Forse a Darren Aronofsky piace parecchio Fabrizio De Andrè. Perché se è vero che “dai diamanti non nasce niente, ma dal letame nascono i fiori”, al regista newyorkese piace parecchio sguazzare nel lercio. E scavare alla ricerca di qualcosa di bello che fiorisce in mezzo a tutto quel sudiciume. Nelle vite sporche di uomini costretti a sudare pur di guadagnarsi un riscatto.
È successo almeno due volte con The Wrestler e The Whale, due film che sembrano fratelli gemelli eterozigoti. Film che si parlano e si somigliano tanto: negli intenti, nel tatto e nel desiderio di rispolverare due attori e due uomini caduti in disgrazia. Randy (il combattente di The Wrestler) e Charlie (il professore di The Whale) reggono insieme il cinema più autentico firmato Aronofsky. Quello che si sporca con i dolori della vita, quello più asciutto e sincero. Quello che non ha bisogno di voli pindarici e sforzi biblici per emozionare a suon di ferite aperte. Ecco come mai guardando The Whale abbiamo pensato così tanto a The Wrestler. L’odore del letame è lo stesso.
Rottami da recuperare
Vecchie glorie disperse in mare. O meglio, gloriosi relitti finiti negli abissi. Così erano Mickey Rourke e Brendan Fraser. Storie diverse, carriere diverse con un grande punto di contatto: la caduta. Dalla gloria accecante di Hollywood al dimenticatoio, la parabola di due ex sex symbol è la stessa. Da una parte un antidivo come Rourke, il bello e maledetto che ha segnato gli anni Ottanta con un paio di ruoli cult. Dall’altra la mascolinità ironica e guascona di Fraser, diventato iconico grazie al suo Rick O’Connell de La Mummia. Ovvero l’Indiana Jones di una generazione intera. Per entrambi il successo è stato un fuoco fatuo spento da un inesorabile declino.
E qui entra in gioco Aronofsky, che come un appassionato archeologo ha rispolverato due vecchie stelle arrugginite. Lo ha fatto giocando con la cultura dello spettatore (cosa in cui il cinema americano è maestro) e la percezione delle due star nell’immaginario collettivo. Ecco allora la persona che coincide con il personaggio. Forse è per questo che Randy e Charlie sembrano così veri. Perché nascono dalla realtà. Dalle ceneri di Mickey e Brendan, portati a nuova vita dal cinema più sincero e schietto di Darren Aronofsky.
Il corpo come gabbia
Il tempo passato nell’oblio di sente tutto. Si vede tutto. In The Wrestler e in The Whale il corpo parla da solo perché porta addosso i segni del logorio e del dolore. Sono drammi psicosomatici in cui l’aspetto dei protagonisti racconta il loro stato d’animo. Sono corpi imbolsiti, scalfiti, trascurati, gonfi di rimpianti. In The Wrestler Rourke veste i panni di un ex lottatore costretto al ritiro dopo un infarto. Il suo aspetto è trasandato, il suo corpo ancora muscoloso, ma appannato dai tanti acciacchi. Il volto di Randy è una maschera tumefatta (proprio come quella di Rourke stesso), ferita come la sua anima in pena.
Stesso discorso per Charlie, il professore di The Whale. Costretto sul divano di casa sua, immobile, obeso e oppresso dai sensi di colpa. In entrambi i film i personaggi sono costretti al dolore fisico. Faticano a muoversi, a portarsi dietro quel corpo così messo male. Avvertiamo la fatica, vediamo il sudore, la saliva e il sangue. Aronofosky ci fa percepire il corpo come gabbia di leoni stanchi, ma che hanno un’ultima battaglia da vincere.
Il senso dei padri
Per Randy potrebbe sembrare un ultimo incontro da portare a casa. Per Charlie potrebbe essere alzarsi finalmente dal divano e uscire. E invece no. L’ultima battaglia da vincere in The Wrestler e in The Whale è la stessa: tornare padri. In entrambi i film Aronofsky siamo messi nei panni di due genitori soli e solitari, ma intenzionati a riallacciare i rapporti ormai logori con le proprie figlie. Sono amori sfilacciati, trascurati, pieni di rabbia e pentimenti. Sono padri e figli lontani ma identici nella fragilità e nei sentimenti tenuti repressi e taciuti per tanto, troppo tempo. Eppure, in mezzo a tanta fatica, entrambi i protagonisti sembrano avere un ultimo desiderio da chiedere alla vita. Riavvicinarsi alle figlie è l’unica via per la redenzione, e non è un caso che è proprio nelle sequenze padre-figlia che Aronofsky si addentri nel cuore dei personaggi. È al fianco di Ewan Rachel Wood e Sadie Sink che Rourke e Fraser tirano fuori tutta la dolcezza ferita di questi uomini che trovano nella paternità il loro ultimo appiglio. Il senso definitivo dello stare al mondo. Due uomini che non riescono più a vivere il presente, ma cercano del buono negli occhi delle proprie eredità.
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