Lo schermo diviso in due sembra quasi uno specchio. Una parte si riflette nell’altra. A destra scorrono le immagini del videogioco, a sinistra quelle della serie tv, e tutto sembra identico. In queste settimane siamo stati invasi da video comparativi dedicati a The Last of Us. Perché sì, in alcune sequenze lo show HBO è di una fedeltà impressionante, al limite del copia e incolla. Un’attenzione al dettaglio quasi maniacale che strizza l’occhio ai fan del gioco Naughty Dog, ma che sarebbe stata fine a se stessa se non accompagnata da qualcosa di nuovo.
Per fortuna Neil Druckmann e Craig Mazin non sono caduti nella comoda tentazione del “rifare le cose identiche”, confezionando uno degli adattamenti più intelligenti mai concepiti. Nel farlo hanno anche corso il rischio di tradire il videogioco con piccoli, grandi cambiamenti fondamentali a rendere emancipata lo show. E allora ecco cinque fondamentali differenze tra la serie e il videogioco di The Last of Us.
1. Allargare gli orizzonti
Mettere subito le cose in chiaro. È quello che hanno fatto gli autori della serie con i prologhi dei primi due episodi della serie tv. Entrambi infatti iniziano con un flashback che affonda le radici nel passato. Il primo risale persino agli anni Sessanta con un dibattito televisivo dedicato alle probabili conseguenze devastanti di un’epidemia causa dal Cordyceps, con tanto di dettagli scientifici molto specifici. Il secondo, ambientato poco prima dell’outbreak day, ci mostra una delle prime vittime dell’infezione. Un’infezione che genere violenza e richiede violenza per essere debellata. Insomma, se il videogioco di The Last of Us si è sempre soffermato sulle conseguenze della pandemia, la serie esplora anche le sue cause allargando gli orizzonti del racconto.
Andare oltre i confini di Joel ed Ellie (che rimangono comunque il cuore della storia) e approfondire altri aspetti sono esigenze narrative che la serie dimostra spesso. Succede soprattutto nello splendido e toccante terzo episodio dello show, quasi un film a sé stante, tutto dedicato al personaggio di Bill. Geniale l’idea di espandere quello che nel videogioco era solo un indizio scritto su una lettera e costruirci sopra un intero episodio dallo spessore umano ed emotivo straordinario. E, fidatevi, succederà ancora con altri sprazzi di vita altrui. Perché la serie tv di The Last of Us ha uno sguardo molto più ampio rispetto al primo videogioco. Perché? Forse per entrare nella stessa prospettiva di The Last of Us – Parte II, che del cambio di punto di vista ha fatto la sua forza.
2. Meno azione
Più silenzi e meno spari. Forse questa frase è diventata il mantra di Druckmann e Mazin durante la scrittura della serie tv. Perché The Last of Us rinuncia tantissimo all’azione, preferendo dare libero sfogo al lato drammatico dell’avventura di Joel ed Ellie. D’altronde il videogioco stesso aveva costruito la sua fortuna proprio sull’intimità e lo spessore di una narrazione matura (per i videogiochi di dieci anni fa), affidandosi a un gameplay molto classico e funzionale. E allora la serie tv che fa? Rinuncia alle sequenze più legate al gameplay puro (ovvero quelle action) dando molto più spazio ai “tempi morti”, a momenti più riflessivi ed emotivamente rilevanti. Una scelta molto coraggiosa, condita però da poche sequenze d’azione molto fedeli a quelle del videogioco, come abbiamo visto nel secondo episodio nel museo o come quella del quinto episodio che farà la gioia di molti fan.
3. Meno infetti
Era inevitabile. Rinunciare all’azione non poteva che portare a una conseguenza: avere meno infetti sullo schermo. Runner, stalker, clicker e bloater appaiono con grande parsimonia, centellinando anche il lato horror-splatter dello show, che ci regala poche ma memorabili sequenze di pura tensione. Una scelta “a risparmio” secondo noi molto oculata. Trasformare gli infetti in merce rara non fa altro che rendere ancora più evidenti le loro entrate in scena, evitando così l’effetto assuefazione degli zombi di The Walking Dead. Un’ottima trovata per “sentire” ancora più forte la minaccia mostruosa in una serie che ha fatto una scelta ancora più drastica rispetto al videogioco. Quale? Puntare il dito contro la minaccia più aberrante di tutte: l’essere umano costretto a sopravvivere.
4. Niente spore
Non c’è virus più rapido e violento dell’indignazione. Per informazioni rivolgersi a chi ha gridato allo scandalo (ancora prima di vedere la serie, ovviamente) appena si è diffusa una notizia per loro inaccettabile: nello show il virus non si sarebbe diffuso attraverso le spore. Ebbene sì, Druckmann e Mazin hanno cambiato le dinamiche dell’epidemia riscrivendo le regole di diffusione del virus. Nella serie il Cordyceps si diffonde prima attraverso cibi a base di farine e zuccheri, poi attraverso un rete alveare sotterranea che rinuncia quindi alle spore viste nel videogioco. Spore che, ricordiamolo, nel gioco non rappresentavano mai una minaccia effettiva, visto che i personaggi indossavano automaticamente una maschera antigas poco prima di addentrarsi in una zona piena di spore. Meccanica che, di fatto, non le rendeva influenti con il gameplay. Un’altra scelta coraggiosa che, per noi, non snatura ma arricchisce soltanto la serie con nuove sfumature.
5. Joel ed Ellie: diversamente simili
Non potremmo certo dimenticarci di loro. Le due ruote attorno a cui gira tutto The Last of Us: Joel ed Ellie. Due protagonisti riscritti dalla serie tv già in fase di casting. Da una parte l’ottimo Pedro Pascal risulta più morbido in volto rispetto ai tratti più spigolosi del Joel videoludico. Dall’altra Bella Ramsey ha fatto esattamente il tragitto opposto, con il suo viso duro, ispido, molto lontano dalla dolcezza malinconica di quella apprezzata nel gioco. Questa Ellie è una sopravvissuta già temprata, più incline al disincanto e più corazzata dell’originale. Questo non le nega comunque di avere sporadici atteggiamenti da ragazzina immatura, come curiosare in giro o fare rumore nei momenti meno opportuni (per la gioia di Joel). Essendo all’interno di una serie in cui imparare a conoscere due persone e non in un videogioco in cui di fatto usiamo quasi sempre un personaggio (Joel), la serie risulta molto più equilibrata nel dare subito il giusto spessore umano a Joel ed Ellie, che nel videogioco all’inizio viene percepita davvero come un pacco da consegnare quanto prima. Qui l’approccio è diverso, più attento e minuzioso nel delineare subito anche la personalità della ragazzina.
Discorso simile anche per Joel. Se nel gioco lui deve essere percepito come l’eroe della storia tra le nostre mani, la serie guarda l’uomo con più distacco, creando subito vari momenti (non presenti del videogioco) in cui il nostro si dimostra subito spietato e incline al mondo violento che abita. Sono piccoli dettagli molto significativi che dimostrano due cose importanti. Neil Druckmann è maturato tantissimo come narratore. Sono passati dieci anni dall’uscita di The Last of Us e la serie dimostra una maturità maggior nel suo modo di trattare i personaggi. E poi c’è tanta, tanta consapevolezza in più rispetto ai tempi del videogioco. La serie è stata scritta dopo l’uscita di The Last of Us – Parte II, per cui tutto è stato messo in quella prospettiva, su quei binari, con una visione d’insieme molto più complessa. Ecco come nasce una serie tv grandiosa, che rispetta anche quando tradisce.