasi univoche in ogni mito. Cristopher Vogler – suo allievo, sceneggiatore per la Disney e la Fox e studioso di drammaturgia per il cinema – adatta lo studio del maestro alla narrazione cinematografica ne Il viaggio dell’eroe (1992) dove espone, nella prefazione alla seconda edizione, anche il problema del viaggio al femminile, spiegando che nonostante il percorso sia per entrambi i generi univoco “è evidente che essere donna impone cicli, ritmi e bisogni distinti”.
Egli termina il paragrafo proponendo delle letture per approfondire il viaggio al femminile, e tra queste inserisce Il Viaggio dell’eroina (1990) di Maureen Murdock, che studia un percorso accomunabile a quello maschile ma più doloroso e radicale. Nella struttura del cinema d’animazione statunitense il racconto iniziatico che segue il modello del viaggio eroico è quasi sempre presente, vediamolo proprio attraverso Il viaggio dell’Eroina teorizzato da Murdock.
Separazione del femminile e identificazione con il maschile
L’eroe è mosso dall’esigenza di scoprire la propria identità attraverso il passaggio da un mondo noto a uno sconosciuto che lo mette alla prova. Anche l’Eroina deve compiere questa ricerca, distaccandosi dalla figura materna e avvicinandosi e rispecchiandosi in quella paterna. Il viaggio dell’Eroina nella storia del cinema d’animazione statunitense può essere diviso in tre fasi. Quella delle origini (1937-1988), la fase più estesa, in cui l’Eroina è tendenzialmente passiva poiché compie la doppia scelta identitaria spinta da fattori esterni. In Biancaneve e i sette nani è la regina che porta l’Eroina a scappare, varcando la soglia dove incontrerà i setti nani che favoriranno l’identificazione maschile necessaria. In questa prima fase ci troviamo spesso di fronte a una figura materna negativa, che riveste il ruolo dell’antagonista: la regina in Biancaneve e i sette nani; la matrigna in Cenerentola e Malefica ne La bella addormentata nel bosco. La costruzione di un personaggio negativo rende più semplice e naturale il distacco dell’Eroina.
La seconda fase (1989-1997), quella della ricerca, è segnata da un’Eroina non soddisfatta del proprio mondo e desiderosa di avventure, il che la spinge al varco della soglia. Passiamo quindi da un’Eroina passiva a una attiva: Ariel ne La sirenetta entra nel mondo straordinario spinta dalla curiosità della vita sulla terra. Entrando nella terza fase, quella contemporanea (1998-2023), la separazione dal materno è altrettanto necessaria ma è resa con maggiore complessità grazie alla caratterizzazione del personaggio della madre buona: l’antesignano è riconducibile a Anastasia, la cui figura materna è incarnata da un’amorevole nonna, che è una delle principali figure guida per l’Eroina, passando per Mulan e arrivando a La principessa e il ranocchio, Ribelle – The Brave, Frozen, Oceania, Raya ed Encanto. Questi film rispettano profondamente la tesi che prevede una figura femminile attiva e guerriera: Mulan, non condividendo le tradizioni consolidate appartenenti al proprio genere, lotta per rompere questi schemi con l’obiettivo di riconoscersi nel proprio riflesso.
Scoprirà la sua natura identificandosi con la figura maschile del padre e vestendone letteralmente i panni di soldato. Ne La principessa e il ranocchio Tiana, bambina nera di umili origini, sogna assieme a suo padre di aprire un elegante ristorante sulla costa di New Orleans. Alla morte di lui, l’Eroina lavora instancabilmente per guadagnare il denaro che possa permetterle di aprire il locale, sacrificando la sua giovinezza.
La protagonista di Frozen II, Elsa, varca la soglia di una foresta, un forte simbolo femminile che rappresenta il lato pericoloso dell’inconscio, con la sua capacità di distruggere la ragione. Questo varco è una tipica allegoria della negazione di sé che l’eroina deve intraprendere come fase essenziale della propria crescita. Tradizionalmente l’eroe maschio entra nella foresta oscura per conoscere la spiritualità che non ha mai incontrato nel mondo ordinario, mentre l’eroina entra nella foresta magica per apprendere che quello è il suo regno – lo spazio femminile ereditato, nonostante lei non l’abbia mai esplorato poiché intrappolata nel mondo ordinario.
Nella foresta i sogni e l’ispirazione sono collegati al di sotto del livello di autocoscienza. Elsa lo scopre mentre si lega allo spirito del fuoco e lo spinge ad accettarla. Raggiungendo il fiume Ahtohallan, di ghiaccio come Elsa (e quindi un riflesso dei suoi stessi poteri), l’Eroina scopre il suo regno destinato. Se la foresta del nord era il luogo di potere, questo è il suo centro, una fortezza di ricordi perduti.
Sintetizzando, l’aspetto che differenzia fortemente le Eroine nella loro storia è relativo all’incidenza delle loro azioni sul mondo esterno e su quello interiore. Si passa dalla costruzione di un’Eroina passiva all’impavida Eroina contemporanea.
La strada delle prove e il dono illusorio del successo
Questo step corrisponde alla fase che Vogler indica come “Prove, Alleati, Nemici”: Ora l’eroe entra completamente nel misterioso ed eccitante mondo straordinario. Anche l’Eroina varca la soglia del mondo straordinario e incontra nemici che si sono consolidati in tre miti: il mito della dipendenza che porta la donna alla rinuncia di sé per l’appagamento dell’altro; il mito dell’inferiorità femminile, nel quale l’Eroina si disprezza sentendosi inferiore e valutando negativamente le proprie doti; infine il mito dell’amore romantico, nel quale la donna è in perenne attesa della figura maschile rappresentata dal padre o dall’amante che possa risolverle tutti i problemi.
Il mito della dipendenza è esplicitato chiaramente in Cenerentola che, come Biancaneve, viene privata della libertà da una figura materna malvagia, che la conduce a riconoscersi nel mito dell’inferiorità, che solitamente caratterizza pienamente anche l’Eroina contemporanea. La donna difficilmente riesce ad apprezzarsi come tale proprio perché le qualità femminili vengono denigrate dalla società alla quale ella appartiene. Mulan non riesce a trovare un senso alla propria vita e il fatto di non riconoscersi pienamente nel genere di appartenenza la spinge alla risoluzione del problema attraverso la scoperta di sé. Nel cinema d’animazione, soprattutto in quello anteriore agli anni ’90, il mito dell’amore romantico è costantemente presente, ma l’attesa perenne viene nella gran parte delle favole abbandonata anche se, ancora una volta, grazie all’intervento di un uomo.
Tuttavia, quando la trasformazione dell’Eroina avviene per davvero, solitamente è il risultato non solo di un intervento esterno, ma anche di una crescita faticosa e di uno sviluppo interiore, frutto di un lungo periodo di lavoro. Questo percorso nel mondo straordinario porta l’Eroina a superare i propri limiti, ma passando attraverso un ulteriore mito, quello di non essere mai abbastanza. Cenerentola riesce a trovare un abito adatto per il ballo, ma lo sforzo non è stato abbastanza ed esso le verrà lacerato mentre la ragazza lo veste. La donna per abbattere questo mito deve dirsi che è sufficiente ciò che fa, nonostante non riesca a fare tutto.
Discesa e riconnessione
Ci troviamo nella fase che corrisponde alla “Prova centrale” di Vogler nel quale l’eroe deve morire per poi rinascere. La morte per l’Eroina è rappresentata da uno step lacerante, ma necessario ai fini della riuscita del suo viaggio: il tradimento del padre, che ha come modello di riferimento in ambito narratologico il mito di Ifigenia.
In Rapunzel il tradimento (anche se illusorio) della figura maschile, incarnata da Eugene, riporta l’Eroina sui suoi passi facendole credere che la vita ideale corrisponde a una vita priva di emozioni, dedita solo alla sopravvivenza. Quando Mulan viene smascherata rischia di morire, il generale la risparmia ma l’abbandona sulla cima della montagna innevata.
Adesso l’Eroina è pronta ad affrontare l’ardua discesa verso la Dea. La discesa, di solito, inizia precipitosamente dopo una perdita importante che richiede un cambiamento. Esempi di perdita sono costituiti da quella di amici e amato in Mulan, quella di Naveen ne La principessa e il ranocchio, quella di Erik ne La sirenetta e quella del Principe Hans in Frozen. L’Eroina si sente svuotata, è come se tutto il percorso affrontato non l’avesse portata a nulla. In questo senso è significativa la scena sulla neve in Mulan in cui la ragazza si sente perduta e decide di tornare a casa a mani vuote, oppure quella in Lilli e vagabondo quando Lilli, scoperta la natura libertina di Biagio, lo caccia via.
Guarire le ferite
Cenerentola è ormai a terra, con la distruzione dei suoi vestiti perde ogni speranza fino a quando, in una delle scene più note del cinema d’animazione, non le si palesa davanti una fata (madrina, non a caso) che attraverso il suo aspetto formoso, materno (in contrasto con il portamento austero e i tratti spigolosi della matrigna) incarna la perfetta figura della madre buona offrendo a Cenerentola la possibilità di riscattare la sua femminilità e andare al ballo, consentendole la guarigione dalla separazione dal femminile. L’Eroina deve compiere un ultimo passo prima di risanare la ferita originaria, deve cucire la strappo con il maschile che, come spiega Murdock, non rappresenta un genere ma una vera e propria forza archetipica, allo stesso stadio del femminile. Questa forza si riscontra in entrambi i generi.
Attraverso il ricongiungimento di queste due forze l’Eroina ritrova la sua essenza e può tornare a casa avendo raggiunto la perfetta integrazione di maschile e femminile. Ritorna con l’Elisir. Tiana nel corso del suo viaggio si rende conto di non poter offrire la sua giovinezza, e in prospettiva la sua vita, al raggiungimento dell’obiettivo pragmatico incarnato nell’apertura del ristorante. Il percorso nel topos della laguna (che ha consentito la fondamentale riconnessione con la natura) a fianco del principe Naveen, la fa entrare in contatto profondo con se stessa, rendendola consapevole dell’errato schema di valori costruito nel tempo che l’aveva ingabbiata e rendendola pronta all’apertura del ristorante e alle nozze con Naveen.
Prossimi passi
Il prossimo passo che il cinema d’animazione mainstream dovrebbe compiere è sicuramente sul piano della rappresentazione della fisicità delle principesse. I loro corpi dovrebbero essere meno stereotipati e più attinenti alla realtà, inoltre andrebbe interrotto l’effetto della generalizzazione del volto abusato del bambino. Ogni principessa Disney, comprese Anna, Elsa, Raya e Mirabelle è ritratta con grandi occhi spalancati (più grandi dei polsi), sopracciglia alte, fronte ampia e viso levigatissimo senza alcuna imperfezione. Caratteristiche fisiche che ci rimandano immediatamente ai tratti delle bambine e che ci portano a delle inferenze specifiche relative alla psiche del personaggio. Attribuendo quindi a esso tratti come: la fragilità, la docilità e la mancanza di intuizione intellettuale. Per confermare il tema della prima canzone cantata da Anna e Olaf in Frozen II, uno dei film migliori della nuova Disney, sembra che tutto cambia, ma qualcosa non cambia mai. L’auspicio è che sia così ancora per poco.
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