Un film è un’opera audiovisiva. Significa che si deve vedere e si deve sentire.
Cioè creare un legame: empatico, emotivo, di comprensione, verso ciò che viene proiettato di fronte a noi. Non si può che rimanere colpiti, quando nel corso di una proiezione ci si rende conto che sì, lentamente stiamo entrando nel mondo di quei personaggi e, soprattutto, stiamo sentendo qualcosa. Il nuovo film di Hirokazu Kore-eda, a un anno di distanza dal precedente Broker – Le buone stelle, è l’ennesima opera di valore di un regista che sa come unire cinema e spettatori in un lungo e caloroso abbraccio, facendo riscoprire quel piacere della visione e del sentimento che – tradiamo una punta di cinico romanticismo – troviamo sempre più complicato trovare dentro le storie.
Come vedremo nella nostra recensione di Monster, il film presentato in concorso al Festival di Cannes 2023 è un’opera che si svela poco a poco. Gioca con i generi e le aspettative del pubblico, mette in scena una sceneggiatura basata su diversi punti di vista che, legandosi tra loro nel corso della visione, regalano una visione d’insieme alla vicenda, costruisce un mistero per poi risolverlo con una trasformazione tematica e tonale.
Perché se il cinema è vedere allora l’atto più genuino e allo stesso tempo provocatorio è quello di cambiare il proprio punto di vista. E se il cinema è sentire, allora vale la pena lasciar trasparire le emozioni durante i titoli di coda.
Monster
Genere: Drammatico
Durata: 126 minuti
Uscita: 17 maggio 2023 (Cannes 2023)
Cast: Sakura Ando, Yuko Tanaka, Soya Kurokawa, Eita Nagayama
La trama: chi è il vero mostro?
Inizia con una notte illuminata da un cielo arancione, la vicenda di Monster. Una vicenda che verrà raccontata in tre atti, secondo tre diverse prospettive. Un palazzo della città è in fiamme e i pompieri si precipitano per spegnere l’incendio. È in questo clima di fuoco che partono le vicende che riguarderanno la madre di un ragazzino di quinta elementare, il professore di lui e lo stesso ragazzino. Monster inizia con un mistero: da qualche giorno il giovane Minato si sta comportando in modo strano quando ritorna da scuola. È taciturno, più solitario e ha strani segni sul corpo. Sembra che stia subendo una serie di comportamenti violenti da parte del professore, storia che la madre, protettiva nei suoi confronti, intende portare alla luce.
In questo contesto, la storia di Minato s’inserisce e s’interseca con la storia del professore, accusato di essere violento nei confronti dello studente e che vedrà la sua vita cambiata per sempre, la storia della direttrice della scuola (il cui marito è in prigione per aver ucciso il figlio) e la storia di un compagno di classe di Minato, all’apparenza sempre felice e contento. La stessa storia che muta visione e significato, perché la verità (come insegna un altro celebre film giapponese diretto da Akira Kurosawa intitolato Rashomon) è sempre definita da chi la racconta e chi la vive.
Così come la definizione di mostro, all’apparenza così semplice, racchiude in sé diverse sfumature, facendoci domandare, sequenza dopo sequenza, chi è il vero mostro. Sono le altre persone che ci definiscono mostri? Oppure siamo noi stessi a ritenerci tali? In questo complesso gioco di incastri (complesso perché molte cose vengono solamente intuite e mai davvero spiegate), dove la sceneggiatura di Yuji Sakamoto funziona a dovere è nello stimolo continuo a mettere in discussione le proprie certezze sulla linea interpretativa dell’opera.
Due protagonisti favolosi
Al di là della scrittura e della messa in scena, oltre il talento registico di Kore-eda che ancora una volta si dimostra, soprattutto nei confini in cui è più a suo agio, un vero maestro di delicatezza e poesia, non si può fare a meno di sottolineare l’importanza del cast scelto e, nella fattispecie, dei due più giovani protagonisti. Se Soya Kurokawa regge alla grande molto del peso del film, è quando fa coppia con Hinata Hiiragi che Monster inizia davvero a brillare, regalando un’esperienza cinematografica ricca di emozione.
Con i loro 13 e 11 anni, i due ragazzini rubano la scena a qualsiasi adulto presente nel corso del lungometraggio (anzi, proprio il personaggio del professore interpretato da Eita Nagayama risulta, a conti fatti, il meno riuscito e il meno memorabile), creando una complicità su schermo da lasciare a bocca aperta. Il loro rapporto, raccontato a dovere nel terzo splendido atto – capace di salvare un film che non sempre sembrava a fuoco, e che si concluderà con l’acqua, elemento opposto simbolo di un nuovo battesimo e di una rinascita, della purezza e dell’indefinito – sconvolge per naturalezza nella recitazione e intensità. In questo caso, ci perdonerete il gioco di parole, ci troviamo di fronte a veri e propri mostri di bravura.
L’incertezza dell’essere delicati
Non tutto funziona al meglio nella struttura narrativa di Monster. La cornice da thriller che, soprattutto nella prima metà è preponderante, prima di lasciare spazio e tempo a un film totalmente diverso, costringe la narrazione a disgressioni quasi abbozzate e leggermente fuori fuoco rispetto al cuore dell’opera.
Ma se di cuore dobbiamo parlare, allora non si può prescindere dal raccontare come il film di Kore-eda, proprio nel suo incedere incerto, che corrisponde al legame tra i due protagonisti e all’incapacità da parte degli adulti di affrontare nella maniera più corretta la situazione, trova la sua forza più commovente. Nell’inespressa capacità di dare vocaboli ai sentimenti, nella purezza e nell’innocenza degli sguardi, delle corse e dei giochi, Kore-eda riesce a raccontare un’infanzia tinta di malinconia e la complessità di sentimenti così viscerali da non poter essere spiegati.
Allo stesso modo, arrivati ai titoli di coda, mentre le luci della sala si accendono come risvegliandoci da una dimensione che appartiene ai ricordi (grazie anche alla splendida colonna sonora di Ryūichi Sakamoto, a cui il film è dedicato), non possiamo fare a meno che ricordare una delle scene più belle del film. Dove, proprio quella delicata incertezza di dare nomi ai sentimenti, viene affrontata con l’azione di soffiare aria dai polmoni per suonare uno strumento a fiato. Allo stesso modo, Monster risulta imperfetto, informale, sfuggente, ma anche essenziale e percepibile come l’aria. Che magari non si vede, ma sicuramente si sente.
E cosa importa, quindi, se la nota è un po’ stonata, se si soffia con quest’emozione?
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!
La recensione in breve
Monster probabilmente non è il miglior film di Kore-eda e risulta anche imperfetto (soprattutto nella parte centrale), ma non si può non rimanere colpiti dai due giovanissimi protagonisti e dall'emozionante terzo atto, in cui tutto il talento visivo e cinematografico del regista giapponese esplode, lasciando lo spettatore inebriato. Nel voto tradiamo un pizzico di entusiasmo, ma - come accade al film - preferiamo godere di questo soffio caldo, capace di scaldarci emotivamente.
-
Voto ScreenWorld