Logan Roy lo aveva detto già ad inizio stagione, quando eravamo appena all’episodio due di questa quarta e ultima stagione di Succession: “Vi amo, ma non siete persone serie“. Anzi, a pensarci bene, era stata proprio l’ultima cosa che aveva detto a tutti suoi figli riuniti. E per una volta non si trattava semplicemente dell’ennesima cattiveria di un padre che non si è mai fatto problemi nel ferire e distruggere i figli per il proprio tornaconto. No, in quell’occasione il personaggio magistralmente interpretato da Brian Cox era stato soltanto sincero, e aveva voluto avvertire tanto i figli quanto noi spettatori di quello che avremmo potuto aspettarci una volta che lui non ci fosse stato più.
In un certo senso, ci stava raccontando l’essenza stessa della serie, ovvero di come una successione diretta al trono da parte dei figli non sarebbe stata di fatto possibile. E che la linea ereditaria dei Roy si sarebbe spezzata con lui, con la sua morte. Morte che è arrivata, scioccante, già nell’episodio immediatamente successivo, lasciandoci così con altri sette magistrali puntate con cui illuderci che finalmente la successione che ci era stata a lungo promessa ci sarebbe stata. Ma è in questo splendido finale di Succession, un’ora e mezza di pura perfezione, che risuonano ancora più forti nella nostra testa quelle parole al vetriolo: Kendall, Roman e Shiv non sono persone serie. Perché, quando si ritrovano insieme e dovrebbero farsi forza l’uno con l’altro, diventano nuovamente bambini, preda di gelosie, invidie, risentimenti e giochi infantili. Uniti solamente da quello che il padre ha insegnato loro: ferire e umiliare, fare sempre e comunque i propri interessi, e non permettere mai che qualcun altro possa vincere al di fuori di te, nemmeno un fratello. O un figlio, come ben sappiamo.
Divide et impera
In quattro stagioni, di alleanze ne abbiamo viste tante, al punto che un paio di volte abbiamo addirittura sperato che andassero in porto: non perché facessimo il tifo per l’uno o per l’altro, ma proprio perché una parte di noi non voleva prendere posizione e desiderava che tutti e tre i figli potessero in qualche modo farcela, e riscattarsi da quella vita sì agiata e privilegiata, ma vissuta costantemente all’ombra di un padre orco. E se è vero che, come già detto, i tre protagonisti non sono forse mai stati delle persone serie agli occhi di Logan, loro stessi si ritenevano tali, e si prendevano profondamente sul serio. Tanto da fare la guerra al padre, farsi la guerra tra loro, fare la guerra addirittura ad un magnate come Lukas Matsson, colui che Logan aveva invece trovato e scelto come via d’uscita per la sua azienda e la sua famiglia.
Kendall per primo ci ha creduto. Fin da piccolissimo, scopriamo, da quando aveva sette anni e il padre gliel’aveva inculcato nella testa. Poi ci ha creduto Shiv, plagiata dal genitore desideroso di alleati contro il figlio ribelle. E infine Roman, il più fedele, il più disinteressato al potere, colui che l’avrebbe fatto solo per rendere orgoglioso Logan. Tutti e tre ci hanno creduto, e tutti e tre sono stati costretti a giocare ad un gioco più grande di loro. Prima dal padre, poi da Mattson. Non sono mai stati protagonisti del gioco, ma sempre e solo delle marionette.
Non c’è mai stato un momento, in tutta la serie, in cui qualcuno abbia voluto che i tre fratelli fossero uniti, con uno scopo comune: c’è sempre stato qualcuno che ha provato a dividerli, qualcuno che ha “disinnescato la bomba”. Perché questo aveva sempre fatto Logan, fin da quando erano piccoli. E non è un caso che, prima di questo finale, praticamente quasi solo nella (magnifica) sigla tutti gli eredi sono insieme, felici, uniti dall’affetto paterno. Con l’altra eccezione dello scioccante finale della stagione tre, in cui Logan sembrava essere in scacco ma un doppio, terribile, tradimento li aveva fermati: prima Tom, il marito di Shiv, e poi addirittura la loro stessa madre.
Un pasto degno di un re, ma non di una regina
In quest’ultima ora e mezza in cui succede davvero di tutto, invece, Kendall, Roman e Shiv tornano ad essere uniti come nella sigla. Tornano ad essere fratelli prima ancora che soci in affari. Tornano a ritrovare quell’unione familiare che da tempo mancava, e lo fanno proprio a casa della madre, con uno scherzo talmente infantile da non essere degno di persone serie. Eppure, insieme sono semplicemente imbattibili, e adesso lo sanno anche loro: ma ancora una volta, vengono divisi, perché ci può essere un solo re. Un re, non una regina. E quindi Kendall, non Shiv. Così come per Mattson il re poteva essere Tom, ma non Shiv. Dopo tante lotte, dopo tanto sforzo, nulla è cambiato: la sorella più intelligente, la più arguta, la più potente deve ancora una volta stare a guardare e basta. Semplicemente perché donna, perché incinta, perché desiderabile. E all’idea di dover rinunciare un’altra volta a tutto questo, al vedere, ancora una volta, il fratello maggiore così tronfio e pieno di sé per una vittoria che non è nemmeno realmente sua, Shiv decide di far perdere tutti, e di accontentarsi della vittoria dell’uomo che solo il giorno prima l’aveva rifiutata. E di portare avanti la successione non in modo diretto, ma indiretto: attraverso il figlio che ha in grembo. Da donna moderna e forte che è sempre stata, in pochi minuti Shiv si trasforma in un personaggio d’altri tempi, una donna di un’altra epoca. E nella limousine del marito, che potrebbe benissimo essere anche una carrozza, mestamente stringe la mano al consorte e si congeda.
Giocare sporco, o non giocare affatto
C’era una volta un serie HBO – qualcuno di sicuro la ricorderà – che diceva “Quando si gioca al gioco del trono, o si vince o si muore“. In questo Succession non è poi molto differente. Shiv fa la sua partita, rischia di soccombere, e solo all’ultimo momento tradisce il fratello e l’amor proprio per l’illusione di una mezza vittoria che forse nemmeno lei riesce a considerare tale. Roman invece, come già altre volte in passato, quando “il gioco si fa duro” sceglie di farsi da parte. E infatti la sua ultima immagine è quella di una persona felice di essersi tolta un gigantesco peso: il peso della responsabilità, ma anche e soprattutto lo sguardo severo del padre, dei fratelli, perfino degli altri dirigenti con cui non vuole nemmeno incrociare lo sguardo. Roman è felice e pronto ad abbracciare una vita che ha sempre cercato e non gli è mai stata realmente permessa. Una vita al di fuori della Waystar RoyCo.
Chi invece ha perso davvero tutto è Kendall, che vaga per la città con lo sguardo spento, seguito attentamente da quello che fu l’autista e bodyguard del padre. Kendall ha fallito ancora una volta e ha fallito nello stesso identico modo in cui lo aveva fatto nella prima stagione, tanto che nelle ultime scene ci sembra di essere tornati indietro di anni. Anni in cui Ken ci ha provato in tutti i modo e ha commesso ogni possibile errore: ha peccato di superbia, più e più volte; ha tradito tutti coloro che aveva vicino; ha causato la morte di un uomo (e poi ha rinnegato anche il suo stesso pentimento). E la sua condanna sembra essere quella di continuare a vivere sempre lo stesso incubo: arrivare vicinissimo a quella che è sempre stata la sua ossessione, per poi vedersi strappare lo scettro all’ultimo momento. È indubbio perfino se questa volta riuscirà a riprendersi, a ritrovare quella forza e quell’energia che l’ha comunque sempre contraddistinto: questa sconfitta potrebbe essere quella fatale, il gioco del trono potrebbe aver avuto davvero la meglio su di lui. E se da una parte ci verrebbe da provare pena, come già tante altre volte prima, nella nostra testa risuona l’ultima frase che gli dice la sorella, fin troppo familiare: “ti voglio bene, ma non ti sopporto“. Una frase durissima, che in quel contesto è praticamente una coltellata, ma che non possiamo non comprendere, perché Kendall così convinto di vincere la votazione davanti agli altri soci era francamente insopportabile. E certamente non una persona seria, e non un re. Semmai, come gli ricorda il fratello, “non è niente”.
Succession e quel finale che sa di capolavoro
Chi è che vince davvero, quindi? Mattson ottiene quello che vuole, certo. Ma soprattutto vince Tom che serio non lo sembra per nulla – lo sappiamo bene dai suoi continui e irresistibili siparietti con il “giuda” Greg – ma che ha sempre preso molto sul serio il suo ruolo di arrampicatore sociale, tanto da anteporlo a qualsiasi cosa, anche a quella moglie che all’inizio sinceramente amava. Vince l’uomo che non si è mai lasciato dividere da Logan, ma anzi è stato sempre al suo fianco, anche quando ha esalato il suo ultimo respiro o quando veniva deriso e umiliato. Vince colui che non si è fatto mai nessuno scrupolo, sapendo perfettamente che tutto quello che tanto bramava dipendeva da questo. Tom, costantemente sul filo del rasoio, è stato l’unico a capire che non si trattava di un gioco, ma di vita o di morte. Ed è per questo che, nonostante le apparenze, è sempre stato terribilmente serio.
Ma a vincere è soprattutto la HBO che, ancora una volta, fa un centro perfetto e continua ad aggiungere un altro capolavoro alla lunga lista di titoli che hanno fatto la storia delle serie TV. Succession già nelle stagioni precedenti si era dimostrata eccelsa, ma è con questa quarta stagione che ha mostrato davvero i muscoli: a partire dalla scelta, coraggiosa, di uccidere subito il suo personaggio più iconico e rappresentativo; per poi proseguire con quella, perfetta, di raccontarci solo ed esclusivamente i postumi di quella perdita, giorno dopo giorno, indugiando su ogni aspetto e conseguenza di quel colpo di scena.
E ovviamente l’ha fatto con quelle qualità che da sempre hanno contraddistinto la serie di Jesse Armstrong: sceneggiature perfette, regia impeccabile (qualcuno faccia una statua a Mark Mylod!) e una serie di interpreti a dir poco sensazionali: Brian Cox, Jeremy Strong, Sarah Snook, Kieran Culkin e Matthew Macfadyen sono nient’altro che perfetti ed è anche grazie a loro che non dimenticheremo mai i fantastici personaggi che interpretano.
Così come non dimenticheremo mai le meravigliose note di Nicholas Britell a cui giustamente viene affidato un finale dove non servono più i dialoghi: bastano gli sguardi di questi fantastici attori e la colonna sonora a dirci addio. Anche se un vero addio in realtà non è, perché Succession ce la porteremo sempre con noi, come per tutte le altre serie che non possiamo che considerare tra le migliori di sempre.
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