14 febbraio 1998. I cinema sono affollati più che mai, perché la parola d’ordine è solo una: Leonardo DiCaprio. Non esiste ragazza al mondo che in quel momento non abbia perso la testa per il giovane attore o per il personaggio che interpreta, Jack Dawson. Il blockbuster di James Cameron, Titanic, è ormai in sala da settimane e sta riscuotendo un successo inimmaginabile: ma niente può essere paragonabile al successo dell’attore losangelino diventato subito il nuovo simbolo del romanticismo cinematografico.
Per tutti questi motivi, quel giorno di San Valentino di venticinque anni fa è tutto dedicato a Titanic, e un vero e proprio esercito di coppie si riversa al cinema per festeggiare il loro amore piangendo e sospirando per quello impossibile tra Jack e Rose. E in queste coppie, state pur certi, quasi tutti i ragazzi sarebbero ben felici di saltare l’appuntamento al cinema e probabilmente hanno già mostrato più di una volta il loro disappunto. Tra amici maschi, d’altronde, si fa a gara a prendere in giro tanto quel “biondino effeminato” quanto il “polpettone romantico” di quel “regista bollito che è passato da Terminator e Aliens a roba per ragazzine”.
Sussulti e grida
In mezzo a tutto questo mi ritrovo io – e ammetto di sentirmi quasi un alieno – che invece all’idea di tornare al cinema per rivedere Titanic non sto più nella pelle. Sottolineo il rivedere perché il film l’ho visto già almeno 3-4 volte, anzi quasi sicuramente più quattro che tre, ma è facile perdere il conto, anche perché la permanenza in sala sarebbe stata ancora lunga e le mie visioni non sarebbero certo terminate lì. Ma torniamo a quel San Valentino e a quelle 3 ore in sala in cui metà degli spettatori sono lì, pronti a sospirare (e non è una novità), quando Cameron si concede un primissimo piano sugli occhi di DiCaprio concentrato a dipingere Rose “come le sue ragazze francesi”. E l’altra metà è lì per “tifare per l’iceberg”, come simpaticamente ribadiscono in più occasioni.
Non mancano, ovviamente, battute ancora più brillanti gridate ad alta voce allo scopo di far ridere gli amici. Ma non stupiamoci, sono pratiche comuni ancora oggi, figuriamoci per un film evento come mai più ce ne sono stati. Ammetto che la cosa più di tanto non mi tocca, ho sempre avuto la fortuna di perdermi completamente in un film e di accorgermi a malapena di quel che mi succede attorno. A maggior ragione quando si parla di Titanic, dove sei troppo preso a preoccuparti di quell’acqua che continua a salire nei corridoi per poter pensare ad altro. La mia ennesima visione va quindi esattamente come le altre: con il sottoscritto nuovamente in lacrime, non per la morte di Jack e nemmeno per il sogno finale di Rose in cui ritorna sul Titanic, ma perché ancora una volta mi è arrivata in pieno tutta la passione di James Cameron per quello che sta raccontando. Perché con il suo film ha realizzato i suoi sogni – e nessuno potrà mai convincermi che il testo della canzone My Heart Will Go On in realtà non si riferisca a Cameron e alla sua ossessione per il transatlantico -, ma anche quelli di molti dei suoi spettatori.
Il più grande spettacolo del mondo
In quel febbraio del 1998, ho poco più che 21 anni. Da molto molto tempo ho capito che il cinema sarebbe stata la mia più grande passione, tanto che – nel tempo libero e quasi per sfida – ho iniziato a scrivere qualche pensiero sparso su alcuni giornalini locali su richiesta di amici e conoscenti. Da anni frequento assiduamente le sale della mia città, sono iscritto a tutti i cineforum limitrofi, cerco di recuperare i classici e non mi perdo nessuno dei film consigliati da Ciak. Avrei voluto iscrivermi al DAMS di Bologna, ma non potendomelo permettere mi accontento di dedicare il tempo libero al cinema.
Insomma, nonostante la giovane età, non sono certo uno sprovveduto, anzi; ma niente avrebbe potuto prepararmi alla visione di Titanic in sala. Ricordo la prima visione il giorno della sua uscita italiana, il 16 gennaio del 1998, ovviamente al primo spettacolo. Ma il film lo aspettavo da mesi e anzi per un lungo periodo ero stato preoccupatissimo di non poterlo vedere mai, visto che al TG e sulle riviste specializzate si parlava spesso dei costi enormi sostenuti dalla Fox, ben superiori a quelli inizialmente previsti, e di come l’ultimo blockbuster marittimo (Waterworld) fosse stato un flop clamoroso. A me interessava poco o niente del Titanic, all’epoca, e ancora meno di Leonardo DiCaprio; semmai molto meglio Kate Winslet, che avevo amato tantissimo nel precedente Ragione e sentimento di Ang Lee. Ma no, quello che a me interessava davvero era vedere il nuovo film di uno dei miei registi preferiti: quello che mi aveva conquistato con il primo Terminator, mi aveva fatto credere nei sequel con Aliens e Terminator 2, mi aveva divertito con True Lies e mi aveva fatto esplodere la testa (con buona pace del caro Nanni Moretti) con la sceneggiatura di Strange Days.
La prima volta in sala, insomma, ero lì per James Cameron. Le volte successive ero lì per il Titanic. Perché con questo film il regista era riuscito a trasmettermi la sua ossessione e farmi diventare un appassionato della storia dell’affondamento più famoso del mondo. E quindi avevo letto diversi libri, comprato riviste che ne parlavano, avevo guardato documentari e trasmissioni televisive. Ma nulla era stato paragonabile all’esperienza che James Cameron era riuscito a regalare a me e al mondo intero. Facendomi salire sul Titanic per ben due volte – sul relitto e poi sulla sua magistrale ricostruzione – mi aveva regalato qualcosa di unico, che mai nessun film era riuscito a darmi prima: la sensazione di trovarmi davanti al “più grande spettacolo del mondo”. Probabilmente la stessa sensazione che molti prima di noi avevano vissuto con tanti kolossal degli anni d’oro di Hollywood; e non mi risulta difficile credere che la mia faccia, durante il film, fosse proprio la stessa che il giovane Fabelman (ovvero il giovane Spielberg) ha proprio mentre guarda il film di De Mille.
Come deve essere stato vedere per la prima volta al cinema Il mago di Oz o Via col vento o I dieci comandamenti? Era una cosa che mi ero chiesto spesso da ragazzo, mentre la mia passione per il cinema cresceva. E la risposta l’ho avuta proprio in sala a inizio 1998, guardando Titanic per la prima volta.
Per molti, ma non per tutti
Torniamo, però, ancora una volta, a quella serata di San Valentino. All’uscita del cinema le ragazze sono in delirio, alcune in lacrime, altre scherzano felici tra loro. Alcune coppie si affrettano perché devono scappare a cena. Io con la mia fidanzata dell’epoca mi ritrovo davanti un’altra coppia di amici che in sala non avevo notato in mezzo alla folla. Insieme a loro c’è un’altra amica, da sola, senza accompagnatore. Dopo qualche convenevole, le chiediamo dove sia finito “Tizio”, ovvero il fidanzatino di lei di cui nemmeno ricordo più il nome. E lei ci risponde, a metà tra l’imbarazzato e il divertito, che si sarebbero incontrati a cena perché non ha voluto venire al cinema. Senza pensarci do per scontato che probabilmente l’ha già visto, e faccio una battuta di qualche tipo. Al che mi viene detto che no, Titanic “Tizio” non l’ha visto e non ha alcuna intenzione di vederlo, perché lui “odia questi film che guardano e piacciono a tutti”. L’altro ragazzo presente ride e dice che “anche lui se lo sarebbe evitato volentieri”.
Ed è proprio in quel momento che mi rendo conto di una cosa molto importante, ovvero di come per me, la passione per il cinema, sarebbe stata sempre e comunque fonte di orgoglio e mai di imbarazzo. Non ricordo di preciso cosa abbia risposto, ma di sicuro non mi feci problemi ad ammettere il numero di volte che avevo già visto Titanic in sala. Seguirono risate generali da parte di tutti e anche un po’ di imbarazzo da parte della mia accompagnatrice, ma la cosa finì lì, tra una battuta e un’altra. Ma non per me, che continuai a rimuginare per tutta la sera sulla cosa, e sul come mai potesse far sorridere o vergognare l’idea di volersi godere il più possibile un’opera d’arte.
“Ti fidi di me?”
Forse c’è una cosa che è difficile da capire per chi, 25 anni fa, non c’era o era troppo piccolo: Titanic fu davvero un film di cui si parlò costantemente per mesi; sui giornali, in TV, nelle scuole e nelle università. Chi si lamenta oggi della onnipresenza mediatica e social di alcuni fenomeni (temporanei) – come la serie del momento di Netflix o l’ultimo film Marvel o anche solo i due Avatar, sempre di Cameron – non ha idea di cosa fu il fenomeno Titanic. Pur senza internet e telefonini, il film, i suoi attori, la sua colonna sonora e relativa canzone erano veramente ovunque. Perfino i miei nonni andarono al cinema – dove mancavano dai tempi di Schindler’s List – e come loro i nonni di tanti altri miei coetanei.
E fu proprio questo fenomeno – a tratti davvero esagerato, questo sì – a fare in modo che molti, un po’ per snobismo e un po’ per necessità di mostrarsi più alternativi di quel che in realtà erano, scelsero di “boicottare” il film e non vederlo in sala. Per poi magari pentirsene anni dopo e vederlo in TV, martoriato dalla pubblicità, dal formato in 4:3 e da tutto quello che comporta una visione casalinga. Perdendosi così il più grande spettacolo del mondo solo per avere il piacere (effimero) di non omologarsi.
Ora che Titanic torna in sala, addirittura restaurato e in 3D, c’è una possibilità di rifarsi di quel piacere perduto. Per accorgersi che non vale certo la pena curarsi del giudizio altrui.
E che in fondo James Cameron ha sempre ragione: come quando fa dire a una delle sue attrici: “Si può essere blasé riguardo ad alcune cose, Rose, ma non riguardo al Titanic”.
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