Classe 1995, Timothée Chalamet è senza dubbio uno dei divi più amati e più seguiti nel mondo della settima arte: un idolo che si erge in cima all’Olimpo di Hollywood, con schiere di fan e seguaci sempre più ampie e internazionali. Da questo punto di vista sembrerebbe non esserci nulla di nuovo: si tratterebbe dell’ennesima star che si avventura sul tappeto rosso della fama, incontrando un favore che lo innalza al di sopra degli altri.
Eppure, nell’ascesa e nella fama di Timothée Chalamet tutto sembra nuovo, determinato a distruggere schermi che decenni di industria sembravano aver reso indistruttibili e che invece stanno franando sotto la spinta di un cambiamento tanto sociale quanto culturale che rende l’attore di Bones and all un vero elemento di rottura e rivoluzione, un nuovo modo di intendere il divo e, più in generale, la tradizione del divismo e dello star system.
Il tramonto del machismo
Se si pensa ai grandi eroi del cinema del passato, la parola d’ordine sembra essere machismo: da John Wayne a Paul Newman, da Clarke Gable a Johnny Depp, da Marlon Brando a James Stewart, sembrava che fosse sempre necessario presentarsi davanti la macchina da presa o davanti alle lenti del giornalismo e della critica come l’emanazione di una virilità ben codificata, strutturata, che aiutava alla costruzione del divo. Una costruzione che non faceva a meno di elementi supplementari – che fosse l’aria da intellettuale, da ribelle o da bravo marito di famiglia -, ma che si basava proprio sull’idea di machismo, sullo standard secondo il quale “l’uomo doveva mostrare di essere uomo“. Da questo punto di vista è emblematica la figura di Rock Hudson, grandissima star di Hollywood identificata con l’immagine dell’uomo virile e inattaccabile, che fu costretto a tenere nascosta la sua omosessualità per non rovinare la reputazione che si era costruito per paura di perdere poi l’occasione di lavorare.
Quando Timothée Chalamet ha cominciato a farsi conoscere “seriamente” al grande pubblico, lo ha fatto con il film Lady Bird. Una pellicola in cui l’attore statunitense interpretava un musicista dall’aria maledetta che ben si sposava con la tradizione, ma dalla quale si discostava proprio per la sua capacità di non ricorrere mai agli schemi di un maschilismo interiorizzato e che, anzi, si faceva forte proprio della rappresentazione delle sue vulnerabilità, del suo amore per l’arte e, più in generale, di tutti quegli elementi che, storicamente, venivano percepiti dal pubblico come caratteristiche femminili. Asceso in piena epoca Me Too, dove agli spettatori veniva chiesto di sviluppare uno spirito critico nei confronti di un’industria che stava mostrando tutto il marcio che aveva nascosto per anni, Timothée Chalamet è stato un vero e proprio punto di svolta, una sorta di cesura tra un prima e dopo. Con la sua mandibola spigolosa, il fisico tutt’altro che scolpito, la pelle nivea e i capelli in disordine, Chalamet si è mostrato come un elemento di novità, un altro modo di concepire l’eroe maschile, che di colpo sembrava non avere più bisogno di tossicità o atteggiamenti abusivi. Era finita l’epoca del macho, comunemente inteso: in qualche modo è emerso il bisogno di un eroe romantico, intelligente e acculturato, che non ha paura delle proprie fragilità e che invece abbraccia anche il suo lato femminile.
Un eroe queer
Con queste premesse non dovrebbe sorprendere il fatto che Timothée Chalamet abbia raggiunto il successo con Chiamami col tuo nome, in un ruolo apertamente queer, che è stato capace di raggiungere il cuore di milioni di spettatori, elevando l’attore di cittadinanza francese come nuovo eroe e modello maschile. Per Luca Guadagnino, Chalamet interpreta Elio, un adolescente che nel corso di una lenta e indolente estate, si innamora di un ragazzo più grande, ospite di suo padre, con il quale si avventura nella scoperta del sesso e dell’amore.
Se in altri esempi di “vecchi” film a tematica queer, come I segreti di Brokeback Mountain, la mascolinità degli attori non veniva mai messa in discussione, l’Elio di Guadagnino, coi suoi pomeriggi passati a leggere libri e a farsi domande quasi filosofiche, non ha nulla di quella virilità necessaria a rendere “accettabile” un personaggio maschile omosessuale: al contrario, anche grazie alla scelta di una fotografia morbida, quasi onirica, Elio lascia andare qualsiasi cenno di machismo e si tuffa con estrema arte in una rappresentazione smussata, dolce, poetica. E il pubblico ha perso la testa. La schiera di fan – per lo più femminili – che di solito sono associate alle rock star, si sono innamorate di questo ragazzo delicato e gentile, che non ha paura di mostrarsi, senza dover sottostare a qualche regola ormai vetusta di rappresentazione.
Timothée Chalamet e il nuovo concetto di mascolinità
Quando il movimento Me Too è esploso, qualche anno fa, sembrava che l’unico scopo fosse quello di portare alla luce i soprusi che generazioni di donne hanno dovuto affrontare nel mondo dello show business. Con gli anni, però, questo movimento si è allargato, si è evoluto: la critica femminista e la lotta per le pari opportunità è andata di pari passo anche con un desiderio maschile di liberarsi dalla necessità di mascolinità. In un sistema ancora fortemente patriarcale, l’obbligo alla mascolinità patriarcale era una gabbia anche per quegli uomini che non rientravano in quegli standard. In questo senso Timothée Chalamet non è diventato solo l’ideale per il pubblico femminile, ma si è anche assunto il ruolo di modello per quella platea maschile che non si identificava nei vari eroi Marvel, tutti muscoli e ironia da macho.
Da questo punto di vista è interessante notare anche il comportamento che Timothée Chalamet ha non solo quando è chiamato a interpretare i personaggi, ma anche nella vita patinata fuori dai set. Eccolo allora, ad esempio, condividere equamente il red carpet della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia con la sua fidanzata per The King o celebrare la fluidità e l’inclusività anche solo nella scelta degli abiti da indossare sul red carpet di Bones and All. Un atteggiamento che comunque influenza anche la sua carriera: dal prendere le distanze da Woody Allen – scelta problematica e che meriterebbe una riflessione a parte – a scegliere ruoli che insistono su tutto ciò che non è tossico né “maschio alfa”. Il suo Lori in Piccole Donne è un ragazzo smarrito che non combatte per conquistare la donna scelta, ma le lascia la libertà di essere se stesso. E anche quando decide di essere l’eroe, comunemente inteso, lo fa scegliendo il Paul Atreides di Dune, un eroe che deve molto al suo lato femminile, che cresce e diventa potente proprio grazie all’eredità matriarcale. In un continuo percorso di rivoluzione che include anche il recentissimo Bones and All, Timothée Chalamet continua a distruggere quei valori di mascolinità tossica che si identificano con certi standard estetici, con un senso di dominio e prevaricazione, passando per un’eccessiva forza fisica.
Timothée Chalamet e la rivoluzione Usa
Sebbene dal lato politico gli Stati Uniti stanno attraversando ancora un’epoca problematica, in cui l’inclusività rappresenta un topic da affrontare ogni giorno, l’ascesa di Timothée Chalamet sta rivoluzionando non solo gli standard della mascolinità, ma anche della bellezza. Coi suoi milioni di follower e un bacino di utenza che cresce giorno dopo giorno, l’attore sta dimostrando di voler rompere con gli schemi che hanno intrappolato l’arte stessa. Così facendo, rappresentando egli stesso una rivoluzione, Timothée Chalamet ha cooperato anche a rivoluzionare il mondo della moda: dimenticati i modelli scolpiti delle grandi firme, come Dolce e Gabbana, ora la moda e i designer fanno di tutto per sposare l’apertura al gender, alla lotta contro il binarismo di genere, sperimentando e facendo sì che la moda smetta di essere una barriera che divide, diventando un gioco che abbraccia tutti. In questo senso il successo di Timothée Chalamet – come anche quello di Harry Styles – ha aperto a un mondo maschile che sembra molto più sano, reale e concreto, in cui l’attore non si preoccupa più di essere un idolo da osservare, ma una voce da ascoltare per portare a quel cambiamento di cui la società avrebbe davvero bisogno.