“Io ti vedo” era la frase chiave di Avatar, il film di James Cameron che, nel lontano 2009, ha cambiato la Storia del Cinema. In quelle parole, ormai lo sappiamo tutti, c’erano dentro tanti altri significati, che andavano al di là del puro e semplice vedere con gli occhi. Ma Avatar per tutti noi è stata anche questo, un’esperienza prima di tutto visiva. “Io ti vedo”, potevamo dire, riferendoci al film, volendo intendere che lo stavamo vedendo con occhi nuovi. Per tutti Avatar non è stato solo un grande film, ma anche l’apice di quello che è stato il cinema in 3D in tutta la sua storia. Avvicinandoci allora al nuovo Avatar: La via dell’acqua, viene da chiederci se, in sala, torneremo a vedere in 3D ancora a lungo, se cioè il film di Cameron rilancerà la tendenza dei film in 3D, o se l’esperienza della stereoscopia si fermerà alla visione di questo e degli altri tre sequel di Avatar.
Avatar: il culmine del rilancio del 3D
Avatar, il film di James Cameron del 2009 era stato il culmine del rilancio di una tendenza, quella del cinema in tre dimensioni, a cui il la Settima Arte ha più volte pensato nella sua storia. C’erano stati gli esperimenti di Alfred Hitchcock, con il suo Il delitto perfetto, nel 1954. E poi gli esperimenti degli anni Ottanta, con Lo squalo 3D, e con quei buffi occhialini di cartone a due colori, rossi e blu. Niente che fosse mai stato preso realmente sul serio. Nel nuovo millennio, invece, sembrava tutto diverso. Le major investivano nel nuovo trend, con Jeffrey Katzenberg della Dreamworks veniva personalmente in Italia a lanciare il formato e i film in questione (il primo che ricordiamo fu Mostri contro alieni, non memorabile, a dire il vero).
Tutto sembrava pronto per una nuova rivoluzione. I nuovi proiettori digitali per le sale, i nuovi occhiali, stavolta con la montatura dura, spessa, neri, che ci facevano sembrare un po’ tutti come Buddy Holly. Soprattutto, l’investimento in grandi tecnologie (il famoso sistema con due macchine da presa vicine e collegate per ottenere l’effetto stereoscopia). Di cui James Cameron era l’alfiere.
In quel 3D ci avevamo creduto
E, se entra in gioco Cameron, non è mai per qualcosa che lascia indifferenti. Ci fu subito chi, anche tra i grandi autori, si schierò dalla parte del 3D o dall’altra. Martin Scorsese, ad esempio, girò il suo film in stereoscopia, Hugo Cabret, sfruttando le nuove tecnologie per un grande omaggio al cinema. Christopher Nolan, invece, disse subito che la cosa non gli interessava e che la bolla si sarebbe subito sgonfiata. Che il modo di colpire, con il cinema, era un altro. Ma in quel 3D ci avevamo creduto. Perché, in quelli che sono stati i migliori risultati dei film di questo tipo, non sembrava che questa tecnica fosse solo uno specchietto per le allodole, ma una modalità espressiva.
A parte alcune eccezioni, ci sembrava che i cineasti non fossero più solo interessati a sventolarci oggetti sotto il naso o a lanciarceli addosso, ma piuttosto a immergerci in un ambiente, ad avvolgerci con le immagini, a tirarci dentro una storia. Il 3D era una tecnologia che ispirava la creatività: cambiavano i movimenti di macchina, il lavoro degli animatori. La chiave del 3D è il movimento nello spazio: le sequenze sono proprio studiate per portarci dentro la scena, in profondità. Ci muoviamo sempre verso qualcosa, o qualcosa viene verso di noi. Quanto agli animatori, gli artisti devono preparare i loro disegni pensando che gli spettatori non li vedranno piatti, ma in tre dimensioni.
Quei film “convertiti” in 3D
E allora che cosa è accaduto? Qualche anno dopo Avatar il trend del cinema in 3D si è spento. Perché? Perché non tutti sono James Cameron, un artista che studia in ogni minimo particolare i suoi film, a partire proprio dalle tecnologie, cercando di perfezionarle, di adattarle, di crearne di nuove. E di non girare fino a che non sono pronte, fino a che tutto è perfetto. No, c’è stato chi – parliamo di Studios, non di registi – ha provato a gettarsi nell’agone del 3D, di sfruttare la moda, di salire sul carro del vincitore, cioè di James.
E così è capitato che, per provare a raggiungere il pubblico siano usciti non solo una serie di film scadenti, ma addirittura di film che di 3D avevano ben poco. Ben presto, infatti, si è pensato di “convertire” in 3D film che erano stati girati in 2D. Bastava un software che dava profondità, che “staccava” cioè attori e oggetti in primo piano dallo sfondo. L’uovo di Colombo, secondo qualche sedicente produttore. La fine del 3D per tutto il resto del mondo. Perché il pubblico che andava a vedere questi film, di tridimensionale vedeva ben poco e, attratto dai lanci dei film, non era poi così in grado, o così interessato, a distinguere tra un film girato e uno “convertito” in 3D. Allora il risultato, tra gli spettatori, sarà stato probabilmente “non è che sia poi sto granché sto 3D”.
Il 3D non rende bello un film brutto
La risposta migliore a tutto questo è stata data da Jon Landau, il produttore di Avatar e Avatar: La via dell’acqua, quando ha incontrato la stampa in collegamento in occasione del lancio del trailer, lo scorso settembre. “Il 3D è una finestra sul mondo, permette di migliorare la visione di un film” ci aveva detto. “Dopo Avatar le persone hanno detto: ‘facciamo tutto in 3D’. Ma non hanno capito che il 3D non rende bello un film brutto. Accentua quello che c’è. Martin Scorsese con Hugo Cabret ha fatto un gran film. Mi auguro che Avatar possa aprire una piccola fessura, uno spiraglio in una porta, e permetta a cineasti di creare qualcosa che non si può vedere a casa, ma solo in sala”.
Il cinema in sala ha bisogno di esperienze
Il punto è proprio questo. Fare bei film. E tanti di quei film in 3D non solo non erano belli, ma in fondo non erano neanche davvero 3D. Una sorta di piccola malcelata truffa. Che si è portata via anche tutto l’entusiasmo per quello che di bello il 3D ci aveva regalato. Eppure proprio adesso, con il cinema in sala che, per superare la concorrenza delle piattaforme, ha sempre più bisogno di “esperienze” il 3D sarebbe un ottimo motivo, accanto a un bel film, per riportare la gente in sala. D’altro canto si parlava di crisi delle sale già nel 2008, e allora quella era sembrata la risposta.
Torneremo a vedere in 3D?
Torneremo a vedere in 3D? Per il momento sì. Già in occasione dei trailer di Avatar: La via dell’acqua tornare a indossare gli occhialini è stata un’esperienza particolare, anche piacevole. Ma abbiamo il sentore che quella di questo film, e degli altri tre sequel di Avatar rimarrà un’esperienza isolata. Non abbiamo segnali di un’inversione di tendenza, di investimenti in tal senso. Sarebbe un peccato, da un lato. Dall’altro, renderebbe Cameron “l’ultimo degli stereografi” e i suoi 5 Avatar un’esperienza ancora più unica e diversa da tutte le altre. E permetterebbe a questa saga di restare l’ultima, forse l’unica, vera esperienza cinematografica in tre dimensioni. E renderebbe tutto ancora più affascinante e mitologico. Ma non è detta l’ultima parola. Anche qui, sentiamo cosa ci ha detto Landau. “James Cameron ha sempre spinto i progressi nella tecnologia della realizzazione del film, progressi che hanno aperto la strada ad altri registi. Quello che abbiamo fatto in Avatar 2 consentirà di fare cose che altrimenti non sarebbero possibili”. Forse anche di tornare a vedere in 3D.