Già in passato abbiamo affrontato il tema del fantasy, indagando sui motivi per cui non dovrebbe essere relegato a una condizione di letteratura di serie B. Abbiamo sondato i motivi per cui è così difficile riconoscere a letteratura di genere il “titolo” di narrativa e questi motivi si inaspriscono ancora di più quando si ha a che fare con il fantasy italiano.
Se ci fermassimo a domandarci come sta il fantasy made in Italy all’alba del 2023 la risposta non sarebbe così consolatoria come ci piacerebbe pensare. Il fantasy, in Italia, è messo male in generale. Se poi ci si concentra sul fantasy scritto da autrici e autori italiani, la situazione si fa disperata.
Secondo i dati Nielsen, solo il 7% delle vendite del fantasy, sia per volume che per valore, porta una firma italiana e in genere il fantasy vende soprattutto grazie alla presenza di “top player”: autori che negli anni si sono ritagliati una piccola fetta di mercato e continuano a portare sulle proprie spalle il peso di un genere quasi nella sua interezza.
Se è Made in Italy non piace
È inutile girarci intorno. Il grande problema che il fantasy italiano deve affrontare è quello legato a un pregiudizio così radicato nella cultura del Bel Paese che appare impossibile da scalfire: l’italiano medio non reputa i suoi compatrioti capaci di scrivere un fantasy degno di nota.
Viviamo in un paese in cui vige il detto “scrivono tutti, ma nessuno legge” e questo status quo ha cooperato a costruire il pregiudizio secondo cui non ci siano autori italiani in grado di costruire un mondo fantasy che sia credibile e avvolgente, popolato da personaggi vividi sorretti da buoni dialoghi.
Autori come Manlio Castagna, Cecilia Randall, Valerio Evangelisti, Virginia De Winter, Livio Gambarini e molti altri dimostrano come questi pensieri siano soprattutto retaggio di una forma mentis che non ha alcun riscontro con la realtà: gli autori italiani in grado di scrivere grandi storie sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Eppure rimane il fatto che se bisogna investire su una storia, si sceglierà sempre quella proveniente oltre i confini nazionali. Lo dimostra anche il fatto che molti autori del genere fantasy scelgano anche di scrivere sotto pseudonimo, per svestirsi della propria italianità per non dover fronteggiare un pregiudizio stupido e vetusto.
Ma, soprattutto, manca alla base uno sforzo tanto da parte dei lettori quanto dalle case editrici, e non tutto può basarsi solo sulle spalle degli scrittori stessi. Ma è proprio su questi tre vertici del mercato editoriale che si deve porre attenzione.
I lettori pigri
Viviamo in un’epoca in cui tutto è a portata di mano. Informazioni, prodotti di intrattenimento e libri: tutto è a distanza di un click e questo ci ha reso indubbiamente pigri. Quando, la sera, cerchiamo qualcosa di vedere su Netflix o in una delle tante piattaforme streaming non abbiamo molta voglia di andare a scavare in un catalogo che appare immenso e tentacolare. Così, di solito, ci accontentiamo di uno dei tanti titoli che appaiono nelle categorie presenti in home.
Con i libri succede più o meno lo stesso. Il lettore ha perso la meraviglia di andare a spulciare nelle librerie, di allontanarsi da un’idea social di lettura, dove è importante leggere solo ed esclusivamente i titoli in trend. E se da una parte si può applaudire ai social la capacità di riavvicinare i giovani alla lettura, allo stesso tempo non si può far notare come abbiano in qualche modo “appiattito” la scelta, spingendo i lettori ad accontentarsi di quello che vedono scorrere su TikTok, senza interesse di andare all’avventura e scoprire titoli che non possono fare affidamento su una grande distribuzione o una grande attenzione sotto le luci della ribalta.
È facile lamentarsi di come le case editrici snobbino il genere fantasy scritto da autori italiani; ma questa lamentela non ha senso se i lettori per primi non decidono di investire. Il mercato editoriale è, appunto, un mercato e investe nei titoli da cui sa che può ottenere un tornaconto economico. Se i lettori stessi sono i primi a distogliere lo sguardo davanti a un titolo italiano la situazione non cambierà mai, a prescindere da quanto alta sarà la voce nel lamentarsi di una condizione che sembra rimanere ferma, sempre uguale a se stessa.
Questo ci porta di nuovo a parlare della diffusione di un pregiudizio ormai interiorizzato: siamo così abituati a pensare che gli autori italiani sono solo dei megalomani senza talento che non vogliamo dare a nessuno nemmeno una possibilità.
Dalla parte della scrittura: Licia Troisi
Tra i “top 5” che in questi anni sono riusciti a concentrare l’attenzione sul fantasy c’è senza dubbio Licia Troisi, autrice che da sola riesce in qualche modo a tener testa a un’esterofilia sempre più marcata, che spinge a prediligere titoli molto spesso anglofoni, spingendo le case editrici a non investire molto sugli autori italiani.
Scrittrice e divulgatrice scientifica, Licia Troisi ha raggiunto la notorietà grazie alla splendida saga del Mondo Emerso, composta da tre trilogie principali, Le cronache del mondo emerso, Le guerre del mondo emerso e Le leggende del mondo emerso. Con un world building dettagliato e insieme canonico, che in parte sembra omaggiare persino la visione di un regista come Hayao Miyazaki, Le cronache del mondo emerso sono ad oggi una sorta di classico moderno, una lettura imprescindibile per gli amanti del fantasy, in cui Licia Troisi non si limita a raccontare una storia, ma apre a riflessioni mai scontate su temi universali, come il potere, la guerra ma anche il bisogno di trovare una propria àncora, un appiglio per restare a galla contro le brutture del mondo.
Proprio per il suo ruolo di donna di successo in un genere bistrattato in Italia e per di più ancora molto legato a un’idea sessista per cui solo gli uomini possono scrivere un epic fantasy, abbiamo deciso di interpellare proprio Licia Troisi sulla condizione del fantasy made in Italy, in un mercato editoriale che sembra saturo di qualsiasi cosa, tranne che di titoli fantasy firmati da italiani.
“Il genere è stato inventato in ambito anglofono, e quindi c’è anche la questione della preponderanza, in libreria, di libri che provengono da quell’aerea,” ha spiegato. “Inoltre, in Italia tendiamo tantissimo a sminuire i prodotti nazionali, dicendoci che ‘non siamo capaci’ di produrre opere di un certo tipo. La tradizione fantastica però in Italia esiste, è solo che si preferisce ignorarla o considerarla un fenomeno di nicchia.”
Una riflessione, quest’ultima, che ancora una volta si lega all’idea di fantasy come genere inferiore, fatto solo per distrarre le masse che – in un immaginario collettivo snob e intellettuale – non sarebbero in grado di comprendere le grandi storie della narrativa.
Licia Troisi sembra pensarla più o meno allo stesso modo, quando ci dice:
In Italia non siamo riusciti in alcun modo a svincolarci da quest’idea del fantasy come genere tutto sommato abbastanza vile. La critica continua per lo più a ignorarlo, il pubblico di lettori forti non lo legge. Il pregiudizio riguarda soprattutto l’high fantasy, mentre per tutto il resto vale il principio che sia solo roba per ragazzi. Purtroppo siamo ancora molto lontani dal riconoscimento di una piena dignità a questo genere.
E gli scrittori emergenti?
Il mercato editoriale è così intrinsecamente contrario al fantasy italiano che per gli autori che vogliono cimentarsi con questo genere le possibilità di emergere sono davvero poche. Arrivare in libreria con un titolo di genere fantasy è molto difficile anche per un autore più o meno conosciuto, ma la situazione si complica incredibilmente quanto l’autore in questione è un emergente. Nella crisi di oggi, dove il valore della carta continua a crescere e il mercato è davvero saturo, chi mai avrebbe voglia di puntare su un emergente? Soprattutto su uno scrittore o scrittrice che scrive fantasy?
La strada preferita rimane quella del self publishing su Amazon: come ha fatto l’Amabile Giusti della saga di Odyssea o la recente Sofia Mazzanti di Figlia di Sangue e Rovina. Ma, col desiderio di voler dare una nota positiva in un’analisi che sembra determinata solo a sottolineare i problemi, va riconosciuto che ci sono case editrici che si stanno impegnando nella diffusione del genere fantasy Made in Italy.
L’impegno delle case editrici
È il caso della recentissima Lumien Edizioni, che si pone proprio l’obiettivo di dare spazio ad autori emergenti, disposti a portare nel mercato le loro opere fantasy. Una missione encomiabile, ma piena di rischio, che abbiamo voluto indagare proprio coi responsabili della casa editrice, che ci hanno detto:
Lumien nasce dalla volontà di risolvere due (fra i tanti) problemi evidenti del mercato editoriale: l’assenza di realtà che aiutino e credano negli scrittori emergenti e il disprezzo per il fantastico italiano. Il nostro obiettivo è riuscire a creare una casa editrice che valorizzi gli autori italiani e che dimostri come questi siano in grado di scrivere opere fantasy e fantascientifiche che nulla hanno da invidiare a quelle estere. […] È una scommessa rischiosa, lo sappiamo bene, ma i primi dati sono entusiasmanti, e ancor di più lo è la risposta dei lettori. Pian piano riusciremo a cambiare questo mercato e insieme alle altre capacissime case editrici mostreremo quanto bravi siano gli scrittori italiani!
Il primo fantasy edito Lumien Edizioni è Le notti di Cliffmouth: luci verdi dall’inferno di Mattia Manfredonia, un dark fantasy pieno di ottimi personaggi e con un ritmo che ti spinge a divorare le pagine. Un titolo che rischierebbe – e forse rischia ancora – di rimanere non visto e non letto, proprio perché scritto da un autore italiano e fuori dalla grande distribuzione. Ecco perché realtà come la Lumien sono fondamentali se si vuole davvero modificare il destino del fantasy italiano, perché senza case editrici che credano nel genere e negli scrittori italiani, il fantasy rimarrà relegato in una zona d’ombra, frequentata solo da pochi appassionati e qualche avventuriero.
Una missione molto simile, ad esempio, a quella della Lumien è quella portata avanti da Acheron Books, altra casa editrice dedita alla sfera del fantastico in ambito italiano che apre le porte agli emergenti attraverso un format definito “pitchnado”, in cui gli autori devono presentare un pitch breve del loro romanzo, un high concept riassumibile in una sola frase, vale a dire quella tagline capace di attirare subito l’attenzione.
Questo ci porta ancora al discorso che sono anche i lettori in prima persona a dover cercare realtà in cui il genere fantasy italiano fiorisce e cerca di ritagliarsi un posto di rilievo. In questo senso sono davvero corrette le parole dette dai responsabili Lumien: “Sono tanti i nomi validi lì fuori: bisogna solo iniziare ad esplorare questo nuovo e fantastico mondo“.
Quale sarà il destino del fantasy italiano?
Con questo articolo abbiamo forse dato troppo peso e troppa attenzione alle condizioni avverse in cui il fantasy italiano naviga, ma vogliamo chiudere con la speranza. Il mondo, sin dalla sua origine, è fatto per cambiare ed evolvere ed è certo che questo tipo di ragionamento si sposa bene anche con i gusti e le consapevolezze dei lettori. Ancora una volta sono le parole di Licia Troisi a venirci in soccorso, con una riflessione che si apre alla speranza:
Innanzitutto, [il genere fantasy] è uscito dal ghetto nel quale è stato relegato per tanti anni; quando ho iniziato io, era ancora un genere seguito in Italia solo da un ristretto numero di appassionati, e praticato da pochissimi scrittori poco conosciuti. Ha vissuto poi un momento di grandissima popolarità, mentre adesso, pur rimanendo qualcosa che leggono un po’ tutti, anche se in Italia viene considerato principalmente un genere per ragazzi, si è stabilizzato su numeri medi.
La verità, dunque, è che siamo messi ancora male con la distribuzione e la diffusione del Made in Italy per quanto riguarda il genere fantasy e i pregiudizi continuano ad essere troppo radicati nell’immaginario per essere abbandonati di punto in bianco. Ma è pur vero che le rivoluzioni hanno bisogno di tempo per esplodere e portare a un vero cambiamento: e se pian piano il fantasy in generale sta svestendosi di quell’aurea di letteratura di serie B, forse ci sarà anche la possibilità perché la maggior parte dei lettori comprenda che non è una nazionalità a confermare il talento di uno scrittore o la sua mancanza.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!