C’è una serie degli anni Novanta che parla di amore, crescita, delusioni, che fa ridere ma anche scendere qualche lacrimuccia. No, non stiamo parlando di Friends ma di Strangers in Paradise, fumetto cult scritto e disegnato da Terry Moore a partire dal 1993, guarda caso un anno prima rispetto all’inizio della celebre sitcom con Jennifer Aniston.
Conclusosi nel 2007 (senza considerare il dimenticabile revival del 2018) circa tre anni dopo Friends, SiP non è mai diventato parte della cultura pop mainstream come la serie tv, restando in una sorta di nicchia custodita gelosamente dai fan di vecchia data e nuovi appassionati.
Ma se al momento della sua uscita Strangers in Paradise aveva contribuito a riportare in vita il fumetto indipendente (i primi volumi furono pubblicati dalla Antarctic Press e successivamente dalla Abstract Studio fondata dallo stesso Moore) rivolgendosi a un target molto ampio, alla vigilia dei suoi trent’anni quest’opera ha ancora molto da dire. Così, che la conosciate o meno, questa potrebbe essere l’occasione giusta per leggere o rileggere le disavventure di Katchoo, Francine, David e tutti gli indimenticabili personaggi che Moore ha intriso di inchiostro e anima.
Ecco qualche buon motivo per approcciare il fumetto, che in Italia è edito da BAO Publishing in 6 volumi.
È una storia d’amore
C’è chi adora le rom-com e chi mente. Ecco, in questo senso Strangers in Paradise è in grado di mettere d’accordo tutti intrecciando una storia semplice ma complessa, in cui, a partire da tre personaggi principali, si apre un vero e proprio mondo costruito nei minimi dettagli. Lo stesso che l’autore ha inserito in quello che ha definito il “Terryverso”.
Come nelle migliori storie d’amore tutto inizia con un triangolo: Katchoo, Francine e David. Katchoo, artista tormentata e dal passato sordido ama da sempre Francine la quale, però, sogna un matrimonio tradizionale e dei figli. Infine c’è David, vecchia conoscenza di Katchoo, innamorato pazzo di lei. Una premessa spiritosa il cui tono scanzonato presto evolve per accompagnarci nella crescita dei protagonisti, esplorandone paure, debolezze, speranze, desideri e segreti inconfessabili.
Se infatti SiP sembra iniziare come una sorta di sit-com a fumetti presto appare chiaro che l’intento di Moore non è quello di raccontarci delle situazioni in cui dei tipi umani si muovono, ma il contrario. Il trio di protagonisti e tutti gli innumerevoli personaggi che popolano la narrazione sono azione, per citare Fitzgerald, evolvono costantemente e ci fanno riflettere in modo intelligente su cosa sia davvero l’amore, ma anche sulla mutevolezza o l’immutabilità dei sentimenti e, di conseguenza, sulla loro contraddittorietà.
Neil Gaiman, uno scrittore che non ha bisogno di presentazioni, ha detto a proposito della serie di Moore: “Quello che la maggior parte delle persone non sa riguardo amore, sesso e relazioni interpersonali riempirebbe un libro. Strangers in Paradise è quel libro”.
È femminista e queer
Oggi può apparire scontato scegliere come perni della narrazione personaggi femminili liberi dalle convenzioni sociali, ma in un momento storico culturale in cui l’attenzione per certe tematiche non era all’ordine del giorno la decisione di Terry Moore non fu solo coraggiosa ma soprattutto innovativa.
Non è strettamente necessario apporre delle etichette ma SiP è senza dubbio un fumetto femminista per il solo fatto di aver presentato al pubblico due protagoniste, Katchoo e Francine, che andavano totalmente contro i cliché delle storie d’amore di trent’anni fa; non solo per come venivano caratterizzate ma anche per il rapporto che, via via, si delinea tra loro. Un’amicizia sì, ma anche un amore che, per lungo tempo, entrambe vivono in modo diverso a causa della loro divergente visione della vita.
Opposte e complementari, non solo nei tratti caratteriali ma anche in quelli della china, le ragazze non rispondono a nessuno stereotipo femminile. Libere, disinibite, ma anche confuse e col cuore a pezzi, Francine e Katchoo sono donne moderne che affrontano la propria vita navigando tra successi e delusioni, facendoci riflettere su quanto coraggio ci voglia per essere noi stessi fino in fondo.
È anche un thriller
È possibile cambiare tono in una narrazione senza che il tutto risulti posticcio e sgradevole? Ebbene sì. Strangers in Paradise è anche questo, dal momento che Terry Moore scelse, a ragione, di conferire alla tormentata Katchoo un background di stampo malavitoso. Una scelta che, oltre ad aprire una quantità notevole di sotto trame (ma non temete, la sceneggiatura è una botte di ferro) dà all’autore la possibilità di caratterizzare molto bene non solo il rapporto di amicizia (forse-qualcosa-di-più) tra Katchoo e Francine ma anche il personaggio di David, giovane e sensibile studente d’arte.
Vecchia conoscenza di Katchoo, David è il fratello di Darcy Parker, sanguinaria boss della mafia nippo-americana, nonché ex capo e amante della ragazza. Custode di un segreto e innamorato di Katchoo, David è un personaggio maschile unico nel suo genere in quanto emblema di enormi dubbi morali e sentimentali; il tutto senza mai sfuggire a quella doppiezza che caratterizza praticamente tutti i personaggi della serie. Come se Terry Moore volesse insistere sul fatto che, in fondo, è impossibile descrivere l’essenza di ognuno di noi. Ecco perché David rappresenta un po’ il cuore e l’anima noir di Strangers in Paradise.
Le tavole di Terry Moore sono delle opere d’arte
Come abbiamo detto in apertura Terry Moore ha concepito il mondo in cui si muovono i suoi personaggi in modo molto preciso. La narrazione è ricca di dettagli concettuali e visivi che saltano subito all’occhio leggendo i volumi e che rendono la lettura di SiP un’esperienza particolarmente immersiva.
Dalle pagine fittamente scritte a mo’ di diario o di report dell’FBI, a quelle che presentano le partiture di canzoni di Griffin Silver (un personaggio che comparirà a un certo punto della narrazione), fino alla creazione di un vero e proprio romanzo d’appendice Molly & Poo, le tavole di Strangers in Paradise sorprendono per la capacità di confonderci e stupirci; un po’ come i dettagliatissimi dipinti di Alphonse Mucha, a cui Moore si è dichiaratamente ispirato.
Uno stile sì eterogeneo ma che si sposa perfettamente con la storia e che contribuisce a rendere SiP quello che è: un viaggio sincero, talvolta spaventoso, alla scoperta di noi stessi ma che parla, sempre e comunque, d’amore.