Il romanzo più riuscito e più sottilmente inquietante di Thomas Savage non poteva non solleticare la fantasia di una regista attenta ai sentimenti come Jane Campion. Come sottolinea la recensione de Il potere del cane, in questa occasione la regista neozelandese si avventura in un territorio per lei inesplorato, il western. Al di là dell’ambientazione machista, Il potere del cane tocca temi come l’accettazione di sé, l’integrazione del diverso, i legami familiari, l’onestà e l’integrità. Sotto la superficie, però, cova un’inquietudine che si traduce in un sottile senso di disagio volutamente provocato nello spettatore. Questa inquietudine è la cifra stilistica di un film che usa lo schermo del genere per raccontare famiglie disfunzionali e relazioni malate.
Il potere del cane ruota attorno a Benedict Cumberbatch, pronto a mettersi alla prova con un personaggio che esula dalla sua comfort zone. Il suo Phil Burbank è un cowboy ruvido, sprezzante, logorroico e crudele. Un ranchero arricchito di intelligenza e cultura non comuni che rifiuta di lavarsi e guida il ranch più vasto del Montana con piglio deciso. Sarà il cattivo comportamento di Phil a determinare la catalisi della vicenda, ma in apertura e chiusura del film il punto di vista dello spettatore aderisce a quello di un altro personaggio, l’efebico Peter (Kodi Smit-McPhee), figlio della bella vedova Rose (Kirsten Dunst) di cui si invaghisce il fratello di Phil, George (Jesse Plemons). Il matrimonio di George e Rose minerà il rapporto tra i due fratelli antitetici alimentando un dramma familiare a tinte fosche.
Il potere del cane (2021)
Genere: Drammatico/Western
Durata: 126 minuti
Uscita: 17 novembre 2021 (Cinema); 1 dicembre 2021 (Netflix)
Cast: Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee
Che silenzio nelle praterie
Jane Champion, nella duplice veste di regista e sceneggiatrice, sfronda il romanzo di Thomas Savage di tutte le parti esplicative aprendo il film in medias res e catapultando lo spettatore nelle polverose praterie del Montana del 1925. La regista, che mancava all’appello nel panorama cinematografico da 12 anni, torna alla ribalta grazie all’intervento di Netflix con una pellicola oscura e disturbante, che chiede allo spettatore un surplus di sforzo per aderire in qualche modo al punto di vista di personaggi che fanno poco o niente per permetterci di entrare in empatia con loro.
La regista opera per ellissi demandando l’avanzamento della storia alle interpretazioni degli attori. A fronte dei silenzi di figure come George e Peter, anche il nostalgico chiacchiericcio di Phil si interrompe nei momenti in cui l’uomo viene sollecitato a esprimere i suoi veri sentimenti. Non servono certo parole per intuire che il sentimento prevalente nel personaggio di Benedict Cumberbatch è il disprezzo. Disprezzo verso la fragile Rose e quel suo figlio effeminato, o magari disprezzo verso sé stesso. Sta di fatto che, come richiesto ai veri uomini del West, non vi è spazio per confessioni e chiarimenti. Sta al pubblico leggere tra le righe. Con una simile tecnica, ma con finezza assai maggiore, Jane Campion aveva già affrontato temi come sessualità repressa, tabù e desiderio viscerale in Lezioni di piano. Seppur non privo di motivi di interesse, Il potere del cane non riesce, però, a toccare le stesse vette.
Lo sguardo di Jane Campion sul maschile
Per permettere alla vicenda di evolversi, Jane Campion si concede ritmi dilatati e sequenze di ampio respiro. A differenza di tanti colleghi, la cineasta neozelandese non sembra affascinata dai suggestivi paesaggi del Montana e dalla sua natura lussureggiante (in realtà si tratta della Nuova Zelanda fotografata con perizia da Ari Wegner). Ogni singola inquadratura è studiata per alimentare la tensione che serpeggia sottotraccia e anche i momenti più puri, come il picnic improvvisato di Rose e George, sono viziati dall’attesa per le piccole e grandi tragedie che si consumeranno nelle scene successive. L’emblema di questa cifra stilistica è Kodi Smit-McPhee. L’andatura dinoccolata del suo Peter, la sua voce suadente, ma distante, l’impossibilità di leggere quali pensieri si celino dietro il suo sguardo vitreo veicolano un carico di non detto che provoca inquietudine a ogni sua apparizione. Il tutto sottolineato con maestria dalla colonna sonora di Jonny Grenwood, che stavolta rinuncia all’elettronica a favore di note basse di chitarra e archi carichi di dolore.
Anche nella struttura narrativa Il potere del cane si affida alla capacità di decodificazione del pubblico. Se il legame fraterno tra George e Phil si traduce nella gelosia e nel desiderio di possesso di quest’ultimo che si sente spodestato dall’arrivo di Rose, in una dinamica emotiva palese, c’è tutto un sottotesto legato al passato dei personaggi di Phil e Rose che Jane Campion decide di non esplicitare. La regista si limita a spargere qualche riferimento qua e là conservando un alone di mistero dove il romanzo di Thomas Savage si produceva, invece, in dettagliate descrizioni delle loro personalità. La stessa meccanica degli eventi che preludono al finale viene descritta in modo poco chiaro, lasciando buona parte degli spettatori a chiedersi cosa sia realmente accaduto. D’altronde, con Il potere del cane Jane Campion si misura per la prima volta con il punto di vista maschile che, nella sua rilettura, appare oscuro, contorto e fallace. Se non è una dichiarazione di femminismo questa…
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Conclusioni
Con Il potere del cane, Jane Campion si avventura nell'esplorazione dell'universo western adottando, per la prima volta, un punto di maschile. Il risultato è un'opera complessa e disturbante che chiede un notevole sforzo al ricco cast di interpreti.
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Voto ScreenWorld