Il 1952 segna un momento fatidico per la storia di Hollywood. È l’anno in cui Elia Kazan, regista di Un tram che si chiama Desiderio ed in gioventù membro del Partito Comunista Americano, accetta di denunciare otto suoi ex-colleghi del Group Theatre alla House Un-American Activities Committee, la Commissione parlamentare sulle attività anti-americane. È l’anno in cui Dorothy Comingore, l’attrice di Quarto potere, si rifiuta di rispondere alle domande della Commissione, segnando la fine della propria carriera. È l’anno in cui il sindacato degli sceneggiatori, lo Screen Writers Guild, autorizza gli studios a cancellare dai crediti dei film il lavoro di autori accusati di simpatie comuniste, come Dalton Trumbo e Albert Matz. Ed è anche l’anno in cui, il 24 luglio, fa il suo debutto sul grande schermo Mezzogiorno di fuoco, capolavoro western diretto da Fred Zinnemann.
Hollywood e la caccia alle streghe
Ispirato al racconto The Tin Star di John W. Cunningham, Mezzogiorno di fuoco è un’opera spartiacque per il genere western, ma anche un film da cui trapela il clima rovente che si respira a Hollywood all’inizio degli anni Cinquanta: l’atmosfera di paranoia, di paura e di indignazione provocata dall’isteria anticomunista della prima fase della Guerra Fredda e dalla caccia alle streghe avviata dal senatore Joseph McCarthy, in particolare negli ambienti della cultura e dello spettacolo. A firmare la sceneggiatura è infatti Carl Foreman, che in quel periodo è appena finito al centro di un tritacarne mediatico: autore di drammi molto apprezzati come Il grande campione, Il mio corpo ti appartiene e Cyrano de Bergerac, nel 1951 Foreman, convocato dalla Commissione sulle attività anti-americane, aveva ammesso di essere stato iscritto al Partito Comunista, ma era stato bollato come “testimone ostile” per non aver voluto fare nomi di altri ex-tesserati. Come risultato, Foreman sarebbe stato inserito nella lista nera degli ‘indesiderati’ e non avrebbe più trovato lavoro a Hollywood fino al 1957.
Will Kane: un uomo solo
Mentre è impegnato nella stesura di Mezzogiorno di fuoco, Carl Foreman è consapevole che la propria carriera è sull’orlo del baratro; perfino il suo socio, il produttore e futuro regista Stanley Kramer, vorrebbe allontanarlo dal progetto, intimorito dal rischio di un boicottaggio. Inevitabile chiedersi dunque quanto gli avvenimenti collegati al maccartismo influiscano sul film stesso: la storia di Will Kane (Gary Cooper), sceriffo di Hadleyville, nel New Mexico, la cui esistenza è improvvisamente in pericolo quando si diffonde la notizia che, con il treno di mezzogiorno, nella piccola città di frontiera farà ritorno il bandito Frank Miller (Ian MacDonald), ex-galeotto intenzionato a vendicarsi dell’uomo che lo aveva arrestato. Lo sceriffo, che non vuole abbandonare Hadleyville prima del dovuto, cerca invano di ottenere aiuto, ma quasi tutti gli voltano le spalle e lo trattano con sufficienza o disprezzo. Will Kane, in altre parole, è un eroe lasciato solo, che sconta sulla propria pelle l’ostilità e l’opportunismo di un’intera comunità.
Un western revisionista
Contraddistinto da una narrazione quasi in tempo reale, che si sviluppa nell’arco di appena ottantacinque minuti, Mezzogiorno di fuoco è un western con cadenze da thriller: Fred Zinnemann, regista originario della Polonia austro-ungarica ma trapiantato negli Stati Uniti nel 1929, costruisce il film come un incalzante “conto alla rovescia” destinato a culminare, allo scoccare delle dodici, nell’inevitabile resa dei conti tra lo sceriffo Kane e la banda di Frank Miller, nella piazza principale di Hadleyville. Prima del duello finale, però, tutta la tensione è imperniata sugli infruttuosi tentativi di Kane di risvegliare la coscienza dei suoi concittadini, supportato dalla ragazza che ha appena preso per moglie, Amy Fowler (una semi-esordiente Grace Kelly). In tal senso, Mezzogiorno di fuoco si impone da subito come un western atipico, se non addirittura revisionista: costituito principalmente da confronti verbali e dilemmi etici, è più simile a un dramma morale che non a un western tout court.
L’allegoria del maccartismo
A caratterizzare la figura di Kane, inoltre, è la consapevolezza di non poter sconfiggere Miller da solo e la prontezza con cui riconosce il bisogno di farsi appoggiare dal resto della comunità. Se nei western tradizionali il protagonista era presentato quasi sempre come un eroe granitico e ben disposto al sacrificio, lo sceriffo di Gary Cooper è un personaggio assai più umano, la cui integrità gli costa l’indifferenza e l’ostracismo da parte di coloro a cui ha dedicato la propria vita: non era difficile, insomma, leggere in questa vicenda un’allegoria dell’isolamento a cui erano stati condannati gli “eroi solitari” che si erano rifiutati di aderire alla crociata anticomunista di McCarthy e soci. È un’interpretazione elaborata ancor prima delle riprese: John Wayne, icona del western e prima scelta della produzione, ma animato da un furore reazionario contro ogni tendenza liberal, rifiuterà infatti il ruolo di Kane e non lesinerà parole di disprezzo per il film («la cosa più antiamericana che abbia visto in tutta la mia vita»).
Un capolavoro che ci racconta l’America di ieri
Per l’ultracinquantenne Gary Cooper, che ha già un’illustre filmografia alle spalle, Mezzogiorno di fuoco segnerà l’apice del successo, e Will Kane il personaggio per il quale sarebbe stato ricordato nei decenni a venire e che gli sarebbe valso la conquista del suo secondo Oscar come miglior attore (per ironia della sorte, a ritirare il premio in sua vece sarà proprio John Wayne). Accolto dall’ottimo responso del pubblico e ricompensato con quattro Oscar (fra cui quelli per il montaggio, le musiche e la canzone The Ballad of High Noon), il film di Fred Zinnemann non tarda a guadagnarsi lo statuto di classico e a settant’anni di distanza rimane uno dei capolavori del cinema americano. Ma al di là dei meriti artistici, la sua importanza risiede anche nel modo in cui, attraverso la lotta per la sopravvivenza dello sceriffo Kane, Mezzogiorno di fuoco riflette la lotta che nel frattempo si stava consumando a Hollywood; e nell’amarezza di Kane, che nell’epilogo getta al suolo la stella da sceriffo, si può ravvisare l’amarezza di un paese lacerato e che, ancora per qualche anno, si sarebbe visto privato dei diritti fondamentali di ogni democrazia.