I genitori credevano che i loro figli stessero imparando la storia. I ragazzi credevano di giocare e divertirsi a loro insaputa. E i giocatori di vecchia data sanno molto bene che entrambi avevano ragione.
A parlare è il giornalista americano Will Bedingfield, e il videogioco è ovviamente Age of Empires, inossidabile pietra miliare del genere RTS, acronimo di “real time strategy”, strategia in tempo reale.
Creato per il computer dai neonati Ensemble Studios in collaborazione con Microsoft, debuttò negli Stati Uniti il 13 ottobre 1997, e sancì un’autentica rivoluzione nel mondo videoludico.
Era l’inizio di una lunga cavalcata, destinata a lasciare un segno indelebile nell’immaginario di un’intera generazione, e a dare vita a un franchise leggendario, che attualmente include quattro capitoli, due spin off e tantissime espansioni.
Tra alti e bassi, traguardi epocali e anni di oblio, Age of Empires e i suoi eredi non se ne sono mai andati per davvero, e sono tuttora più vivi e in salute che mai.
La saga al gran completo, con una grafica e un layout completamente riadattati agli standard di oggi, è attualmente disponibile con un forte sconto sulla piattaforma Steam, mentre il secondo capitolo è da poco sbarcato anche su Xbox One, Xbox Series X e Xbox Series S per festeggiare una storica ricorrenza: il 2 febbraio 1998, esattamente 25 anni fa, Age of Empires approdava per la prima volta in Italia.
In occasione di quest’importante traguardo, facciamo anche noi il punto e ripercorriamo la lunga e affascinante storia dei primi 25 anni di Age of Empires, un videogioco che testimonia il fascino immortale della Storia.
L’alba di un impero
Una manciata di abitanti del villaggio e un centro città: tanto basta, in Age of Empires, per iniziare ad esplorare il mondo circostante, individuare e raccogliere le risorse utili allo sviluppo di un insediamento (cibo, legname, oro e pietra) e iniziare a costruire una città degna di tal nome.
Vietato, però, riposare sugli allori: occorre arruolare al più presto anche un esercito per difendersi dai pericolosi vicini e, soprattutto, avanzare tecnologicamente, passando dall’età della pietra a quella degli utensili, di lì all’età del bronzo e infine a quella del ferro.
Nulla può, infatti, un’enorme orda di guerrieri armati con clave e asce rudimentali contro un manciata di pugno di opliti greci, o contro la formidabile cavalleria pesante.
Sono queste le dinamiche che fecero la fortuna del primo capitolo di Age of Empires, che nel 1998 ci metteva nei panni di ben 12 civiltà antiche (egizi, sumeri, assiri, babilonesi, ittiti, persiani, fenici, greci, minoici, yamato, shang e choson) e ci proponeva una ricca varietà di sfide, garantendo al titolo un’ottima longevità.
C’era la possibilità di giocare una partita secca contro l’IA o in modalità multiplayer – per i pochi, fortunati possessori di una connessione adeguata! – a cui si aggiungeva il piatto forte, rappresentato da quattro impegnative campagne single player, in cui comparivano molti eventi-chiave della storia antica, come la battaglia di Megiddo, la guerra di Troia, l’assedio di Ninive, la marcia di Senofonte e la spedizione di Alessandro Magno.
Le fazioni prescelte erano l’Egitto dei faraoni, Babilonia, l’antica Grecia e il Giappone degli Yamato.
A fine 1998 giunse anche Rise of Rome, un’espansione che non alterava la giocabilità, ma aggiungeva quattro nuove civiltà (romani, macedoni, cartaginesi e regno di Palmira), alcune nuove tecnologie e unità, e altre quattro campagne, questa volta dedicate all’ascesa e al declino di Roma.
La chiave del successo
Pur rappresentando una pietra miliare del filone, Age of Empires non era certo il primo gioco di strategia per PC della storia: le medesime, minuziose dinamiche di gestione delle unità in tempo reale, tra approvvigionamento di risorse economiche, costruzione di una città e azioni militari, avevano già fatto la fortuna del fantascientifico Dune e del fantasy Warcraft, nonché dei rispettivi sequel.
La chiave del successo, per la neonata creatura degli Ensemble Studios, fu quella di far incontrare questo tipo di simulazione con la grande storia, finora raccontata soltanto con le dinamiche – assai meno immediate – della saga di Civilization.
A questa scelta di fondo particolarmente ispirata se ne aggiunsero altre, rappresentate da meccanismi di gioco incredibilmente raffinati – si pensi alla sfera della religione e ai sacerdoti, in grado di convertire gli uomini delle altre fazioni e di curare quelli della nostra – e alla ramificazione dello sviluppo civile, architettonico e tecnologico, tra centri città, mercati, fattorie, granai, porti, magazzini, sedi del governo, laboratori e monumentali meraviglie.
Il videogame era tutto sommato semplice e intuitivo nella sua essenza, ma profondamente complesso e articolato nelle sue mille ramificazioni e potenzialità, che offrivano una grado di sfida sempre nuovo, scongiurando il rischio della ripetitività.
Con il senno di poi e la moderna passione per le sterili polemiche ad ogni costo, qualcuno avrebbe potuto gridare all’occidentalizzazione forzata della storia: anche i cinesi, i coreani e i giapponesi avevano unità tecnicamente ed esteticamente analoghe a quelle occidentali, chiamate opliti, falangi e centurioni, e non c’era alcuna traccia di diversificazione culturale!
Al tempo, però, il neo passò fortunatamente inosservato, ed Age of Empires entrò fin da subito nella leggenda, facendo innamorare della storia un’intera generazione.
L’età dei re
Gli auspici non sono ottimi quando nell’autunno 1999, quasi due anni dopo, il franchise di Age of Empires si riaffaccia sul mercato con un secondo capitolo, dal momento che lo scenario dei videogame di strategia è appena diventato molto più competitivo a causa dell’arrivo del formidabile Starcraft.
Il nuovo capitolo della saga riesce però a sbaragliare qualsiasi concorrente, e supera ampiamente persino il successo del suo predecessore.
Il titolo per esteso è Age of Empires II: Age of Kings, e per la quasi totalità degli appassionati si tratta del più alto vertice mai raggiunto dalla saga e, forse, dall’intero genere strategico.
L’età dei re che dà il titolo al videogame è il medioevo, suddiviso anche in questo caso in quattro epoche per mantenere più intatte possibili le dinamiche del capitolo precedente.
Le civiltà sono 13: questa volta, però, gli sviluppatori correggono il tiro e, a fianco di un sistema di base comune a tutte le fazioni, prevedono unità d’élite personalizzate per le singole fazioni.
Solo i vichinghi, ad esempio, possono creare i berserker, mentre ai giapponesi vengono riservati i samurai, ai turchi i giannizzeri, ai saraceni i mamelucchi e così via.
Squadra che vince non si cambia: viene confermato l’impianto fondamentale del capitolo precedente, con centro città, abitanti, raccolta delle risorse, costruzione, sviluppo e guerra, ma Ensemble Studios migliora e raffina quasi ogni dinamica, introducendo la possibilità di far entrare gli uomini negli edifici, raccogliere le reliquie e, sul fronte tecnico, utilizzare una serie di short-key da tastiera per snellire la gestione delle unità.
Le campagne diventano più curate e cinematografiche, con l’introduzione di molti eventi automatici e colpi di scena nel corso della partita.
Un capolavoro intramontabile sotto tutti i punti di vista, a cui nel 2000 fa seguito l’espansione The Conquerors, dedicato alla scoperta del Nuovo Mondo.
Tra miti e galassie
Forti del clamoroso successo di Age of Empires II, gli sviluppatori sfruttano la cresta dell’onda per allargare gli orizzonti con due spin off: il primo, intitolato Star Wars: Galactic Battlegrounds (2001), abbandona i libri di storia per trasferirsi nella galassia lontana lontana creata da George Lucas, mentre il secondo, Age of Mithology (2002), fa ritorno nell’antichità aprendo però le porte anche agli dei e alle creature leggendarie.
La formula magica è sempre la stessa: nell’universo di Star Wars cambiano i nomi delle risorse e spuntano i cavalieri Jedi, in Age of Mithology fanno capolino gli dei e l’intervento soprannaturale, ma l’impianto vincente di Age of Empires II rimane pressoché inalterato, e sancisce l’immediato successo di entrambi i titoli.
Gli sviluppatori mostrano di aver recepito l’esigenza di personalizzare al massimo le varie fazioni, e riducono drasticamente il numero delle civiltà giocabili per differenziarle adeguatamente: in Star Wars: Galactic Battlegrounds sono quattro (impero, ribelli, Naboo e federazione dei mercanti), mentre in Age of Mithology si riducono addirittura a tre (greci, egizi e vichinghi).
La qualità aumenta, la quantità diminuisce, ma resta confermato quasi tutto, inclusi gli eventi automatici nel corso della campagna, che regalano emozioni e colpi di scena narrativi.
Se il Nuovo Mondo è fin troppo nuovo…
Poi, all’improvviso, nel 2005 gli Ensemble Studios decidono che è giunto il tempo di inaugurare una nuova era e tornano alla saga madre con il lancio di Age of Empires III: Age of Discovery.
Consapevoli che, anche a causa del successo dei due spin off e delle rispettive espansioni (Clone Campaigns e Titans), l’accusa di eccessiva ripetitività delle dinamiche potrebbe essere davvero dietro l’angolo, gli sviluppatori rivoluzionano piuttosto drasticamente il sistema di gioco adeguandosi all’esigenza di rappresentare una nuova fase storica, ossia la stagione coloniale che va dal Cinquecento all’Ottocento.
Entra in scena il rapporto commerciale con una lontana città madre europea, sparisce la pietra, cambiano molte meccaniche di gioco, arrivano le armi da fuoco e la storia della campagna single player si sposta dai grandi eventi storici alle avventure multigenerazionali di una famiglia fittizia, i Black.
Sulla carta funziona tutto: il nuovo videogioco è originale, coerente e tecnicamente perfetto, ma forse questa volta gli sviluppatori hanno fatto il passo più lungo della gamba.
In un mondo videoludico in cui le formule vincenti vengono riproposte anche fino allo sfinimento – da Assassin’s Creed a Fifa, e da Call of Duty alla saga dei Souls – la saga strategica di Age of Empires commette l’errore opposto, e balza in avanti troppo presto e troppo lontano.
E così, malgrado l’acclamazione della critica, il terzo capitolo della saga riceve un’accoglienza piuttosto tiepida da pubblico e appassionati, che continuano incalliti a giocare all’immortale Age of Empires II.
Gli anni bui e la forza del fandom
La battuta d’arresto sofferta da Age of Empires III gela Microsoft, e il progetto di realizzare i capitoli quattro e cinque viene cancellato.
A onor del vero, non è soltanto colpa dell’ottimo ma precoce RTS dedicato all’età coloniale: il mondo sta cambiando sempre più velocemente, la guerra delle console infuria, il PC perde terreno e le priorità sono altre: gli Ensemble Studios vengono dapprima orientati sulla produzione dello strategico Halo Wars per Xbox, e successivamente, a inizio 2009, vengono sciolti.
La strategia in tempo reale semplicemente non interessa più, e l’età d’oro di Age of Empires è ormai un lontano ricordo. Nel 2011 si tenta l’operazione nostalgia in chiave MMO con il lancio del discutibile Age of Empires Online, ma il risultato è un flop.
Musica nostalgica e titoli di coda? Neanche per sogno.
Dopo aver involontariamente sancito il declino della saga, quello stesso fandom così innamorato di Age of Empires II da non riuscire ad accogliere le novità del terzo capitolo ora ne garantisce la sopravvivenza semplicemente continuando, imperterrito, a giocare all’indimenticabile secondo atto, la cui longevità sembra non conoscere limiti.
Con il passare degli anni, Age of Empires II si consacra sempre più allo stato di un autentico cult, e le community restano più vive che mai, grazie anche alla possibilità, già presente fin dal primo capitolo, di creare nuove campagne con l’editor degli scenari.
Sembra la romantica resistenza di un gruppo di irriducibili, finché nel 2013 accade l’impensabile: The Forgotten Empires, una mod per Age of Empires II interamente realizzata dai fan che include 5 nuove civiltà (magiari, slavi, incas, italiani e indiani), 6 nuove campagne e l’aumento del limite di popolazione da 200 a 500 viene ufficialmente “adottata” dal franchise e distribuita come una nuova espansione a tutti gli effetti.
La resurrezione è appena iniziata.
La resurrezione
Complice anche una grafica minimalista non così soggetta a una rapida obsolescenza quanto quella degli RPG e dei videogame in prima persona, dal 2013 in avanti Age of Empires II conosce una seconda giovinezza.
Dopo l’ufficializzazione di The Forgotten Empires, il binomio fan-sviluppatori (Skybox Labs) rimette mano a più riprese al capitolo più amato del franchise: nel 2015 esce una terza espansione (la prima era stata The Conquerors, nel lontano 2000) dedicata ai popoli delle regioni subsahariane e intitolata The African Kingdoms, mentre nel 2016 ne esce una quarta dedicata al sud est asiatico e intitolata Rise of the Rajas.
Il comparto tecnico resta quello del 1999, seppur rimasterizzato in HD, ma grazie alla distribuzione sulla piattaforma Steam le nuove uscite continuano a riscuotere successo.
A questo punto, l’entusiasmo degli appassionati convince Microsoft a riprendere le redini della saga: ad assumere l’incarico è la casa Relic Entertainment, che tra il 2018 e il 2020 realizza le “Definitive Editions” di Age of Empires, Age of Empires II e Age of Empires III, con relative espansioni.
Le meccaniche del primo capitolo vengono aggiornate a quelle del resto della saga e la veste grafica dei tre videogiochi viene completamente rifatta e adeguata ai più alti standard contemporanei: compaiono nuove campagne, e quelle originali vengono rivedute, perfezionate e corrette, soprattutto nel caso del primo Age of Empires dove vengono risistemate e riequilibrate da zero intere missioni.
Il colpo di scena più importante, però, arriva nel 2021 con l’uscita di Age of Empires IV: la saga riparte in pompa magna con un moderno capitolo, di nuovo ambientato nell’età medievale, che convince ed emoziona gli appassionati e sfoggia un look davvero clamoroso.
Verso il futuro…
A 25 anni di distanza dal fatidico 2 febbraio 1998, insomma, la saga di Age of Empires è più viva che mai: come già si è detto, da un paio di giorni la Definitive Edition del secondo capitolo è approdata anche su console, ed entro la fine dell’anno gli amanti della saga potranno gustarsi su PC anche l’attesa Definitive Edition di Age of Mithology.
Per chi ancora non ha mai giocato al franchise, o ha semplicemente nostalgia non c’è mai stato un momento più propizio per riscoprire da cima a fondo tutti i capitoli di questa pietra miliare del genere RTS con una veste grafica e dinamiche profondamente rinnovate.
Resta però un’enorme incognita sul futuro della saga: dopo il passo falso del pur ottimo Age of Empires III, il franchise si è ripiegato su se stesso, chinandosi con troppa reverenza al cospetto della perfezione del secondo capitolo.
Anche il nuovo capitolo Age of Empires IV, anziché affrontare la rivoluzione francese, Napoleone e gli Asburgo ha puntato sull’usato sicuro, e si è limitato a riproporre un’ambientazione medievale e una sorta di “Age of Empires II versione 2.0”.
Ultimati con il 2023 i revival e le edizioni definitive, è davvero tempo che la saga faccia un nuovo passo in avanti nel suo cammino attraverso la storia: nel 2005 i tempi non erano maturi e il Nuovo Mondo non convinse i fan, ma ora le cose sono cambiate.
Nel 2024, l’immortale Age of Empires II si appresterà a compiere addirittura 20 anni: è davvero tempo di riprendere il cammino, imbracciare le baionette, e fare il grande passo verso l’età moderna, per non confinare le sorti della saga all’interno di un’eterna bacheca scintillante.
Relic Entertainment ha il potere e il dovere di provarci: la fanbase, questa volta, è pronta a ricominciare per davvero.