Nei primi giorni di Ottobre la nota piattaforma streaming Crunchyroll ha iniziato a distribuire l’ultimo gioiello realizzato dallo Studio Mappa: Chainsaw Man.
Chainsaw Man è l’adattamento anime dell’omonimo manga realizzato dal giovanissimo Tatsuki Fujimoto e pubblicato sulla rivista Weekly Shonen Jump a partire dal 3 dicembre 2018 (la serializzazione è ancora in corso).
La serie animata è stata affidata alla regia del duo Ryū Nakayama & Makoto Nakazono, animatori di un certo livello già impegnati, in vari ruoli, in altre serie di successo: da Darling in the Franxx a Jujutsu Kaisen.
La trama di per sé rimescola una serie di stilemi noti ai battle shonen a tinte horror, al punto da presentare anche diverse similitudini con altri prodotti dello studio Mappa: Chainsaw Man sembra quasi il perfetto punto d’incontro tra lo stravagante Dorohedoro (presente su Netflix) ed il travolgente Jujutsu Kaisen tuttavia mantiene, e lo vedremo a breve, un certo grado di originalità.
Ad ogni modo siamo in una Tokyo alternativa, laddove le paure degli umani sembrerebbero manifestarsi e materializzarsi sotto forma di famelici diavoli, pronti a divorare tutto e tutti.
Queste nuove entità malefiche sono combattute da uomini e donne speciali denominate devil hunter, vera e propria professione amministrata dal governo centrale. Tra i diversi devil hunter, troviamo il giovane Denji. Un ragazzo sventurato, senza un soldo, senza famiglia, senza futuro, costretto ad uccidere demoni per vivere. Denji tuttavia, a causa di un tradimento per lui inaspettato, si unirà letteralmente ad un piccolo diavolo che accudiva fin da bambino, tale Pochita (una sorta di cane-motosega); lo strambo animaletto, colpito dalla purezza del ragazzo deciderà di donargli letteralmente il suo cuore: Denji ora è in grado di trasformarsi in un uomo moto-sega.
1. Un’azione dirompente ed imprevedibile
Chainsaw Man salta subito all’occhio per la rappresentazione di sequenze action altamente dirompenti, distinte da una regia cinematografica di altissimo livello; un’azione imponderabile, sempre diversa ed imprevedibile.
Nella parte centrale dell’episodio iniziale, ad esempio, il duo registico opta per una messa in scena della violenza assai originale e caratterizzata da una duplicità estetica. In primis il combattimento tra il nostro protagonista ed un gruppetto di yakuza zombi è esaltato da dinamici movimenti di macchina, accelerate improvvise, brevi long take e montaggio serratissimo. Stile assecondato da frangenti quasi semi-documentaristici, con la velocità dell’azione che rallenta drasticamente, con una regia proiettata a farci percepire il “peso” del protagonista, un essere umano dotato di un gran bel numero di moto-seghe incorporate nel suo corpo. Contrasto perfettamente bilanciato ed incredibilmente armonioso.
Azione completamente ribaltata dal secondo episodio, assai introduttivo.
Qui abbiamo due segmenti atipici; nel primo Denji elimina un demone, senza neanche trasformarsi, e l’azione dura davvero pochi secondi con il protagonista che decapita il malcapitato con un preciso e realistico colpo d’accetta.
Nel finale, invece, una particolare devil hunter (metà umana/demone) eliminerà il suo corpulento avversario con un’azione tanto fulminea quanto allucinata, laddove il sangue della ragazza fuoriesce improvvisamente dal suo corpo e si solidifica in un nano-secondo diventando un martello letale.
Dal terzo episodio in poi, gli scontri ripresenteranno alcuni elementi visti in precedenza, accavallati sempre con nuove soluzioni stilistiche: carrellate laterali, alternanza di primissimi piani degne dei migliori film western, o particolari ravvicinati ed inquadrature con angoli di ripresa più disparati (spesso dall’alto o in posizione obliqua).
Inoltre, doveroso sottolinearlo, la violenza è pregnante. Corpi smembrati e organi vari galleggiano spesso su schermo. Una violenza splatter estremamente carnale, vicina ad un Gantz d’annata, e superficialmente spettacolare ma che nasconde un forte senso di dolore ed inadeguatezza.
2. Uno sguardo introspettivo e sociale
Chainsaw Man è sicuramente un battle shonen, a tinte horror, che punta molto sull’innovazione visiva e sull’intrattenimento. Tuttavia fin dalle battute iniziali emerge chiaramente uno sguardo sociale ed introspettivo di altissimo livello.
Il protagonista non è il classico eroe, mosso da nobili intenti. Denji è un vagabondo che non sa quasi nulla della vita; emarginato ed abbandonato fin dall’infanzia, è costretto a ripagare i debiti del padre morto suicida; il ragazzo inizialmente lavora, a testa bassa, per la yakuza ed in seguito farà i salti di gioia quando verrà assunto/costretto a lavorare per la pubblica sicurezza.
Lui sogna una vita normale, non vuole morire solo e spera di riempirsi lo stomaco ogni giorno. Mediante le disavventure del ragazzo, il duo registico Ryū Nakayama & Makoto Nakazono avviano una serie di interessanti riflessioni.
In alcuni momenti sembrano quasi realizzare un endorsement verso la pubblica amministrazione; un porto sicuro, con uno stipendio fisso e dignitoso. Tuttavia sfruttando al massimo la trama, i registi sottolineano anche le criticità di tali mansioni soffermandosi sul mantra dell’unico lavoro per tutta la vita. In Giappone tendenzialmente una volta entrati in una determinata società, non la si lascia più. Lo stesso capita a Denji, il quale sarà costretto a lavorare per la pubblica amministrazione fino al giorno della sua morte.
Se stiamo attenti è possibile effettuare ulteriori allusioni alla realtà sociale contemporanea. Ad esempio nel primo episodio, il protagonista conclude efficacemente un lavoro da privato ma tra diritti di mediazione, tasse, spese di gestione e spese amministrative, il profitto è misero. Se il posto fisso presenta le sue problematiche anche il lavoro da privato non è esente da difficoltà, anzi.
Volendo addentrarci ancora di più negli aspetti introspettivi, emerge poi una solitudine di fondo estrema; solitudine amplificata da un’umanità ai minimi storici ed ecco quindi che un semplice abbraccio può svoltarti non soltanto la giornata, ma la vita.
3. Un perfetto miscuglio di generi
Altro giro, altra corsa, ed eccoci arrivati al terzo punto. Chainsaw Man può vantare su una perfetta mescolanza di generi.
Al già citato action-horror la serie propone rilassanti e scanzonati momenti di purissimo slice of life, con i diversi protagonisti impegnati in futili ma necessarie attività quotidiane: fare colazione, stendere i panni, passare l’aspirapolvere, farsi un bagno rigenerativo oppure bersi un sano caffè in balcone. Il tutto accompagnato poi da momenti di puro road-movie urbano, con i vari soggetti intenti a svolgere la loro routine lavorativa spostandosi spesso a piedi tra i vari quartieri della città.
Non mancano poi situazioni molto comiche, spesso caratterizzate da esilaranti battute o allusioni sessuali politicamente scorrette tali da rievocare quel simpatico mascalzone di Ryo Saeba (City Hunter).
4. Esaltazione cinefila
Generi che presentano poi precisi richiami meta-cinematografici. Nel primo episodio ad esempio si omaggia visivamente e concettualmente George A. Romero. Non parliamo invece della magnifica opening di Kinshi Yonezu, Kick Back, e diretta dal talentuoso Shingo Yamashita. Qui siamo di fronte ad una celebrazione inebriante della settima arte con fotogrammi che ripropongono in modo tanto fedele quanto originale una serie di cult cinematografici: Allucinazione perversa, Sadako vs. Kayako, Non aprite quella porta, Joyūrei, Pulp Fiction, Le iene, Non è un paese per vecchi, Il grande Lebowski, Pomodori assassini, C’era una volta a… Hollywood, Fight Club e tante altre chicche tra cui un omaggio allo stesso mangaka Tatsuki Fujimoto.
5. Una nuova/vecchia Tokyo
Concludiamo il nostro speciale su Chainsaw Man, sottolineandovi un altro aspetto di rilievo. Nella serie, prodotta dal celebre Studio Mappa, troviamo una rappresentazione di una Tokyo estremamente realistica, nonostante sia invasa da demoni bramosi di sangue.
L’incipit con cui inizia l’episodio iniziale è a tal proposito assai chiarificatorio. Un ragazzo ansimante (perfetta soggettiva, seguita da un fuori campo d’impronta che proietta la sua ombra tramite il riflesso del muro) si aggira per dei vicoli stretti e bui altamente dettagliati, resi tali da una perfetta commistione tra animazione tradizionale ed uso sapiente ed avanguardista della cgi. Le immagini sono talmente d’impatto da sembrare delle riprese dal vero, degne di Hideaki Anno.
Chainsaw Man presenta anche pillow shots di Tokyo abbastanza veritieri con un’attenta esplorazione di svariati quartieri: dalle strade affollate di Shinjuku o Shibuya passando per zone meno celebri, ma altamente suggestivi, come Nerima.
Chainsaw Man è la serie del momento. Spericolata, violenta, comica, densa di citazioni e allo stesso tempo permeata da spunti riflessivi meritevoli d’attenzione.