Marco Bellocchio sembra inarrestabile. Il regista 83enne sembra star vivendo una vera e propria seconda giovinezza, che l’ha portato nel giro di pochi anni a realizzare opere che, non abbiamo timore di dire, sono già diventate delle perle assolute in una filmografia ormai sessantennale. Tre anni fa il regista presentava al Festival di Cannes uno dei suoi film recenti più amati, Il traditore, per poi tornare l’anno scorso con un’opera corale immensa come Esterno Notte (presentata Fuori Concorso); questa volta, invece, ritorna In Concorso con un film decisamente più piccolo e intimo, tratto da una storia vera.
Come vedremo nella nostra recensione di Rapito, il nuovo film di Marco Bellocchio racconta la storia di un bambino ebreo di Bologna che viene rapito dai soldati pontifici, nel 1858, e che verrà cresciuto successivamente secondo il credo cattolico, a Roma. Un soggetto che, per chi conosce il percorso del regista, conferma l’interesse di Bellocchio per le storie che riguardano la fede interiore e la volontà della Chiesa, il potere che si scontra con l’identità del singolo. Ma il film tratto dal libro di Daniele Scalise, pur dimostrando un fuoco ribelle che l’autore de I pugni in tasca e Nel nome del padre continua ad avere, sembra mancare più di qualche occasione.
Rapito
Genere: Drammatico
Durata: 125 minuti
Uscita: 23 maggio 2023 (Cannes); 25 maggio 2023 (Cinema)
Cast: Enea Sala, Fausto Russo Alesi, Barbara Ronchi, Leonardo Maltese, Paolo Pierobon, Fabrizio Gifuni
Storia di un rapimento
Rapito, lo dice il titolo: il film di Marco Bellocchio racconta la storia di un rapimento, che sarebbe troppo banale descrivere solo dal punto di vista fisico. Il rapimento di Edgardo corrisponde, invece, più a un furto identitario che coinvolge anche il suo credo religioso. Non è solo il distacco, che diverrà sempre più insostenibile, tra il figlio e i genitori, ma un vero e proprio sopruso da parte del Papa. In questo Bellocchio è molto critico, come ci si poteva aspettare, nei confronti della Chiesa e nella maniera in cui influenza e determina fratture nell’animo umano (per quanto legata, la famiglia Mortara subirà un conflitto interno tra i genitori e tra fratelli).
È la parte migliore del film e il vero interesse da parte del regista nei confronti di questa storia, che però non riesce, specialmente nel finale, a colpire duramente quanto dovrebbe.
L’estetica contro la storia
Soprattutto nella prima metà, Rapito è un film che vede un Bellocchio muoversi in una dimensione a lui congeniale. Rispetto alle precedenti ultime opere, la mano del regista si fa più classica, meno di rottura rispetto all’accessibilità de Il Traditore o, meglio ancora, di Esterno Notte. Si ritrova, invece, lo stile più autoriale e diretto, quasi di altro tempo, di film come La balia o Bella addormentata che non sempre coinvolge lo spettatore (soprattutto all’inizio del film il montaggio dei dialoghi risulta meccanico e sin troppo statico). La vera sorpresa, invece, è ritrovare un Bellocchio molto attento all’estetica delle immagini. L’arrivo del piccolo Edgardo a Roma è un esempio: la città eterna, capitale in cui vive il Papa Re, appare dipinta di arancio e rosso, come fosse un inferno sulla Terra. O ancora, la maniera in cui la luce penetra dalle vetrate della chiesa oppure la luce lunare che dipinge una Bologna notturna sono momenti che colpiscono lo sguardo e l’attenzione.
Dove Bellocchio si trova meno a suo agio è nell’atto finale, dove il tormento interiore della conversione lascia spazio alla pura cronaca delle vicende, anche un po’ frettolosa, senza riuscire a donare un vero e proprio climax emotivo alla vicenda. Anzi, la sensazione peggiore è quella di non aver sfruttato al meglio molti degli elementi mostrati in precedenza (sia oggetti che comportamenti da parte dei personaggi che sembrano avere una rilevanza per poi venire dimenticati) per poter colpire al meglio lo spettatore. Non mancano le scene d’impatto, dove Bellocchio, con una visione laica, riesce a sorprendere attraverso la sua forza ribelle.
Un cast di valore
Forse il meno riuscito atto finale del film, che coincide con la crescita di Edgardo, è dovuto anche a un Leonardo Maltese che sembra faticare a reggere il peso emotivo della vicenda, proprio quando ne avrebbe più bisogno. Se Paolo Pierobon dimostra un vero talento nell’impersonare Pio IX, variando tra la sicurezza di essere potente e la paura dell’essere un uomo, è Enea Sala che sorprende sin dalle prime apparizioni. Il piccolo attore colpisce con una credibilità unica, grazie alla capacità di raccontare molto con uno sguardo e ritagliandosi alcune sequenze di fortissimo impatto (è il caso di un incontro con la madre, che inizia sommesso per poi diventare una cacofonia di disperazione e grida).
Seppur più marginali, non si possono non citare Fabrizio Gifuni (nei panni di Monsignor Feletti, capace di ergersi in poche scene in cui è presente) e Barbara Ronchi, nei panni della madre di Edgardo. Spicca per intensità, consapevole di essere il cuore umano del film. Peccato che la sceneggiatura non riesca ad affondare il colpo quanto dovrebbe.
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La recensione in breve
Rapito è puro Marco Bellocchio, che ancora una volta offre il suo sguardo ribelle e laico in una vicenda dove il conflitto tra credo e identità è centrale. Nonostante un'ottima messa in scena, molto attenta all'estetica delle immagini, e un cast di valore, il film manca di affondare il colpo emotivo nel terzo atto.
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Voto ScreenWorld