Raccogliere un’eredità pesante. Tanto della storia di Avatar – La via dell’acqua gira intorno al concetto di ciò che prendiamo e poi restituiamo al mondo come bagaglio di vita vissuta, ma è anche una riflessione sulle conseguenze per le scelte compiute. È così per Jake Sully e la sua famiglia, costretti a fuggire e nascondersi per salvare il suo popolo dalla vendetta di Quaritch. Ed è così anche per lo stesso colonnello che torna in versione Avatar per cambiare le azioni del suo passato. E così come nella storia, anche per la colonna sonora è stata una questione di onorare ciò che è stato.
Già, perché Simon Franglen, compositore della OST per questo secondo capitolo, ha attinto a piene mani dal lavoro del compianto James Horner, il maestro che creò le meravigliose e iconiche musiche del primo film e compagno di mille avventure di James Cameron, e ha fatto suo il nucleo di quella prima e immortale colonna sonora. Le melodie di Horner oggi sono rimaste e sono state riprese per tutta la durata di questa nuova storia, ma poi accade altro. Subentrano nuovi stimoli, arrivano nuove generazioni, cambiano i tempi.
E allora oltre alle musiche del film, il compito di darci il bentornati su Pandora è toccato a The Weeknd e alla sua Nothing is Lost, coprodotta dagli Swedish House Mafia e dallo stesso Franglen. Un pezzo tipico del cantante canadese, molto oscuro e battagliero che si contrappone a quell’I See You con cui Leona Lewis nel 2009 ci aveva accolti nel mondo di James Cameron.
Un canto tribale ma anche un puro pezzo R&B, che si avvale della forza della famiglia e soprattutto delle popolazioni marittime che conosciamo nel film: quei Metkayina quasi forse più simili ai primi concept dei Na’vi di Cameron, che per il suo racconto si era ispirato alle popolazioni e all’ecosistema della Polinesia.
Seguire le orme: raccogliere l’eredità
Elemento comune tra la prima colonna sonora di Avatar e la musica di The Weeknd è l’utilizzo dei cori. Tribali, che fondono le voci degli umani e dei Na’Vi. Nothing is Lost è antitesi del brano che inizia e conclude il film in sala: la Songcord di Neytiri. Già perchè se il brano del canadese si mette nei panni di Jake Sully (“un padre protegge, è quello il suo compito”) Songcord è un inno Omaticaya alla vita, ad accogliere tutto ciò che è stato e accoglierlo per ripartire.
E per capire l’uso dei suoni, innovativi come mai, è necessario fare un passo indietro e partire dal lavoro immenso fatto da James Horner per il primo Avatar. Perché se il punto di partenza sono state le popolazioni e gli strumenti delle culture indigene neozelandesi e polinesiane, da qui poi il compositore ha preso un’altra strada grazie alle tecnologie che gli hanno consentito di digitalizzare strumenti e campionare voci per poi alterarle e creare così da zero un set completo di nuove strumentazioni e cori. Questo per adattarsi alla nascente cultura Na’Vi, con l’obiettivo di creare un comparto sonoro unico, qualcosa di mai sentito prima.
In una vecchia intervista al LA Times lo stesso Horner raccontava il processo di digitalizzazione dei flauti sud americani e finlandesi campionati e poi alterati, o dello stesso schema eseguito con il gamelan, una musica polinesiana creata con delle percussioni tipiche di Bali e dell’Indonesia, per aggiungere delle percussioni che sono diventate poi il suono tipico della bioluminescenza delle foreste di Pandora. Partendo da qui e da questa orchestra ricreata, Franglen ha potuto lavorare alla OST con delle solide, atipiche quanto innovative basi e conseguentemente alla produzione del pezzo di Tesfaye (vero nome di The Weeknd).
Un lavoro di eredità e connessione che lo stesso compositore della OST de La via dell’acqua ha rivendicato durante l’intervista al podcast Traversing the stars, dove ha raccontato la grande similitudine con il lavoro del 2009: la volontà cioè di creare dei suoni nuovi che fungessero da identità sonora per i differenti ecosistemi di questo pianeta. Partendo da qui, il sequel ha dovuto riprendere quel materiale, farcelo riascoltare per famigliarizzare nuovamente con le foreste Omaticaya e poi espanderlo per essere funzionale ai nuovi spazi che scopriamo al seguito della famiglia Sully. Il risultato è che anche l’elemento più affine a noi umani, l’acqua, acquisisce un suo suono identificativo, fatto di percussioni e cori.
Questo è il grande motivo per cui in Avatar la musica è sempre presente e i momenti in cui essa manca li possiamo contare e forse anche cronometrare sulle dita di una mano: il suono usato come elemento di immersione. La luce e l’acqua che hanno un loro rumore e ci fanno decisamente capire di essere parte di quell’ambiente.
Anche Payakan, il grande Tulkun reietto, parla con la musica. I Tulkun vengono descritti come animali infinitamente intelligenti. Hanno filosofia, musica, una loro lingua e matematica. Delle grandi balene con cui si instaurano rapporti famigliari forti e per loro Franglen ha lavorato su una combinazione di violini e corni francesi, cercando di restituirci una sensazione di eleganza e calore.
Nothing is Lost: arrivare a tutti con la voce di The Weeknd
Cosa hanno in comune quindi le musiche di Avatar e quelle di The Weeknd? Il tentativo di creare qualcosa di nuovo fondendo il materiale esistente. Se la colonna sonora di Avatar mescola differenti strumenti e cori come detto campionati, alterati e digitalizzati, Abel Tesfaye ha fatto del suo tratto distintivo il mix tra l’R&B, il pop e l’hip-hop, a cui negli anni ha unito dapprima delle sonorità che richiamavano molto le colonne sonore (dando un’impronta cinematografica ai suoi lavori), spostandosi poi negli ultimi tre album invece su delle sonorità synth (quasi cyberpunk) tipiche del pop anni 80.
Da sempre al centro dei suoi testi vi sono i rapporti intimi e famigliari e il racconto della vulnerabilità delle persone e dei conflitti interiore all’essere umano, che possono manifestarsi anche in modalità tossiche: tematiche esposte in brani sì molto pop e commerciali, ma che non trattano l’aspetto “glamour” o romantico dei sentimenti, preferendo un piglio più cinico. Oltre a una esplicita rappresentazione della morte che lo ha portato a mostrarsi insanguinato, ferito e malmenato in alcuni dei suoi videoclip e sulla copertina del suo penultimo disco After Hours.
Nothing is Lost, vede alla produzione, oltre al lavoro di Simon Franglen, la collaborazione con i rinati Swedish House Mafia, che a cavallo degli anni ‘10 hanno dominato la scena EDM e che con lui hanno realizzato pezzi come A Moth to a Flame dell’ultimo album Dawn FM. Qui in realtà la loro impronta è molto più soffusa e anzi, la base del pezzo sembra molto distante dagli ultimi lavori del cantante che risentivano di quegli influssi del pop anni 80, facendosi più vicina alle atmosfere del suo primo album di debutto: Kiss Land del 2013, un disco le cui musiche volevano essere cinematografiche e che risente della contaminazione delle colonne sonore.
The Weeknd è riconoscibile e unico per il modo in cui utilizza la voce e l’armonizza nei suoi brani, utilizzando questo gioco vocale a mo’ di transizione da una strofa al ritornello, creando una scala per arrivare alla nota più alta (esempio di quel che fa in Out of Time). Questo utilizzo della voce, ha rivelato il cantante, deriva indirettamente dall’ascolto prolungato durante l’infanzia della musica tradizionale etiope nella sua famiglia, da cui ha inconsciamente preso molti tratti che ora sono incorporati nella sua produzione. E questi influssi hanno un peso consistente nel pezzo realizzato per Avatar – La via dell’acqua.
I thought I could protect you / From paying for my sins / And I been walking this earth / Long enough that death’s a gift
All’inizio di Nothing is Lost sentiamo un coro Omaticaya che lascia poi spazio alla voce del cantante. Un mix di linguaggi diversi che il canadese aveva già sperimentato allo stesso modo in Often, singolo tratto dal suo album Beauty behind the madness in cui prende un coro derivante da una canzone turca e lo usa come sottofondo, per poi subentrare con la sua voce.
Il brano di The Weeknd, tanto nei testi quanto nel suo ritmo riesce così come vuole la OST e come fa la trama del film ad alternare toni pacifici ai momenti di guerra (interiore ed esterna), creando un racconto oscuro di conflitti, sensi di colpa e presa di responsabilità e mettendosi in contrapposizione totale con il brano di Leona Lewis se vogliamo (il cui testo è scritto dallo stesso Franglen) che sottolineava molto l’aspetto di scoperta del mondo e l’interconnessione con esso, temi caldi per gli anni ‘10 del nostro secolo e per la nascente attività dei social network.
Songcord: l’inizio e la fine
Il picco delle musiche di questo film però si ha con un brano che segna l’inizio e la fine della pellicola. Il Songcord in Avatar è il ciondolo che vediamo in mano a Neytiri all’inizio de La via dell’acqua. Un oggetto che gli Omaticaya utilizzano per conservare la memoria della propria famiglia, del proprio clan e tramandarla. Ma viene utilizzato anche per trasmettere informazioni e racconti da una generazione all’altra.
Songcord però è anche il canto poetico con cui inizia a finisce Avatar – La via dell’acqua. Un brano intenso cantato da Neytiri per celebrare la nascita e la fine della vita: Eywa che dà e che riprende quell’energia presa in prestito dagli abitanti di Pandora.
Franglen per questa canzone ha cercato di raccogliere tutta l’intensità della recitazione di Zoe Saldana e per questo non ha pre registrato la voce in sala di registrazione ma ha voluto raccogliere in presa diretta il canto dell’attrice durante la sua performance sul set. Impresa non semplice, se consideriamo che il prezzo è completamente cantato in lingua Na’Vi.
Il testo è commovente. Un inno alla vita e allo stesso tempo un requiem per il primogenito Neteyan ma anche un grido al miracolo per la stupefacente nascita di Kiri, un evento straordinario considerato che è avvenuto dopo la morte della madre (Sigourney Weaver) e nata apparentemente senza padre.
Na’Vi | Inglese | Italiano |
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lie si oe neteyamur | I experience Neteyam | Vivo l’incontro con Neteyean |
nawma sa’nokur mìfa oeyä | To the great Mother in me | Per la grande madre che è in me |
atanti ngal molunge | You brought light | Tu porti la luce |
mipa tìreyti, mipa ‘itanti | New life, a new son | Nuova vita, un nuovo figlio |
zola’u nìprrte’ ma kiri | Welcome Kiri | Benvenuta Kiri |
ngati oel munge soaiane | I brought you to the family | Ti porto nella nostra famiglia |
lie si oe atanur | I experience the light | Io vivo l’esperienza della luce |
pähem parul, tì’ongokx ‘awtuta | A miracle arrives, birth from one | L’arrivo di un miracolo, nata da una |
E la conclusione che ringrazia Eywa per il giorno e la notte, per l’energia data e per ciò che ci ha permesso di fare in questo tempo:
Na’Vi | Inglese | Italiano |
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ngaru irayo seiyi ayoe, tonìri tìreyä | We give thanks for the nights of life | Ringraziamo per le notti della vita |
ngaru irayo seiyi ayoe, srrìri tìreyä | We give thanks for the days of life | Ringraziamo per i giorni della vita |
Alla fine tutto torna alla connessione con Eywa e con il cerchio della vita in sè e anche la musica gira su se stessa e torna alla base, al lavoro di James Horner da cui tutto è iniziato. Perchè si da e si prende. Musica, immagini e un popolo alieno raccontano quello che è un concetto terrestre, il fenomeno fisico della legge della conservazione della massa di Lavoisier: l’energia non resta ferma e non si disfa, ma cambia semplicemente forma. Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma.