Quando Maurizio De Giovanni aveva fatto intendere la necessità di chiudere la parabola narrativa del commissario Ricciardi con gli eventi drammatici legati alla morte della sua dolce Enrica e la nascita della piccola Marta, i fan più accaniti e appassionati hanno tremato. In effetti, la “scomparsa” di un personaggio così longevo rappresenta una sorta di vera mancanza. Un vuoto emotivo condiviso, ad esempio, da chi ha seguito, passo dopo passo, la lunga evoluzione di un altro storico commissario come Montalbano.
In effetti con Il pianto dell’alba, dodicesimo romanzo, sembra che la vita di Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte, non debba essere raccontata ulteriormente. Lo strappo emotivo e sentimentale causato dalla tragica fine della donna amata, infatti, mettono in sospensione qualsiasi tipo di risvolto narrativo. Come se non bastasse, poi, questo dolore immenso va a sommarsi alla naturale malinconia che il commissario sostiene da sempre sulle sue spalle. Con precisione da quando, molto piccolo, ha scoperto di aver ereditato da sua madre non solo il colore degli occhi ma, soprattutto, la capacità di scorgere i defunti nell’ultimo atto della loro vita.
Considerato tutto questo, però, i lettori meritavano una sorta di appello. Un capitolo successivo che facesse procedere la storia personale di Ricciardi in avanti. Così, affiancato dall’amore eterno per Enrica e dal rimpianto inconsolabile di averla persa, quest’uomo silenzioso ha ripreso il suo cammino tra i vicoli di una Napoli anni trenta. Non è un caso, dunque, che il nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni s’intitoli proprio Caminito. Un titolo che trae ispirazione da un tango del 1926, le cui parole sono state scritte da Gabino Coria Penaloza, spinto a trasporre in versi i sentimenti per la donna amata che, come la canzone stessa cita, “da quando se ne andò non è più tornata”. Quale direzione, dunque, è destinato a seguire il cammino del Commissario Ricciardi? Proviamo a scoprirlo attraverso la recensione di Caminito di Maurizio De Giovanni, edito da Einaudi.
La complessità dell’animo e la semplicità della narrazione
Cos’è che definisce un autore rispetto ad un semplice narratore? Sicuramente lo stile personale. La capacità di utilizzare il lessico e l’architettura stessa della lingua per costruire un insieme, una sorta di struttura portante distinguibile al primo sguardo. E questo è proprio quello che accade quando si apre un romanzo di De Giovanni. Fin dalle prime frasi, infatti, si ha netta la sensazione di avvicinarsi ad uno dei suoi diversi universi. Perché, per essere precisi, la sua mente è abitata da molti mondi che, pur proiettandosi tutti nella struttura culturale e sociale di Napoli, hanno la capacità di raccontarla in epoche e atmosfere lontane tra loro.
Questo vuol dire che, in qualche modo, cambia anche il tipo di linguaggio utilizzato. Nonostante ciò, però, la letteratura di De Giovanni ha il tocco inconfondibile di una profondità espressa sempre attraverso una narrazione semplice, essenziale. In questo modo il lettore non fatica mai ad entrare nel contesto narrativo ma, attraverso poco parole, viene immediatamente trainato all’interno di una nuova avventura. Uno stile che risalta particolarmente quando De Giovanni si confronta con Ricciardi ed il suo contesto.
Senza mai cadere nella tentazione di una ricostruzione minuziosa, infatti, l’autore si concentra sul suo personaggio. Ne scandaglia l’animo. Lo guarda con un’onestà che sarebbe impossibile a chiunque altro. Un compito, questo, non sempre facile perché la tristezza che vena il suo animo riesce ad essere accattivante e seducente contro ogni previsione. Questa vicinanza, però, è necessaria per entrare in connessione e conoscere alla perfezione ciò che è necessario raccontare.
Perché un altro elemento che caratterizza lo stile di De Giovanni legato alle vicende di Ricciardi, è l’essenzialità. Tra le sue pagine non si rintraccia nulla che non sia fondamentale conoscere o condividere. E questo non riguarda necessariamente la soluzione del caso. Piuttosto ogni singolo elemento ha lo scopo di aggiungere un tassello all’interno della complessa personalità di Ricciardi che, a modo suo, va a definire il mondo che lo circonda. Perché se De Giovanni mette a disposizione la sua voce, è proprio il malinconico personaggio a sussurrare le parole giuste all’orecchio del suo autore.
Il mondo di Ricciardi
La trama del romanzo inizia cinque anni dopo la morte di Enrica. Ricciardi è piombato in una sorta di limbo esistenziale da cui fuoriesce solo quotidianamente per il suo lavoro e per amore di quella figlia adorata, riflesso perfetto della madre. A tutto questo si aggiunge la presenza emotiva ed affettiva della moglie che non lo abbandona mai e che, in modo costante, gli chiede: “Mi ami ancora?”. Ricciardi non la vede ma la sente, la percepisce e con lei continua quel rapporto di amorosi sensi impossibile da interrompere. Per tutti questi motivi, dunque, nonostante la sua condizione emotiva gli faccia sentire ben altro, il commissario non rientra in quel disperato insieme di umanità che non ha nulla da perdere.
Piuttosto, accompagnato dal fedele e granitico brigadiere Maione, attraversa la loro esistenza con il tocco lieve che gli è consono. Li guarda con gli occhi chiari venati di tristezza e, grazie a questo sentimento con cui convive da sempre, riesce a mettersi in connessione diretta con loro. Rispetto a quanto narrato in passato, dunque, Ricciardi dovrebbe trovarsi sull’orlo del baratro ma, in realtà, gli è stato offerta una seconda possibilità. L’elemento essenziale è sempre l’amore.
Questa volta, però, si tratta di quello della piccola Marta che diventa riflesso di quello provato da Enrica. In lei il commissario non trova speranza ma ragione stessa di vita. La stessa che, rispetto al passato, lo rende quasi più placato, meno tormentato e maggiormente consapevole dei passi da compiere. Un’evoluzione, dunque, che fa già intendere un futuro di interessanti risvolti. Perché se è vero che Marta non ha ereditato il gravoso “dono” di suo padre, riesce comunque ad ascoltare chi non ha voce. Ma tutto questo, probabilmente, lo scopriremo in seguito.
Anime senza speranze, il ritratto di una città
Non è possibile parlare delle avventure di Ricciardi senza considerare una protagonista che, fin dalle prime parole, ha sempre avuto un ruolo essenziale nella struttura della lunga storia narrata. Si tratta di Napoli, ovviamente. Rispetto al passato, però, il lasso di tempo intercorso dall’ultimo Il pianto dell’alba, ci proietta attraverso una situazione completamente diversa. Gli anni Trenta, infatti, sono arrivati e con questi anche le leggi razziali, l’oppressione del fascismo e lo spettro della guerra. In apparenza, però, tutto sembra procedere verso il futuro. Nuovi fabbricati, architetture avveniristiche, passeggiate affollate sul lungomare Caracciolo, luci e bar brulicanti di persone eleganti.
Questa è la facciata. O, almeno, la realtà di chi non ha compreso il divenire. De Giovanni, infatti, si concentra con maggior attenzione su un altro aspetto della città. Sui quartieri periferici, nei locali isolati, nel cuore di giardini isolati dove una coppia può anche morire per essersi amata. Una realtà di anime perdute, di chi sente di non aver più nulla da perdere e di chi si lascia accecare dalla sua stessa ossessione di lotta. Questa è la realtà che, attraverso lo sguardo dolente di Ricciardi e, soprattutto, l’umanità al suo interno, viene raccontata.
Una narrazione che non è mai stata didascalica e che, in quest’ultimo capitolo lo è ancor meno. Al posto di descrizione dettagliate, date o fatti cronologicamente riportati, De Giovanni lascia che a parlare sia la miseria, economica e culturale, la paura, la rabbia e la perdita di lucidità. Tutti sentimenti che tratteggiano con una precisione dolorosa non solo la città ma, soprattutto, una condizione mentale brutale che, in pochi anni, sarebbe solo peggiorata. In questo senso, dunque, i romanzi del Commissario Ricciardi possono essere letti anche come una sorta di viaggio emotivo nell’evoluzione sociale di un luogo. Un percorso dal quale ci si allontana col cuore pesante ma con il desiderio di ritornare a percorrere quel caminito il prima possibile.
E voi cosa ne pensate di questo? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo la recensione insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!