Negli ultimi anni l’horror si è confermato come uno dei generi cinematografici che dà vita alle critiche più puntuali, profonde e sagaci sui mali della società moderna: film come Scappa – Get Out, Noi e la più recente versione de L’uomo invisibile sono diventati i porta bandiera di un nuovo tipo di cinema del terrore, capace di affondare il dito nelle piaghe che affliggono la nostra società, dirigendo l’attenzione del pubblico da una parte su quelle che sono – come membri di una società – le nostre più grandi paure, dall’altra su cosa di “noi” dovremmo cambiare e migliorare. Ma l’horror a sfondo sociale è davvero un fenomeno così recente? E perché proprio ora sta riscuotendo un tale successo?
Il mostro siamo noi
Rispondendo subito alla prima di queste due domande è evidente come l’horror abbia invece sempre cercato di raccontare i problemi che affliggono la società in cui viviamo, semplicemente le “tecniche” che ha utilizzato per farlo sono cambiate nel corso del tempo. La definizione più recente e moderna di social thriller la dobbiamo a Jordan Peele che, dopo l’uscita della sua prima opera da regista Scappa – Get Out, ha spiegato che per lui questi film sono “thriller/horror in cui il massimo villain è la società stessa”. Inoltre Peele ha affermato che “per trovare il mostro più spaventoso non abbiamo bisogno di guardare tanto più in là del demone umano. E quando parliamo di demone umano ci riferiamo al male di cui siamo capaci come collettività”, e che questi film, di conseguenza “parlano tutti del mostro che è nell’essere umano, il mostro creato dalla società. Ed il cattivo siamo noi” (interviste al The Chicago Tribune, a The Wall Street Journal e al podcast Still Processing del New York Times).
Il merito che riconosciamo a questo autore è quello di essere riuscito a parlare di razzismo, ineguaglianza sociale e di classe in modo nuovo ed inaspettato, capace di coglierci completamente di sorpresa, ma ciò non vuol dire che in altri momenti della storia del cinema altri autori non ci siano riusciti – a loro modo – altrettanto bene, o che semplicemente non abbiamo incentrato i loro film su altri temi, comunque importanti per il periodo in cui vivevano. Lo stesso Peele, infatti, ha dichiarato di essersi ispirato per Scappa – Get Out a due film realizzati tra gli anni Sessanta e Settanta, Rosemary’s Baby – Fiocco Rosso a New York e La fabbrica delle mogli (entrambi basati su romanzi di Ira Levin): se Scappa – Get Out racconta del (terrificante) tentativo di appropriarsi e di sfruttare il corpo del suo protagonista, un ragazzo nero, Rosemary’s Baby e La fabbrica delle mogli si focalizzano sul corpo femminile, su cui Rosemary e Joanna (le protagoniste dei due film) non hanno più potere, perché questo viene controllato da altri.
Nel caso di Rosemary’s Baby abbiamo una donna la cui gravidanza – risultato di una violenza sessuale da parte del Diavolo – viene gestita e controllata da una serie di uomini: suo marito (che trae un grande vantaggio professionale dall’averla “venduta”), il suo ginecologo e i membri di una setta satanica che vuole far nascere l’Anticristo. Il film drammatizza e rielabora uno dei temi caldi del periodo, ossia le lotte femministe per avere il controllo del proprio corpo ed ottenere diritti come quello all’aborto. Anche La fabbrica delle mogli si muove su una strada simile, mettendo in scena una critica ben assestata ai ruoli di genere tradizionali: nel film diretto da Bryan Forbes infatti troviamo Joanna, che va a vivere con la famiglia in uno di quegli idilliaci sobborghi in cui le donne sono sempre perfette, dolci e gentili. In questo caso però sono anche estremamente sottomesse e devote ai propri mariti: nel corso del film scopriremo, con orrore, che si tratta di robot programmati dagli uomini della cittadina per sostituire le proprie mogli.
L’horror racconta ciò di cui abbiamo paura
Una delle caratteristiche fondamentali del genere horror è quella di raccontare le più grandi paure delle persone, che cambiano a seconda dell’epoca in cui vivono. Nei film di questo genere le paure che condividiamo come membri di una società di trasformano in veri e propri mostri, per questo per capire il perché del successo del social thriller oggi è anche utile guardarsi indietro, e vedere come questo tipo di cinema è cambiato nel corso del tempo.
Restando focalizzati sul cinema horror statunitense, che è il più conosciuto e popolare, è facile notare come fin dai suoi albori sia stato profondamente legato a quello che accadeva in quel Paese (ma anche nel nostro e negli altri). Partendo dagli anni Trenta e Quaranta, in cui la fine dei prosperi anni Venti ha fatto spazio alla devastazione sociale portata dalla Grande Depressione, abbiamo film di successo come Frankenstein, L’uomo invisibile e Il dottor Jekyll e Mr. Hyde, in cui viene rappresentata la fine del sogno americano: la scienza che aveva offerto grandi promesse per il futuro diviene portatrice di indicibili terrori, gli esperimenti non veicolano più progresso ma anzi vanno completamente storti, dando vita – come nel caso di Frankenstein – a mostruose creature.
Con gli anni Cinquanta, invece, una popolazione ancora scottata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e preoccupata per l’inizio della Guerra Fredda, vede le sue più grandi paure (legate principalmente alla devastazione causata dalle armi nucleari) prendere vita nei “Monster Movies”, da Godzilla a Tarantola e tanti altri.
Tra gli anni Sessanta ed Ottanta, poi, con l’aumento dei crimini violenti e la grande ondata di omicidi compiuti da assassini seriali, al cinema arrivano gli slasher movie: da Halloween a Non aprite quella porta e Nightmare dal profondo della notte. Molti dei terrificanti killer che incontriamo in questi film sono infatti ispirati a personaggi realmente esistiti, ad esempio l’operato dell’assassino seriale Ed Gein è una delle fonti che ispirarono il classico di Hitchcock Psyco e il già citato Non aprite quella porta.
Tra gli anni Ottanta e Novanta, invece, l’attenzione collettiva si sposta sull’epidemia di AIDS e sui timori legati ad una malattia di cui ancora si sapeva molto poco: molti horror di allora girano intorno al tema del vampirismo, rappresentato come una malattia infettiva i cui portatori prendono le sembianze di creature demoniache (un esempio può essere Ragazzi perduti o Dal tramonto all’alba).
Concludiamo questo breve excursus passando ad uno dei momenti più difficili vissuti dagli Stati Uniti (ma che ha anche avuto un fortissimo impatto sul resto del mondo): l’11 settembre. Tra i generi di horror che hanno avuto più successo da quel momento c’è senza dubbio l’home invasion, capace di portare su schermo una delle più grandi paure del periodo, ossia che uno “straniero” non ben identificato, per ragioni incomprensibili, si introduca nelle case di onesti cittadini per far loro cose indicibili. Tra i titoli più conosciuti del genere home invasion citiamo, ad esempio, You’re Next, Funny Games e The Strangers, che ci ricordano come nessuno – nemmeno una famiglia bianca e benestante – possa mai sentirsi veramente al sicuro.
Il social thriller di oggi
Che cosa ci spaventa oggi? Viviamo in una realtà in cui grazie ad internet e ai social media siamo perennemente connessi gli uni agli altri, e in cui siamo costantemente bombardati di informazioni e notizie (da quelle con un fondamento reale alle fake news). Non c’è da stupirsi, quindi, che molti degli horror che hanno riscosso più successo negli ultimi anni sono proprio quelli che fanno della tecnologia il mostro da combattere, o comunque la rappresentano come un elemento capace di portare terrore e distruzione nella nostra società. Degli esempi ben riusciti potrebbero essere Unfriended (ed il suo seguito, Unfriended Dark Web), in cui uno strumento (che dovrebbe essere al nostro servizio) come il computer diviene portatore di incredibili orrori, o Assasination Nation, in cui internet ed i social media sono la causa scatenante di terribili scoppi di violenza.
Tra le grandi paure di oggi, poi, in cui come dicevamo siamo sommersi di informazioni (vere o fake) su qualunque argomento, c’è anche quella di essere in balia di governi corrotti o che semplicemente chi ci comanda non sia più all’altezza del ruolo che svolge (mettendo per questo in pericolo i cittadini): tra gli esempi più interessanti di come questo venga espresso nel cinema horror c’è la serie de La notte del giudizio, in cui il governo degli Stati Uniti instituisce un giorno all’anno in cui ogni violenza è permessa. Nel sequel La notte del giudizio – Election Year ci viene mostrato, addirittura, come i politici manipolino i cittadini e sfruttino la violenza a loro vantaggio, e come il benessere della società non sia affatto la loro priorità.
Tra i temi più caldi di questo periodo storico, comunque, ci sono le discriminazioni razziali e il bisogno che abbiamo, come società, di combatterle. Non possiamo quindi che citare ancora una volta Scappa – Get Out, che mette perfettamente in scena il razzismo sistemico che affligge – in primo luogo, visto che lì è stato girato – gli Stati Uniti, in cui la popolazione nera è inevitabilmente soggiogata ai bianchi. Nel film si parla di come il razzismo sia presente anche tra quelle persone che si ritengono progressiste e liberali e si tocca, in maniera puntuale ed efficace, anche la tematica dell’appropriazione culturale.
Sembrano esattamente come noi, pensano come noi, sanno dove ci troviamo. Non si fermeranno finché non ci uccidono o noi uccidiamo loro.
Adelaide (Lupita Nyong’o)
Nel secondo film di Peele, Noi, che ha sancito un altro enorme successo per questo autore, il discorso evolve e si parla nello specifico di ineguaglianza e di classe, di come la famiglia e il luogo in cui nasciamo – e quindi lo status sociale che ereditiamo – determinino il tipo di successo che raggiungeremo nella vita.
Non solo Jordan Peele ha deciso di dare grande spazio a questi temi, di recente è stato infatti particolarmente apprezzato da pubblico e critica un prodotto seriale che fa delle discriminazioni razziali lo spunto per parlare tanto del passato come del presente della società statunitense: Loro. Al centro di questa storia – ricchissima di momenti forti e di sequenze davvero da brivido – una famiglia afroamericana che, negli anni Cinquanta, si trasferisce in un quartiere benestante, abitato esclusivamente da bianchi. Come se non bastassero le continue rappresaglie dei vicini razzisti, a rendere la vita impossibile ai protagonisti ci si metterà anche l’oscura presenza che si nasconde nella loro nuova casa.
Non possiamo poi che citare il remake de L’uomo invisibile, diretto da Leigh Whannell ed interpretato da una splendida ed intensa Elisabeth Moss, che parla di un problema purtroppo ancora tremendamente attuale, ossia la mascolinità tossica e la violenza sulle donne. La protagonista del film, Cecilia, viene infatti perseguitata dal suo ex fidanzato (l’uomo invisibile del titolo) che finge la propria morte dopo che lei aveva cercato di lasciarlo. Nessuno, ovviamente, crede a Cecilia, ma anzi fin da subito viene messa in dubbio la sua sanità mentale: il film cerca così di raccontare come sia cosa comune che le parole di una donna – che ha subito degli abusi – spesso non vengano prese in considerazione.
Il social thriller di domani
Resterà un frammento di te, da qualche parte, una coscienza limitata. Potrai ancora vedere e sentire, ciò che il tuo corpo sta facendo, ma la tua esistenza sarà quella di un passeggero. Uno spettatore. Vivrai nel mondo sommerso.
Dean Armitage (Bradley Whitford)
Il successo di questo genere di horror è quindi dovuto al fatto che abbiano qualcosa di importante e profondo da dire sul mondo in cui viviamo, sui problemi che affrontiamo giorno dopo giorno, sia come membri di una società che come rappresentanti di una minoranza. A renderli così interessanti e coinvolgenti, poi, il fatto che riescano a trattare temi estremamente complessi – come ad esempio le diseguaglianze razziali e di classe – riuscendo ad evidenziarne le molte sfaccettature e non limitandosi ad una mera distinzione tra giusto e sbagliato, buono e cattivo. Scappa – Get Out, che abbiamo più e più volte citato nel corso di questo articolo, ne è l’esempio perfetto perché, come dicevamo, racconta il razzismo all’interno di gruppi di persone tendenzialmente considerati liberali e progressisti, che a conti fatti, però, non accetterebbero mai di abbandonare la propria posizione e il proprio status e che si ritengono intrinsecamente superiori rispetto ai neri (come il capo famiglia degli Armitage, interpretato da Bradley Whitford, che avrebbe votato Obama per un terzo mandato ma non si fa problemi a condannare il protagonista ad un’esistenza di schiavitù).
Se gli horror che ci piacciono di più sono quelli che raccontano qualcosa di noi – che puntano il dito contro la società e sono capaci, per questo, anche di farci sentire profondamente a disagio -, come saranno i social thriller di domani? Visto quanto accaduto con la pandemia non dubitiamo che i temi portanti degli horror dei prossimi anni saranno legati all’isolamento, al decadimento della società e, ovviamente, alla paura delle infezioni. E noi, come è giusto che sia, attendiamo questa nuova fase del social thriller con un certo timore – quali orrori ci verranno mostrati? – ma anche con la sana curiosità di scoprire come il cinema del terrore sarà ancora una volta capace di toccarci nel profondo, raccontando il mondo in cui viviamo da una prospettiva unica ed inaspettata.
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