Che i Simpson, nel corso delle loro oltre trenta stagioni, abbiano non di rado anticipato la realtà è ormai un luogo comune ampiamente utilizzato e sfruttato da tutti, anche a sproposito.
In effetti, dall’ascesa di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti (predetta nel 2010) all’acquisto della 20th Century Fox da parte di Disney (immaginato già nel 1998), passando anche per l’invenzione dello smart watch e la vittoria olimpica della squadra americana di curling, la serie animata di Matt Groening può vantare alcune intuizioni a dir poco visionarie.
Ovviamente quelle de I Simpson sono predizioni quasi sempre casuali, frutto di circostanze che gli autori non potevano certo immaginare o prevedere al momento della messa in onda degli episodi.
A giocare a favore della serie c’è indubbiamente la sua enorme longevità (740 puntate) e la sua spiccata propensione a raccontare scenari futuri, grotteschi e provocatori.
Non si tratta però dell’unico caso in cui il piccolo schermo ha predetto con sorprendente precisione il verificarsi della realtà: da Homeland a Billions, e da The Bad Guy a Black Mirror, negli ultimi anni il mondo seriale ha saputo proporre alcune intuizioni a dir poco visionarie, frutto non soltanto di fortuna, ma anche di un’attenta e lucida analisi delle dinamiche politiche, storiche e sociali.
Ecco sei circostanze in cui, al di là del caso dei Simpson, le serie tv hanno anticipato la realtà.
The Bad Guy e l’arresto di Matteo Messina Denaro
Uno dei due creatori, Giuseppe Stasi, ci ha pure scherzato su, scrivendo su Instagram che lui e Giancarlo Fontana “restano a disposizione della magistratura” per maggiori approfondimenti.
Sta di fatto che The Bad Guy, geniale serie tv italiana di Amazon Prime ambientata in un prossimo futuro, ha predetto con incredibile precisione alcune circostanze chiave dell’indagine che ha portato all’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro.
Nella prima puntata del telefilm, il pm Nino Scotellaro riesce quasi a catturare il boss mafioso Mariano Suro intuendo che il ricercato aveva un grave problema di salute, e avrebbe a breve ricevuto un trapianto di rene, circostanza che gli consente di localizzarlo.
Allo stesso modo, gli inquirenti e le forze dell’ordine sono riuscite a risalire al covo di Messina Denaro proprio a partire da un suo recente trapianto di fegato, operazione per la quale, nel sistema sanitario, il latitante ha sostituito il suo prestanome Andrea Bonafede.
La sorprendente coincidenza degli eventi non si ferma qui: oltre a fiancheggiare la mafia, Bonafede era il titolare del New Acquasplash, proprio come Salvatore Tracina che, nella serie, utilizza come base operativa il parco acquatico WowterWorld.
Indubbiamente si tratta di una serie di concomitanze in larga parte imprevedibili, che però traggono origine dall’eccezionale lavoro di documentazione e approfondimento del sottobosco criminale del Mezzogiorno svolto dal team creativo di The Bad Guy.
La sceneggiatrice Ludovica Rampoldi, ad esempio, è una profonda conoscitrice della materia, e ha già collaborato al successo di Il Traditore di Marco Bellocchio.
Billions e il caso Qatargate
Sullo schermo si trattava di portare le Olimpiadi a New York, mentre a fine 2022 sotto inchiesta sono finite le opache modalità di aggiudicazione al Qatar dei mondiali di calcio, tra mazzette, tangenti e intermediari privati: il parallelismo tra la realtà e la sesta stagione di Billions, andata in onda a gennaio dell’anno scorso, tuttavia, resta comunque a dir poco sorprendente.
Nel telefilm, il magnate della finanza Michael Prince, spinto da interessi personali, oltre che per propiziare i suoi prossimi investimenti speculativi sul mercato, si mette a capo di una cordata che ambisce a portare a New York i prossimi giochi olimpici.
Per raggiungere l’obiettivo, Prince dapprima fa leva con intrighi e ricatti sul sindaco della città e sulle autorità pubbliche newyorkesi – leggasi Commissione Europea? – e successivamente invia il suo faccendiere Wags a corrompere l’intero comitato organizzatore, offrendo ai commissari ogni tipo di tangente, inclusa una notte in un famigerato locale a luci rosse di altissimo profilo.
Per assicurarsi la definitiva aggiudicazione della sede dei giochi, Prince tratta con il corrotto Colin Drache, membro del comitato che detiene le redini del gruppo, a cui si ritrova costretto a versare anche un’ulteriore tangente di 5 milioni di dollari.
La rete di illeciti e mazzette per portare le Olimpiadi a New York finisce però nel mirino del magistrato Chuck Rhoades, e l’intero castello di carte precipita in uno clamoroso scandalo giornalistico.
Anche stavolta, l’eco del Qatargate non è soltanto frutto del caso: nel corso delle sei stagioni della serie tv, i produttori di Billions hanno dato prova di conoscere a fondo la borsa e i possibili ambiti di speculazione finanziaria, e hanno correttamente intuito come la scelta della sede di un grande evento sportivo sia spesso causa di oscuri giochi di potere, anche oltre i limiti della legalità.
Homeland e l’assalto a Capitol Hill
Se parliamo di serie tv che hanno predetto il futuro grazie alla loro capacità di analisi della contemporaneità, non si può non citare la formidabile Homeland, che già nel 2015, con la sua quinta stagione, anticipò il rischio di attacchi terroristici nelle capitali europee, poi tragicamente avveratosi proprio nel corso della stessa messa in onda della serie, con l’attacco al Bataclan di Parigi.
Per rimanere al passo con i tempi, gli showrunner Gideon Raff, Howard Gordon e Alex Gansa si sono sempre avvalsi della consulenza di vari ex membri dell’intelligence USA.
Nel 2016, alla vigilia delle elezioni americane che sancirono la vittoria di Donald Trump su Hilary Clinton, il telefilm decise di abbandonare la storyline dedicata all’islam e al Vicino Oriente per riportare la narrazione in patria.
La sesta stagione, andata in onda a gennaio 2017, ci propose la vittoria elettorale della prima presidente donna degli Stati Uniti, la democratica Elizabeth Keane.
La stampa si precipitò a parlare di una profezia errata… ma ne siamo proprio sicuri?
L’intera stagione ruota attorno al tentativo di un gruppo di scontenti dell’esito elettorale di sferrare un attacco contro le sedi istituzionali degli Stati Uniti, per impedire con la forza l’insediamento della presidente neoeletta. Tra costoro c’è anche il conduttore televisivo sovranista Bretty O’ Keefe, che innescherà una pericolosa escalation antigovernativa.
Al tempo, la trama parve fantasiosa e poco aderente alla realtà, ma se nella vostra mente si stanno dipanando le immagini dell’assalto a Capitol Hill di quattro anni dopo, siete sulla giusta strada.
Pur non riuscendo a prevedere l’esito elettorale, la serie intuì con un quadriennio di anticipo che i sostenitori di Trump e l’estrema destra americana non avrebbero accettato facilmente una sconfitta alle urne, e avrebbero potuto ricorrere alla forza per impedire l’insediamento di un presidente dem.
Ancora Homeland e la minaccia della Russia
Dopo le avventure di Carrie Mathison negli USA e la sventata escalation elettorale, Homeland concluse il suo ciclo con due stagioni, la settima e l’ottava, dedicate in misura preponderante all’emergere di una nuova minaccia sullo scacchiere politico mondiale: la Russia di Putin.
Non si tratta della tipica spy story dedicata agli intrighi sotterranei orditi da agenti del Cremlino che cercano di eliminare oligarchi dissidenti, come si è visto nella recente seconda stagione di Slow Horses su Apple Tv+ (tratta dai romanzi di Mick Herron) e anche in molti altri film e serie tv, bensì di uno scenario completamente nuovo: una “seconda guerra fredda”, in cui la Russia si prepara a mettere in crisi l’egemonia mondiale degli Stati Uniti senza timore di ricorrere all’uso della forza.
La stessa protagonista viene tenuta prigioniera e sottoposta a un lavaggio dal cervello da parte degli agenti russi, che finiscono per arruolarla in una missione che punta a eliminare il suo storico mentore e amico Saul Berenson e a indebolire la presidenza USA in vista di un macroscopico rovesciamento di fronte.
Come mai un ritratto così aggressivo e minaccioso della Russia di Putin?
Nel biennio 2017-2018, al momento della messa in onda delle due stagioni, la scelta lasciò perplessi molti telespettatori, ma ancora una volta la serie tv è stata capace di precorrere i tempi, anticipando il cambiamento dello scenario politico mondiale dopo la crisi ucraina.
Utopia e la pandemia di Covid
Tiriamo tutti un respiro profondo, perché stiamo per parlare di sinistre cospirazioni planetarie, pandemie influenzali e vaccini solo apparentemente innocui.
Fatto? Bene, possiamo procedere.
Non importa come la pensiate, dal momento che in ogni caso, bufala o complotto, è decisamente improbabile – per usare un eufemismo – che un’oscura serie tv britannica del 2013, intitolata Utopia e andata in onda su Channel 4, abbia qualche legame con la recente pandemia di Covid-19.
Dal punto di vista artistico, si tratta di una serie cult, superlativa e visionaria, ma ancora vergognosamente priva di un distributore italiano (esiste un remake americano prodotto da Amazon Prime nel 2020, ma è decisamente indegno di menzione).
A livello narrativo, il telefilm racconta le disavventure di un gruppo di persone comuni che entrano in contatto con un’inedita graphic novel da collezione, nelle cui pagine è codificato un oscuro segreto.
I nostri eroi scoprono così una cospirazione ordita da una misteriosa organizzazione segreta – il Network – che, in accordo con le maggiori case farmaceutiche del mondo, sta approfittando della diffusione di un nuovo ceppo influenzale per diffondere in tutto il mondo un vaccino che, a lungo andare, renderà sterili le persone, così da prevenire il sovrappopolamento del pianeta.
Mettiamo le mani avanti ancora una volta, e ripetiamolo tutti insieme: Utopia non ha predetto la realtà, e non avrebbe potuto farlo!
La profezia della serie è semmai molto più sottile, dal momento che il suo autore Dennis Kelly ha intuito come l’intreccio tra pandemie, complotti e vaccini rappresenti una paura profondamente radicata nell’immaginario collettivo, che a distanza di quasi un decennio sarebbe tornata a scuotere il mondo intero.
Del resto, l’uomo teme ciò che non conosce e non può controllare, e nulla come il mondo sanitario alimenta i suoi timori più atavici.
Black Mirror e le nuove, preoccupanti tecnologie
Concludiamo questa breve rassegna parlando della serie distopica per eccellenza, nata sulla britannica Channel Four e successivamente ripresa da Netflix, che, a detta della stragrande maggioranza della critica, ne ha però snaturato progressivamente l’identità.
Stiamo parlando di Black Mirror, un telefilm antologico che, in ciascun episodio, fotografa una differente tipologia di uso distorto e oppressivo delle nuove tecnologie e dei mass media a danno dell’essere umano.
Nell’episodio Nosedive, andato in onda nel 2016, viene introdotto un inquietante sistema di “rating sociale” che condiziona ogni dettaglio della vita dei cittadini nel prossimo futuro.
Negli anni seguenti, la Cina ha effettivamente introdotto un preoccupante sistema di “social credit” che funziona pressappoco allo stesso modo: a seconda del loro comportamento pubblico, del loro livello di responsabilità e dalle loro “affidabilità”, i cittadini possono accedere a mutui, finanziamenti e altri benefit sociali, mentre chi sporca i luoghi pubblici, non attraversa sulle strisce o è considerato “socialmente fastidioso” perde questi benefici, e potrebbe non aver nemmeno più diritto a prenotare un treno o un bus.
Anche se la lista delle intuizioni di Black Mirror è molto più lunga e potrebbe proseguire a oltranza, riteniamo che, purtroppo, questa sia di gran lunga la più significativa.