Flashdance non è tratto da una storia vera, anche se la trama del film è ispirata a quella di Maureen Marder, una donna che, come la protagonista del film, lavorava di giorno in una ditta di costruzioni, per poi di notte vestire i panni di una ballerina in un night club. Nonostante ci fosse stato un accordo sui diritti della propria storia, Marder ha poi citato in giudizio i realizzatori del film per riconoscersi una percentuale sugli incassi. Ma andiamo con ordine.
Negli anni Ottanta, Maureen Marder conduceva questo doppio lavoro, perché sognava di diventare una ballerina e iscriversi in una prestigiosa accademia di danza. Mentre di giorno era occupata in un’azienda di costruzioni, la notte lavorava in uno strip club canadese, a Toronto, di nome Gimlets. Una storia molto simile a quella della protagonista del film interpretata da Jennifer Beals. La storia personale della donna fu d’ispirazione allo sceneggiatore Tom Hedley che la propose alla Paramount Pictures. Marder firmò la concessione ai diritti di rappresentare la sua storia sullo schermo per una cifra una tantum di 2300 dollari. Ma Flashdance, film di Adrian Lyne che non venne ben accolto dalla critica, si dimostrò presto un film cult amato dal pubblico (complice anche la colonna sonora di Giorgio Moroder), incassando oltre 200 milioni di dollari.
Marder denunciò i realizzatori, ma nel 2006 perse la battaglia legale. Come riportato da CBS News, la Corte d’Appello di San Francisco affermò, infatti, che per quanto la proporzione tra pagamento e incassi del film non fosse particolarmente equa, non ci sono prove che Marder abbia firmato un documento attraverso “frode, inganno, travisamento, costrizione o influenza indebita“, sottolineando anche come al momento della firma, la donna avesse con sé il suo avvocato.
Marder denunciò nel 2003 anche Jennifer Lopez e Sony a causa del videoclip della canzone I’m Glad che riproponeva alcune sequenze del film di Lyne. Secondo Marder le erano dovuti dei riconoscimenti economici a causa del diritto d’autore. Considerato come un omaggio al film, più che alla donna, anche in quel caso Marder perse la causa, ma la Sony pagò un contratto di licenza alla Paramount.