Baran bo Odar e Jantje Friese lo fanno di nuovo. Dopo la fortunata DARK, serie tv di tre stagioni arrivata per la prima volta nel 2017, sbarcano ancora una volta su Netflix con un’altra intricatissima rete di misteri, scenari inquietanti e loop nei quali perdersi e (difficilmente) ritrovarsi. Iniziamo, quindi, con questa recensione di 1899, di cui abbiamo visto i primi sei episodi su otto, un viaggio in mare aperto sulla mastodontica Kerberos e la perduta Prometheus.
Una delle prime cose importantissime da dire, magari per qualcuno scontata e per qualcun altro no, è che anche questo progetto non è sicuramente rivolto alle “menti stanche”. Se cercate una serie TV da vedere in serata, in un momento di relax, dopo una giornata stancante, no. Non è decisamente la serie TV che fa per voi. Preparatevi, invece, a una bella full immersion di assurdità, portali che viaggiano da un luogo all’altro, da una nave all’altra, molteplici universi, impossibilità nel distinguere il vero dal falso, il sogno dall’incubo, quello che la nostra mente crede di aver visto o quello che ha realmente visto e vissuto. Esattamente in pieno spirito di DARK, quello di cui avrete bisogno in 1899 è una buona dose di attenzione, un pizzico di pazienza e… carta e penna.
Certo, questo giochetto, in fondo, a lungo andare un pochino stanca. Dobbiamo riconoscerlo. È sempre una grande soddisfazione quando il panorama seriale si riempie di prodotti complessi simili a scatole cinesi. Storie ricche di simboli, interpretazioni, rappresentazioni di più umanità. Alla fine con i loro prodotti, Baran bo Odar e Jantje Friese parlano “banalmente” di esseri umani e lo fanno mettendo a fuoco la loro natura più cruenta, più feroce ma anche più fragile. È indubbiamente interessante l’incipit alla base di 1899, perfino più di DARK. Sicuramente l’atmosfera è ancora più suggestiva, ricordando anche un po’ i mood terrificanti e gotici di serie TV come, per esempio, The Terror. A tutto questo, però, va aggiunta quella loro tendenza a voler complicare, a volte anche un po’ inutilmente, le cose. Rendere la tela del ragno ancora più fitta, intricata, intrecciata, con il rischio però di restare loro stessi incastrati nel disegno progettato. A un certo punto, viene quasi da chiedersi: era davvero necessario tutto questo? La complessità del disegno è dettata da una necessità narrativa o più da una necessità narcisistica di ostentare e impressionare lo spettatore? Forse la risposta risiede a metà strada. Fatto sta che 1899 è sicuramente una serie TV che colpisce, affascina e inquieta, ma che a lungo andare stanca ancora prima di arrivare alla fine.
1899
Genere: Drammatico
Durata: 50 minuti/8 episodi
Uscita: 17 Novembre 2022 su Netflix
Cast: Anton Lesser, Aneurin Barnard, Andreas Pietschmann, Lucas Lynggaard Tønnesen, Miguel Bernardeau, Emily Beecham
La trama: sulla Kerberos alla volta dell’America
Qual è la trama di questa storia? 1899. Un cospicuo gruppo di migranti di diversa estrazione etnica e sociale, si imbarca dall’Europa sulla mastodontica Kerberos alla volta dell’America, precisamente New York. Ognuno viene spinto alla partenza per diverse motivazioni: chi alla ricerca di libertà, chi ammaliato dalla prospettiva di un futuro migliore, chi dal miraggio di una seconda possibilità; c’è ancora chi va alla ricerca delle proprie radici o di ciò che ha dimenticato e chi, invece, parte proprio per dimenticare. Un viaggio di soli sette giorni. Tutti sono qualcuno. Quasi nessuno è chi dice di essere. L’unica cosa che sappiamo, noi spettatori, e che nessuno di loro è su quella nave per sbaglio. Tutti hanno uno scopo per essere lì.
Nonostante qualche piccola tensione tra la prima classe e la seconda classe e qualche piccolo problemi in zona motori, il viaggio sembra procedere bene. La prima a distinguersi tra i passeggeri è Maura Franklin (Emily Beecham), un medico che sta sulle sue, solitaria ma anche altruista, ossessionata dalle voci del passato e da un mistero, al centro del quale c’è la sua vita e la sua famiglia, da dover risolvere.
Ovviamente le cose non vanno esattamente come devono andare. La Kerberos, dopo aver ricevuto un messaggio di aiuto e le coordinate da seguire, decide di deviare leggermente la rotta. Il messaggio viene dalla misteriosa Prometheus, nave sparita quattro mesi prima con tutto l’equipaggio a bordo. Andare in soccorso di una nave sparita ormai da quattro mesi sembra essere una follia per tutti, ma non per il capitano Eyk Larsen (Andreas Pietschmann, già presente in DARK). Se qualcuno ha scritto quel messaggio, vuol dire che non tutti sono davvero morti, anche se comunque sembra essere un’ipotesi al limite dell’impossibile. Ma parlando di impossibile, il messaggio arrivato dalla Prometheus è solo il primo dei fattori “impossibili” che tutto l’equipaggio della Kerberos dovrà affrontare in quello che, molto velocemente, si tramuterà non più in una viaggio alla volta della speranza, ma in un vero e proprio percorso di dolore e disperazione nei loro incubi più profondi.
L’Odissea della follia
Proseguendo la recensione di 1899, se c’è una cosa chiara in questa serie, così come lo era in fondo anche in DARK, è che nulla è mai davvero chiaro e qualsiasi cosa vedrete vi farà realmente dubitare della sua esistenza. Fin dalle prime immagini, i creatori dello show del colosso dello streaming mettono in chiaro che potreste trovarvi di fronte a un grande gioco, un grande scherzo frutto di una mente troppo fragile, turbata e traumatizzata come quella di Maura. Ma Maura non è l’unico pedone su questa scacchiera cangiante. Sì, perché così come alle scale di Harry Potter piace cambiare, anche alle navi di 1899 piace modificarsi, ampliarsi, nascondere passaggi segreti e accessi a nuove dimensioni. Quella più gettonata? L’incubo. Ma gli incubi dei nostri protagonisti non sono solo il frutto di visioni, ossessioni e allucinazioni; sono dei veri e propri rimasugli di situazioni traumatiche, eventi che in un modo o nell’altro hanno rivissuto e che sono costretti a vivere nuovamente come sotto l’effetto di un elettroshock.
Ognuno di loro, come detto prima, non è davvero chi dice di essere o, comunque, nasconde un segreto. Qualcosa di oscuro, che sia una colpa o una vergogna. E ognuno di loro sembra essere destinato a cadere in questo limbo dove la realtà si confonde con il sogno lucido, e ombre e demoni del passato sono passeggeri irrequieti e indesiderati presenti su entrambe le navi. Tutti hanno la loro Itaca da raggiungere. Tutti pensano di essere pronti ad affrontare il loro viaggio, inconsapevoli dell’Odissea della follia che li attende.
Una rivoluzione sociale
Eppure anche fin qui è tutta “apparenza”. È solo lo strato più superficiale di 1899. Si potrebbe spostare il discorso da quello mentale a quello sociale e osservare come la piccola tensione scateni una vera e propria “guerra civile” a bordo del Kerberos. Una sorta di ribellione, un ammutinamento di massa dove la terza classe insorge contro la prima. Dove non si ascoltano più gli ordini dei propri capitani e dove gli occhi si convincono di vedere cose, credendo al folclore, all’ignoranza, alla paura del momento e alla furia di cercare un colpevole, un mostro, la causa dell’improvvisa sofferenza di molti su quella stessa nave, rendendo perfino un “semplice” bambino la perfetta vittima sacrificale.
Di estremo interesse è anche la questione femminile legata a quel periodo. Il ruolo della donna, le sue possibilità di scelta, per esempio, legate ai canoni estetici, a quelli etnici, al piano sociale. La questione culturale, inoltre, ha un enorme peso all’interno della serie. L’estrazione sociale di ogni passeggero, la sua reale origine, è un elemento da non sottovalutare e che fa anche da miccia per quanto riguarda diverse questioni personali, sociali, di interazione. La componente multilinguistica crea quel senso di confusione, estraniamento e ombelico del mondo molto affascinante, che purtroppo si perde completamente nel doppiaggio italiano. Peccato, perché è un azzardo creativo davvero efficace. E lo sguardo legato alle minoranze si allunga anche sull’orientamento, creando all’interno della nave un perfetto ecosistema fatto di tutte le sfaccettature dell’essere umano.
Un mistero che si fa sempre più intricato
Ed anche su questo piano potremmo non aver detto ancora nulla su 1899. È solo un caso che vi siano quei passeggeri? Solo un caso che Maura sia stata spinta a prendere quella nave e che la sua determinazione e il suo oscuro passato siano condivisi, in un modo o nell’altro, anche dagli altri viaggiatori? Crediamo di no. Un vero e proprio enigma dall’inizio alla fine per lo più imprevedibile, che non sai mai dove ti porterà davvero.
Di episodio in episodio la serie si tramuta in una spirale di cospirazioni, complotti, congetture e sussurri terrorizzanti e terrorizzati; ma anche di flashback degli stessi personaggi che, come tessere di un puzzle, si “useranno” per poter risolvere questo mistero che rischia di farli letteralmente affondare se non, ancora peggio, sparire. Ovviamente in questo modo il castello di carte aggiunge di volta in volta un piano sempre più alto, con il rischio di crollare da un momento all’altro. Sono tante le cose che non tornano e se conosciamo un minimo i due showrunner della serie, probabilmente non torneranno per un po’. Questo però genera anche un certo senso di frustrazione nella visione, nell’incapacità di cogliere tutto ed essere completamente sovrastati da ogni input visivo della serie. C’è chi ama questo effetto, c’è chi lo detesta. Il rischio? È venir schiacciati dal trucchetto. Baran bo Odar e Jantje Friese sembrano non perdere completamente la bussola dei loro piani, eppure qualche crepa narrativa in 1899 si fa sentire.
Nella tana del Bianconiglio: mente, genere, ambizione
Per quanto non tutto in 1899 ci lasci completamente convinti e si abbia, di tanto in tanto, che i due showrunner abbiano più la pressione di colpire, sconvolgere e impressione lo spettatore, più che di intrattenerlo con una storia (complice sicuramente il successo di DARK e la fama da autori del visionario e onirico), va riconosciuta l’elevatissima caratura tecnica di questa serie. Del resto, la stessa DARK era stata un buon inizio. Ed esattamente come la precedente, anche questa può vantare un cast assolutamente preparato, affiatato e straordinariamente convincente dove tutti, nota fondamentale, hanno sfruttato i loro differenti accenti per poter rendere al meglio nei rispettivi personaggi.
Sebbene la maggior parte delle scene siano ambientate in ambienti chiusi, le sequenze in esterna, tanto sulle navi quanto nei luoghi del passato dei protagonisti, lasciano davvero con il fiato sospeso. 1899 è una serie TV davvero bella da vedere, non solo per il fascino enigmatico, ma anche per la sua ambientazione gotica, cupa, fatiscente. In un mix tra fantascienza, drammatico e storico, le immagini di questa produzione sanno come colpire e tenere collegati allo schermo, se si decide di dare una possibilità alla storia. I primi episodi sono indubbiamente quelli più macchinosi, quelli di conoscenza maggiore dell’ambiente, dei luoghi e dei protagonisti. La scrittura successivamente si fa più accattivante, più feroce e decisiva, dando un boost di incoraggiamento anche al ritmo che si fa più incalzante, alzando anche il livello di partecipazione richiesto allo spettatore. Il merito è anche dei misteri che si fanno sempre più fitti, ma anche delle prime briciole di pane disseminate qui e lì per la serie.
Se il mantra di DARK era: “Tutto è collegato”, quello di 1899 è sicuramente “Ciò che è perso, sarà ritrovato”. E, infatti, in questo viaggio nell’Atlantico dalle acque scure e minacciose sovrastante da un cielo nero come la pece, i personaggi sono chiamati a discendere nella tana del Bianconiglio, scendendo a patti con “lui”, il suo mondo e le sue regole, anche quelle che si avrà più difficoltà a capire. Insomma, diciamo che ci saranno diversi momenti in cui la vostra capacità di sospensione dell’incredulità verrà messa a dura, durissima prova.
Grande cura nelle ambientazioni
Interessante però l’ambizione di una serie come questa, mastodontica tanto nella messa in scena quanto nella realizzazione, passando ovviamente per l’uso e la commistione di generi che fanno anche un po’ da carbone al nucleo narrativo. Ancora una volta anche il lavoro sul sonoro lascia piacevolmente impressionati, cominciando dalle voci che aprono il primo episodio e sembrano affollare la mente di Maura. Un consiglio? Ascoltare la serie in cuffia. Vi darà la “piacevole” sensazione di non essere soli, di essere in compagnia di qualcuno che sussurra al vostro orecchio.
Il silenzio prolungato, i suoni ambientali del luogo circostante, i rumori “naturali” di una nave come quella del Kerberos, le sfumature di linguaggio differenti dei componenti della nave. Un lavoro profondo, dettagliato e minuzioso che mescola tra di loro fonti sonore di diverso tipo, andando a creare un’armonia musicale che coinvolge ancora di più dell’atmosfera, che inquieta e mette in una posizione di disagio, ansia e angoscia lo spettatore. Stuzzicante, inoltre, la scelta di brani contemporanei a chiudere ogni episodio e che fungono un po’ da summa massima di quanto si è visto fino a quel momento.
Il ritorno di Baran bo Odar e Jantje Fries
Nonostante qualche sbavatura di troppo e la tendenza a restare incastrati nella loro stessa tela, Baran bo Odar e Jantje Friese sanno come riconfermare l’attenzione del loro pubblico affezionato – così come anche la repulsione di chi non ama affatto progetti simili – confezionando una serie TV suggestiva che può regalare sorprese, brividi e allucinazioni a occhi aperti. Sicuramente padroni di un immaginario più affascinante che originale, sebbene manchino da vedere gli ultimi due episodi della serie, siamo abbastanza certi che il finale di 1899 saprà restare impresso nella memoria, tanto se il duo opterà di buttare l’ancora con una sola stagione (assai improbabile) tanto se, invece, decideranno di proseguire il viaggio. Quello che ci resta da scoprire è: cosa c’è davvero alla fine di tutto questo? Saranno in grado di gestire l’aspettativa? Staremo a vedere.
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La recensione in breve
Alla disperata ricerca di un'Itaca che forse non esiste, 1899 è una serie TV che sa come affascinare, suggestionare e inquietare lo spettatore, ma al tempo stesso anche innervosirlo di fronte ai giochi mentali, enigmi e misteri messi in scena da Baran bo Odar e Jantje Friese. Non tutte le cose sembrano effettivamente filare, dando la sensazione di voler più impressionare che raccontare, eppure la narrazione è scorrevole, i personaggi affascinanti e se si riesce a superare lo scoglio dei primi due episodi, il ritmo si fa ancora più incalzante, così come il viaggio ancora più angosciante.
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Voto di Screenworld