“Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso“
Era il 1976, George Lucas stava ultimando quella folle scommessa chiamata Guerre Stellari che sarebbe poi uscita l’anno successivo, l’Italia vinceva la sua prima – e unica fino a a qualche settimane fa – Coppa Davis e Francesco Guccini pubblicava Via Paolo Fabbri 43, settimo album contenente L’avvelenata, da cui è tratta la citazione iniziale. Lo sappiamo, potrebbe essere straniante iniziare una recensione di Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco, nuovo blockbuster realizzato da Zack Snyder per Netflix, con un verso del cantautore italiano. Ma d’altronde si sta parlando di un film che fa delle citazioni le impalcature su cui provare ad ergersi.
E forse lo stesso Zack Snyder si riconoscerebbe senza difficoltà in queste parole di Guccini. La prima parte di Rebel Moon (la seconda arriverà ad aprile 2024) riesce infatti nell’arduo compito di prendere tutti i limiti della filmografia del regista americano e, invece di provare a contenerli se non a nasconderli, li porta in primo piano, rendendoli assoluti protagonisti dell’opera. Più che un atto di ribellione ci si trova dinanzi a una testardaggine talmente ambiziosa da sembrar quasi un’operazione di auto-sabotaggio. Ma facciamo un passo indietro.
Una (non) nuova proprietà intellettuale
Il progetto Rebel Moon nasce da un rifiuto. Nel 2013 Zack Snyder si recò dalla LucasFilm, da poco passata sotto Disney e ancora in cerca di una direzione da seguire. Il regista di Man of Steel propose, partendo da ispirazioni simili a quelle dello stesso Lucas, un “I sette samurai nello spazio”. Di fronte a un rifiuto decise di iniziare a costruire un proprio universo dentro il quale ambientare la storia di cui sopra. Dieci anni dopo, segnati dall’esperienza traumatica e paradossale legata al DCEU, Snyder ha trovato in Netflix qualcuno disposto ad assecondare la sua visione ed a finanziare il progetto. Creare una nuova Proprietà Intellettuale di questa portata potenziale è cosa coraggiosa e per questo molto rara, fattore di cui dobbiamo senza dubbio tener conto.
Nonostante di “nuovo” ci sia poi poco. Snyder saccheggia infatti dall’immaginario collettivo senza neanche mettersi il passamontagna. A livello narrativo Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco è a tutti gli effetti I sette samurai di Akira Kurosawa in salsa Star Wars come anticipato e questo non è – e non può essere – un problema. I dubbi sorgono là dove Snyder porta in scena le sue reference visive, che svariano su tutto il fronte della cultura pop degli ultimi decenni: dal franchise creato da Lucas ad Hunger Games, da Avatar ai videogiochi come Mass Effect fino al mondo manga, tutte quelle che vorrebbero essere citazioni diventano una riproposizione in scala 1:1 del frame o del dettaglio di riferimento.
Per fare un’esempio prendiamo la scena in cui uno dei protagonisti sta cercando di addomesticare una bestia alata, un momento che già richiama con forza Avatar. L’uomo d’un tratto è chiamato a compiere un salto da una sporgenza, in quel momento viene inquadrato in controluce, con sullo sfondo il sole, a ricreare in modo palese l’iconico simbolo di Nika uscito dalle pagine di One Piece. Una scelta talmente urlata che è come se ad un certo punto venisse proiettato nel cielo notturno il logo di Batman. Non si tratta più di approccio post-moderno e di citazioni ma di una sorta di collage, che Snyder prende dal suo archivio mnemonico da appassionato e piazza all’interno del film come singoli spot, proponendoli nel modo più volgare e ammiccante verso lo spettatore possibile.
Dei (non) personaggi in cerca d’autore
Sui riferimenti ad altre opere però si potrebbe pure soprassedere. Siamo abituati al cinema post-moderno da prima dell’invenzione della sua definizione e, per quanto Snyder lo intenda in modo più volgare e sfacciatamente fastidioso dei suoi predecessori, ce lo saremmo fatti andare bene anche in questo caso se ci fosse stato altro a cui aggrapparsi. Ma purtroppo di appigli non ne abbiamo trovati da nessuna parte. Rebel Moon non solo non riesce a trascinare lo spettatore nel suo “nuovo mondo” ma anzi, sembra quasi sbarrargli la strada con continue spiegazioni, flashback e avvenimenti passati. Come un videogioco in cui si aspetta il termine del prologo per poter finalmente affrontare l’avventura pad alla mano ma quel momento non arriva mai. Una barriera costruita soprattutto dalla gestione dei personaggi.
Tutti i protagonisti (tolto il buon villain) sono in pratica dei modelli. La loro unica utilità è di essere seguiti nella scoperta dell’ambientazione e di essere messi in posa per singoli shot d’effetto. Una gestione simile a quella usata nel suo lavoro in DC. In quel caso però i personaggi possedevano, grazie ala lunga storia editoriale, un passato auto-esplicativo e Snyder poteva lavorare al processo di deificazione per immagini senza preoccuparsi del resto. In Rebel Moon non sappiamo nulla di loro e anzi, in quanto ribelli venuti più o meno dal basso, questa costante ricerca dell’idolatria estetica stona e non poco. Il risultato sono dei (non) personaggi di cui non ci importa assolutamente nulla e con cui è impossibile empatizzare in qualche modo.
L’avvelenato auto-sabotaggio
L’altro grande, se non enorme, problema di Rebel Moon è la gestione del ritmo. Perché un’opera con così tanti difetti avrebbe potuto fare il giro e diventare quantomeno divertente. Invece l’incedere del film viene con costanza frammentato da Snyder, con rallentamenti forzati che appesantiscono la visione. Non innova, non affascina, non appassiona, non diverte. La prima parte di Rebel Moon è un atto estremista di Zack Snyder che, appoggiandosi alle sue ossessioni, partorisce un film che sembra provenire dai meandri dei primi 2000. Quello che potrebbe sembrare un atto ribelle fin dal titolo, come d’altronde fu L’avvelenata di Guccini, diventa invece un’opera innocua, lontana dai sentimenti e dai gusti comuni del pubblico di oggi.
E il fatto che questo risultato derivi da un’operazione in cui Snyder ha avuto totale carta bianca, con addirittura la possibilità di uscire con un film diviso in due parti, toglie dal campo ogni possibile scusa. L’annuncio arrivato in queste ore della presenza di una Snyder’s cut anche per questo Rebel Moon rende il tutto ancor più grottesco. Il re è nudo e attorno a lui non si trovano altri colpevoli. La voglia di imporre la propria visione, dimostratasi fuori dal tempo nel senso peggiore del termine, si è materializzata in un luccicante e avvelenato auto-sabotaggio. Ma sempre per tornare alla citazione iniziale, siamo certi che potendo tornare indietro Zack Snyder farebbe lo stesso film. E qui, forse, risiede il fascino di Rebel Moon e del suo autore.
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La recensione in breve
Rebel Moon - Parte 1: Figlia del fuoco è la prima metà dell'ambizioso progetto di Zack Snyder prodotto da Netflix. Un film che cerca di creare un universo narrativo ispirandosi a quanto Lucas già aveva fatto con Star Wars. Quel che traspare però è un'opera in cui il proprio autore, pur di portare avanti la sua ostentata visione, cade in un enorme e avvelenato auto-sabotaggio.
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Voto Screenworld