Il 2023 non è certo iniziato nel migliore dei modi per gli abbonati Netflix: nelle prime due settimane la scure della piattaforma è già calata su tre titoli del catalogo, e sembra imminente pure il blocco agli account condivisi.
A fare scalpore è stata soprattutto l’inattesa cancellazione di 1899, enigmatica nuova serie prodotta dai creatori di Dark, Baran bo Odar e Jantje Friese, e concepita con un piano da tre stagioni.
Nonostante il telefilm fosse approdato nella Top 10 della piattaforma e avesse ricevuto recensioni alquanto positive da critica e pubblico (sia pure con alcune eccezioni), agli appassionati non è rimasto altro che un frustrante finale in sospeso, destinato a non trovare risposta.
Nei giorni successivi, all’elenco delle vittime si è aggiunta anche la serie animata Inside Job: Netflix aveva già annunciato il rinnovo per una seconda stagione, ma è tornata sui suoi passi, e ha cestinato il progetto.
Il terzo telefilm a mordere la polvere è stato Uncoupled, dissacrante commedia con Neil Patrick Harris, anch’esso cancellato dopo il primo ciclo di episodi.
Nel frattempo, pare che entro metà 2023 non sarà più possibile spartire un profilo: in Italia finiranno nel mirino oltre 3 milioni di account, a cui verrà addebitato un extra costo per continuare a condividere la password.
Insomma, una pioggia di brutte notizie che si sommano a quelle di un 2022 già decisamente in chiaroscuro, con tanti prodotti cancellati, un’impennata della concorrenza e, soprattutto, una forte crisi d’identità per il marchio con la N rossa.
Certo, la piattaforma resta ampiamente leader nel settore con oltre 223 milioni di abbonati, e a livello economico chiuderà l’esercizio in forte attivo, a differenza di Disney Plus e altri concorrenti.
La marea, però, sta cambiando: facciamo il punto esplorando alcuni preoccupanti segnali di crisi per il colosso Netflix.
La tagliola della prima stagione
Cos’avevano in comune i tre telefilm cancellati nelle prime due settimane del 2023? Erano prodotti che avevano appena concluso la loro prima stagione.
Il fenomeno è decisamente generalizzato: nel corso del 2022, Netflix ha cancellato ben 22 titoli, tra cui 20 serie tv già pubblicate e in attesa di rinnovo, e 2 telefilm animati (Bone e Bad Crime) in corso di sviluppo, che non avevano ancora visto la luce.
Al contrario, solo 4 titoli si sono conclusi regolarmente, raggiungendo il finale ideato dagli autori. La tendenza si presta a due possibili interpretazioni, entrambe decisamente poco incoraggianti.
La prima ipotesi è che Netflix abbia preso l’abitudine di lanciare sul mercato una pioggia di prodotti in cui non crede, e su cui non intende investire a lungo termine, salvo che un colpo di fortuna non li renda autentici tormentoni mediatici com’è accaduto, ad esempio, a Stranger Things e Mercoledì.
Oppure, in alternativa, Netflix non è in malafede e parte con la genuina intenzione di sostenere lo sviluppo dei propri titoli, ma evidentemente sopravvaluta le proprie previsioni di mercato e va incontro a continui flop, con un macroscopico divario tra il target atteso e il risultato effettivo.
Difficile dire se si tratti di una precisa strategia, o di stime preliminari sbagliate: ad ogni modo, così facendo, il catalogo della piattaforma si sta affollando di titoli fermi alla prima stagione, che non avranno la possibilità di proseguire e finiranno inevitabilmente per frustrare lo spettatore, stanco di trovarsi continuamente di fronte a vicoli ciechi, privi di una degna conclusione.
In tal senso, il grafico qui sopra è decisamente indicativo, e non richiede ulteriori commenti.
La profezia che si auto-avvera
Dal momento che ci rifiutiamo di immaginare che Netflix stia intenzionalmente trascurando i propri spettatori, nel tentativo di catturare l’attenzione di nuovi abbonati con una pioggia di titoli-meteora sempre diversi, prendiamo per buona la seconda ipotesi, ossia quella di un rendimento sotto le attese.
Cosa può incidere così tanto sulle previsioni di ascolto e sulle indagini di mercato della piattaforma?
Da “Samarcanda” di Roberto Vecchioni alla tragica vicenda di Anakin Skywalker in Star Wars: Episodio III, tutti conosciamo il topos della profezia che si auto-avvera, senza scomodare gli antichi miti greci.
Lo schema è sempre lo stesso: quando un individuo scopre che un fatto spiacevole sta per verificarsi cambia la propria rotta ma, paradossalmente, è proprio questa deviazione a innescare l’evento indesiderato.
Con Netflix – ipotizzano alcuni critici americani – sta accadendo qualcosa di simile.
Un potenziale spettatore scopre l’imminente uscita di un titolo che gli interessa, ma, sapendo che la piattaforma ha la fama di avere il grilletto facile sul fronte delle cancellazioni anticipate, decide di aspettare il rinnovo per la seconda stagione, anziché sprecare il proprio tempo in una storia che potrebbe non giungere a compimento.
Del resto, su Amazon, Disney, Paramount, Apple e le altre piattaforme streaming, ma anche sulla cable tv (si pensi a Sky, o alle americane Showtime, FX ed AMC) ci sono centinaia di proposte alternative per ingannare l’attesa.
Il comportamento si ripete su vasta scala: nel periodo di monitoraggio, Netflix rileva ascolti molto inferiori alle aspettative, e cancella la serie.
A ben vedere, però, non si tratta soltanto di una profezia che si auto-avvera, ma anche di un circolo vizioso che si auto-alimenta.
Per cui, anche se questo fenomeno non si stesse davvero verificando, le continue cancellazioni finiranno inevitabilmente per attribuire questa nomea a Netflix, e innescarlo nel prossimo futuro…
Netflix ha pur sempre il primato degli abbonamenti…
Guardiamo al rovescio della medaglia: Netflix, l’abbiamo detto, è il leader del settore dello streaming, e vanta oltre 223 milioni di abbonati in tutto il mondo.
Si tratta del cosiddetto “vantaggio del first mover”: con House of Cards, Orange is the New Black, Sense8, Narcos e Stranger Things, dal 2013 al 2016 Netflix ha gettato le basi del proprio impero dello streaming anticipando tutti i concorrenti, e ha conquistato uno smisurato numero di abbonamenti.
In America le emittenti broadcast gratuite e le tv via cavo hanno accusato il colpo, e sono entrate in una crisi profonda, mentre Netflix ha iniziato a produrre film d’autore (il primo fu Beast of No Nation di Cary Fukunaga, nel 2015), sbarcando persino ai più prestigiosi festival cinematografici e iniziando a fare concorrenza anche alle sale.
Come non correre ad accaparrarsi un abbonamento che consentiva di accedere sul proprio televisore di casa a cinema e serie, con tantissime proposte originali per tutti i gusti?
Ancora oggi, Netflix continua a godere dei frutti di questa “stagione dorata”, caratterizzata da una coraggiosa sperimentazione e dell’investimento su prodotti che non interessavano ad altri distributori: si pensi al caso Lucifer, scartato da Fox e diventato la punta di diamante del catalogo Netflix, a serie tv “coraggiose” come Dark e The OA, ma anche alla più recente scelta di dare spazio a film altrove indesiderati, come The Irishman e Storia di un Matrimonio.
Il primato degli abbonamenti è ancora molto solido, ma la concorrenza inizia a farsi sentire: Amazon Prime ha superato i 200 milioni di abbonati e Disney Plus ne ha oltre 164 milioni, mentre HBO Max sta per raggiungere quota 95.
Il vento, insomma, sta iniziando a mutare direzione…
…ma la crescita si sta fermando!
Per capire come possa evolvere il mercato nei prossimi anni, però, non occorre guardare tanto al patrimonio degli abbonamenti già acquisiti, quanto all’andamento della nuova campagna iscrizioni.
Qui il bilancio è ben meno roseo, e appare del tutto evidente come Netflix stia facendo enorme fatica a conquistare nuove iscrizioni.
A nostro parere non si tratta di un punto di saturazione naturale del mercato (i concorrenti, dal canto loro, crescono eccome!), e le cause di questa crisi ci sembrano strettamente collegate con quel che si diceva in precedenza, in tema di telefilm cancellati e politiche sempre meno coraggiose.
Limitiamoci, però, alle cifre.
Nei primi due trimestri del 2022, dopo un decennio di crescita costante, la piattaforma ha fatto registrare non soltanto una crescita zero, ma addirittura una lieve perdita di abbonati (prima -0,2 e poi -1 milione di account).
Poi, complice il successo di Sandman, nel terzo trimestre Netflix ha recuperato il terreno perduto (+2,4 milioni di account) e, sull’onda del fenomeno globale rappresentato da Mercoledì, serie che è andata molto al di là delle previsioni iniziali, pare possa chiudere l’anno con una ulteriore impennata da 4,5 milioni.
Fatti i debiti paragoni, però, il grafico qui sopra parla chiaro: dopo un 2020 eccezionale a causa della pandemia, e un 2021 molto sotto le attese, il 2022 di Netflix è stato un flop tremendo, soprattutto rispetto alle annate precedenti.
I segnali non sono certo incoraggianti, e il pericolo di una crescita zero sembra essere davvero dietro l’angolo.
Cambio di strategia
Qualche giorno fa Bela Bajaria, responsabile dei contenuti televisivi di Netflix, è tornata a ribadire il proprio ottimismo sul futuro della piattaforma in un’intervista con il The New Yorker, e ha fatto capire quale sarà la nuova politica seriale e cinematografica del colosso dello streaming, riferendosi un suo recente colloquio con il CEO Ted Sarandos.
Nel 2013, Sarandos aveva dichiarato che l’obiettivo di Netflix era quello di “diventare HBO più velocemente di quanto la stessa HBO possa diventare Netflix”.
In altri termini, prima che HBO approdasse in streaming, Netflix ambiva a diventare l’emittente numero uno in America e al mondo per qualità dei propri titoli, al punto da rivaleggiare persino con le sale cinematografiche.
La HBO di cui parlava Sarandos, ovviamente, era quella de I Soprano, Carnivale, Deadwood, Rome, Game of Thrones e Boardwalk Empire, e non l’attuale HBO Max di marca Warner Bros, di qualità ben più discutibile.
Oggi, invece, la strategia è cambiata: secondo Bela Bajaria, il nuovo piano di Sarandos è far diventare Netflix “in parti uguali HBO, FX, AMC, Lifetime, Bravo, E! e Comedy Central”, ossia trasformarla in uno spazio che proponga contenuti di ogni categoria e livello qualitativo.
Il nuovo obiettivo della piattaforma è rivaleggiare con tutte e sette le emittenti via cavo citate, ciascuna dotata di una propria identità distintiva sul mercato, dal crime alla soap opera, e dai prodotti di bassa lega alla serie di alta qualità.
L’ambizione è chiaramente quella di creare un’autentica tv parallela, capace di competere con tutto il resto del mercato, e proporre un’offerta così ampia e diversificata da reggere qualsiasi tipo di confronto.
La buona notizia è che Netflix ha tutte le carte in regola per raggiungere il suo scopo. La cattiva è che potrebbe riuscirci davvero…
Crisi di identità
A nostro avviso, a dire il vero, il maggior problema dell’attuale catalogo Netflix sta proprio nella sovrabbondanza di ogni tipo di contenuti, di qualità già fin troppo variegata e disomogenea!
Abbiamo già affrontato il problema in merito all’attendibilità storica dei suoi titoli, ma il discorso è ben più generalizzato: nel catalogo coesistono titoli di alto profilo e contenuti di livello estremamente basso, e non sempre – per usare un eufemismo! – i suggerimenti dell’algoritmo sono così calzanti nell’orientarci in questo sconfinato labirinto.
Certo, con la giusta fortuna – o esperienza – si possono incontrare film e serie d’autore di livello decisamente alto, firmati da autori quali Scorsese, Baumbach, Cuarón, Iñárritu, Fincher, Refn e tanti altri ancora.
Ma lo spettatore meno esperto si può anche imbattere, con una frequenza ampiamente maggiore (potremmo parlare, con una stima sommaria, di 10 a 1!), in film di livello infimo, che rientrano a pieno titolo nel malfamato filone dei B-movie.
Lo stesso discorso, ovviamente, vale anche per i documentari, le serie e i titoli d’animazione.
A nostro avviso, sarebbe quantomeno auspicabile la creazione di vari sotto-brand, o quantomeno di “etichette” che permettano allo spettatore di distinguere i film d’autore da quelli di serie B, e le serie tv di alto profilo da quelle prive di troppe pretese.
“A noi la qualità c’ha rotto er…”
Più in generale, possiamo constatare senza tema di smentita come la qualità media delle nuove produzioni Netflix – sia pure con tutte le doverose eccezioni del caso – si stia vistosamente abbassando.
Le serie tv, in particolare, sembrano rispondere a logiche creative sempre più standardizzate, sia dal punto di vista narrativo che dal quello tecnico-artistico, con il risultato che molti prodotti tendono sempre più ad assomigliarsi tra loro.
Come al solito, gli autori di Boris sembrano averci visto lungo, e molti degli stereotipi fotografati nella quarta stagione sembrano davvero prendere aver preso la meglio dietro le quinte della produzione.
È possibile che la piattaforma, al di là delle dichiarazioni di facciata, stia cercando un compromesso al ribasso?
Sembrano suggerirlo le uscite in sordina dei film Bardo e Rumore Bianco, e della serie Copenhagen Cowboy, che hanno esordito su Netflix senza alcuna campagna pubblicitaria tra fine 2022 e inizio 2023, malgrado l’ottima qualità e il ruolo di primo piano giocato durante l’ultimo Festival di Venezia.
Evidentemente Netflix ambisce per davvero ad essere al tempo stesso la nuova HBO e la nuova Lifetime (emittente americana nota per lo scarso livello dei suoi prodotti), ma forse non proprio “in parti uguali” come dice Ted Sarandos…
Eppure, tra il 2013 e il 2017 era stata proprio la scelta di privilegiare la qualità e la sperimentazione a ogni costo a sancire i primi successi di Netflix!
I primi passi falsi
Come se non bastasse, a complicare ulteriormente lo scenario stanno contribuendo pure i primi passi falsi della piattaforma sul versante commerciale, nel disperato tentativo di far fronte una stagione di forte crisi economica sul versante dei consumi.
Per combattere la scarsa crescita degli abbonamenti, nella seconda metà del 2022 Netflix ha introdotto la possibilità di iscriversi al servizio con una tariffa ridotta, ma con inserzioni pubblicitarie.
Anziché potenziare la qualità dei propri contenuti e giustificare il costo dell’abbonamento, insomma, la piattaforma ha cercato di invertire la rotta e tornare al modello della tv broadcast, come le italiane RAI e Mediaset, e le americane Nbc, Abc, Fox, Cbs e The CW.
Emittenti che, pure, stavano – e stanno tuttora – attraversando un periodo di fortissima crisi proprio a causa della concorrenza dello streaming, concorrenza che nell’ultimo decennio ha convinto molti spettatori a lasciar perdere le trasmissioni costantemente intervallate dalle inserzioni pubblicitarie.
E così, paradossalmente, Netflix ha finito per cadere vittima di se stessa: secondo la società di analisi Antenna, solo lo 0,2% degli abbonati totali avrebbe scelto questa soluzione, con due gravi effetti indesiderati.
Secondo il report, ben il 43% di chi ha scelto questo piano non avrebbe fatto altro che cancellare l’abbonamento più costoso per sottoscrivere quello più economico, causando una perdita per la piattaforma.
Inoltre, sul fronte pubblicitario, Netflix avrebbe fornito agli inserzionisti soltanto l’80% del minimo contrattuale di spettatori, e si sarebbe trovata costretta a rimborsarli.
Certo, la piattaforma si è precipitata a smentire le quantificazioni effettuate da Antenna, ma la scelta di Netflix di non fornire dati ufficiali in proposito pare decisamente eloquente…
Guerre Stellari in arrivo…
No, non sta arrivando un film di Star Wars su Netflix. E non stiamo parlando neppure del promettente Rebel Moon, che Zack Snyder sta sviluppando per la piattaforma dopo la sua lunga querelle con Warner Bros.
Le “Guerre Stellari” a cui facciamo riferimento sono quelle che vedono Netflix minacciata dalle nuove superpotenze dello streaming, in primis Amazon Prime e Disney Plus.
Abbiamo già osservato come il numero degli abbonati delle piattaforme concorrenti sia in forte aumento, ma tocca pure constatare come i rivali dispongano di due importanti vantaggi.
Anzitutto, sia Amazon che Disney sono due grandi conglomerati, che non si limitano certo al settore dello streaming e hanno anzi il proprio baricentro finanziario in ben altri settori (e-commerce, cinema, parchi divertimento…).
Questo consente loro di effettuare investimenti a fondo perduto con il solo obiettivo di sconfiggere l’avversario, anche a costo di subire una perdita economica come, infatti, sta accadendo a Disney Plus.
Inoltre, sia Amazon che Disney vantano nel proprio arsenale parecchi franchise molto importanti, già seguiti da molti milioni di persone.
Per Prime è il caso di Il Signore degli Anelli, ma anche di La Torre Nera (che sarà sviluppato proprio da Mike Flanagan, ex regista della scuderia Netflix!), Blade Runner, God of War, Fallout, Warhammer 40.000 e Mass Effect.
Nel caso di Disney, riteniamo sufficiente citare Marvel e Star Wars, ma anche Alien, Indiana Jones e tante altre saghe ancora, tra cui l’intero patrimonio d’animazione che sta alle origini della compagnia.
Netflix, dal canto suo, non sembra in grado di competere con un tale volume di fuoco, pur avendo in cantiere lo sviluppo di Assassin’s Creed e Narnia. Progetti, peraltro, di cui a ben vedere si è ormai persa traccia da alcuni anni…
Nulla, però, è perduto: tutto starà alle prossime mosse della piattaforma, che nel triennio 2023-2025 sembra davvero chiamata alla resa dei conti.
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