Lo abbiamo imparato leggendo il libretto d’istruzione delle apocalissi. L’inizio della fine è importante. Per questo davanti a un evento come la serie tv di The Last of Us i nostri fari erano puntati anche sulla sigla dello show HBO. Un network che da sempre ci ha regalato dei titoli di testa evocativi, diventati quasi inni nazionali (qualcuno ha detto Game of Thrones?), spesso capaci di alzare l’asticella di quella che è diventata una specie di opera d’arte nell’opera d’arte. A questo aggiungiamo l’immaginario avvolgente di The Last of Us, così decadente e riconoscibile da prestarsi a un opening altrettanto iconica. Così, dopo la messa in onda del primo episodio di The Last of Us, ci è sembrato giusto sottoporvi a una scrupolosa analisi della sigla della serie (che potete seguire nel nostro video qui sopra). Armatevi di microscopio, mascherina e bisturi, e partiamo.
Apocalisse familiare
Diciamo subito una cosa. In quel cammino tortuoso che è l’avventura di Joel ed Ellie, HBO ha scelto una strada familiare. Lo ha fatto con una sigla che rievoca tantissimo sentieri già battuti altrove. Per prima cosa (e questa per noi era quasi una scelta obbligata) riecco lo splendido tema principale di Gustavo Santaolalla. Una colonna sonora irrinunciabile, potente e poetica, e soprattutto capace di incarnare l’essenza contradditoria di The Last of us. Le note del compositore argentino sono malinconiche, capaci di rievocare la desolazione di un mondo in rovina, ma allo stesso tempo cullano la speranza di una rinascita. Insomma, non poteva esserci altro bigliettino da visita acustico per la sigla di The Last of Us. Forse, però, ci aspettavamo un po’ più di creatività nel tipo di opening, che di fatto ricalca il concept vincente di Game of Thrones. Una minuziosa panoramica dell’universo narrativo in cui si svolgeranno i fatti con tanto di elementi che emergono dalla mappa. Una specie di usato sicuro sempre funzionale, a cui HBO non ha voluto rinunciare. Dopotutto la serie si prenderà ben altri rischi con alcune scelte drastiche (per noi tutte vincenti), ma almeno con la sigla ha puntato tutto sulla familiarità.
Stati Disuniti d’America
Rovina e vita, dicevamo. Sono le due sensazioni che camminano a braccetto lungo tutta questa sigla che in 1 minuto incarna tutta l’essenza di The Last of Us. Per prima cosa: questa è una storia di luoghi trasfigurati e di persone che cambiano attraversandoli. E così abbiamo una sigla in cui tutto muta come dentro un virus che si diffonde a macchia d’olio. Ma quella di Joel ed Ellie è soprattutto una storia on the road. Una storia americana on the road. Ecco allora che la sigla si apre come un contagio che scorre nelle vene di un infetto per poi dare sfogo al germogliare di una sorta di fungo, che in realtà sembra formare lo skyline di una metropoli. È soltanto dopo, mentre il virus si diffonde tracciando la mappa degli Stati Uniti, che emerge un altro dettaglio: quella città potrebbe non essere una citta casuale, perché probabilmente è Seattle. La notiamo, lì a Nord Ovest della mappa, evidenziata come un centro nevralgico. Qualcuno ci starà giustamente “perché?”, solo se quel qualcuno non ha mai giocato a The Last of Us – Parte II dove il capoluogo dello Stato di Washington ha un ruolo a dir poco centrale. La panoramica poi abbraccia tutti gli Stati Uniti infettati spostandosi verso la East Coast, ovvero verso le città in cui è ambientata la serie, divisa tra Austin in Texas e Boston nel Massachusetts. Sembra quasi una promessa: in The Last of Us l’ambientazione non è soltanto un sfondo, ma una vera e propria co-protagonista della storia. Un’importanza cruciale sottolineata da questa sigla, dove il senso di appartenenza alla terra emerge in modo quasi disperato.
La speranza germoglia
Abbandonata la mappa alle nostre spalle, eccoci entrare nel lato più disumano di The Last of Us: la mutazione fisica degli infetti, destinati a trasformarsi in creature fameliche (runner, clicker o bloater a seconda dello stadio d’infexione). Allora ecco emergere l’inquietante profilo di un umano urlante, attraversato da orribili escrescenze. Protuberanze che continuano a proliferare sullo schermo, proprio come fa il Cordyceps (inesorabile) nel corpo umano. Poi, alla fine, dopo aver attraversato un breve tunnel composto dal fungo virale, ecco che la Natura di colpo cambia. All’improvviso non è più la minaccia del virus che prolifica, ma un terreno fertile da cui germogliano delle piante. Tra loro ecco due ombre umane, due silhouette in formazione. Ovvero Joel ed Ellie, ancora una bozza delle persone nuove che diventeranno lungo il cammino.