Per chi è cresciuto negli anni ’90, gli anime non erano semplicemente cartoni animati da guardare dopo la scuola. Erano finestre su mondi impossibili, compagni di avventure quotidiane, rituali irrinunciabili che scandivano le giornate. Molto prima che Netflix e Crunchyroll rendessero tutto disponibile con un click, quelle serie arrivavano in televisione, doppiate in italiano, e conquistavano milioni di giovani spettatori senza che nessuno sapesse davvero cosa significasse la parola anime.
Era un’epoca in cui non esisteva lo streaming on-demand, ma c’erano gli appuntamenti fissi davanti allo schermo, le videocassette registrate e riavvolte fino a consumarsi, le discussioni animate nei cortili delle scuole. Gli anni ’90 rappresentano un’età dell’oro per l’animazione giapponese, il momento in cui la cultura pop nipponica ha iniziato a costruire ponti solidi con il pubblico internazionale, gettando le fondamenta di quello che oggi è diventato un fenomeno globale da miliardi di dollari.

Quegli anime avevano qualcosa di speciale, alcuni per stili di animazione distintivi che li rendevano immediatamente riconoscibili, altri sigle musicali che ancora oggi risuonano nella memoria di chi le ha ascoltate, ma soprattutto storie che non temevano di esplorare emozioni complesse. Non erano semplici prodotti per bambini, ma narrazioni stratificate che sapevano parlare di amicizia, paura, scoperta di sé, perdita e crescita personale. Ed è proprio questo a creare quel legame emotivo profondo che resiste al passare del tempo.
Questi sette anime, di cui stiamo per parlarvi, rappresentano molto più di semplici cartoni animati del passato. Sono tasselli fondamentali nella costruzione di un ponte culturale tra Giappone e Occidente, pietre miliari che hanno trasformato l’animazione giapponese da prodotto di nicchia a fenomeno mainstream. Per chi è cresciuto negli anni ’90, questi titoli non sono solo nostalgia, sono parte integrante della propria identità, ricordi vividi di un’epoca in cui tutto sembrava possibile e ogni pomeriggio prometteva una nuova avventura da vivere insieme ai propri eroi animati. Il mondo degli anime è cambiato radicalmente negli ultimi decenni, evolvendosi in una delle forme di intrattenimento più amate al mondo. Ma tutto è partito da lì, da quelle serie che hanno aperto le porte a generazioni intere di appassionati. Ripercorriamo insieme sette titoli iconici che hanno definito l’infanzia di ogni ragazzo e ragazza degli anni ’90.
1. Digimon Adventure (1999)

La storia di sette bambini catapultati in un mondo parallelo durante un campeggio estivo aveva tutti gli ingredienti per diventare un cult. Digimon Adventure non era il solito show per ragazzini, ma affrontava temi come la solitudine, la paura dell’ignoto e la scoperta della propria identità con una maturità narrativa inaspettata. Quando i protagonisti vedono la neve cadere a luglio e ricevono strani dispositivi che li trasportano nel Digital World, inizia un’avventura che è anche un viaggio interiore.
I Digimon, creature digitali capaci di evolversi attraverso il legame emotivo con i loro partner umani, rappresentavano qualcosa di più profondo di semplici mostri da collezione. Ogni evoluzione era guadagnata attraverso la crescita personale, il superamento delle proprie paure, il rafforzamento dei legami di amicizia. I giovani spettatori si identificavano con quei bambini perduti in un mondo sconosciuto, alla ricerca di un modo per tornare a casa mentre scoprivano il motivo per cui erano stati scelti.
2. Beyblade (2001)

Beyblade ha fatto qualcosa di straordinario, è riuscito a trasformare un anime in un fenomeno sociale concreto. Non era solo una serie da guardare in televisione, ma un’esperienza da vivere. I nomi dei BitBeasts come Dragoon, Dranzer e Draciel sono entrati nel vocabolario quotidiano di milioni di ragazzi che si sfidavano nei cortili con le trottole modificate, cercando di replicare le mosse epiche viste sullo schermo.
La serie originale seguiva un gruppo di teenager determinati a diventare i più grandi Beybladers del mondo. Con l’aiuto del loro genio di squadra e la potenza dei BitBeasts contenuti nelle trottole, questi giovani campioni affrontavano avversari sempre più forti in un crescendo di tensione e spettacolarità. Il mix di strategia, lavoro di squadra e battaglie mozzafiato ha creato un franchise che va ben oltre l’animazione, generando un impero di merchandising che ha invaso le case di praticamente ogni bambino.
3. Shin-chan (1992)

Probabilmente l’anime più controverso di questa lista, Shin-chan ha fatto infuriare generazioni di genitori con il suo umorismo crudo e la sua rappresentazione irriverente dell’infanzia. Shinnosuke Shin-chan Nohara, un bambino di cinque anni che frequenta l’asilo, è probabilmente il personaggio più terribile che si possa immaginare: impertinente, malizioso, sfacciato, capace di mettere in imbarazzo chiunque con le sue osservazioni inappropriate.
Eppure, proprio questa sua natura anarchica lo rendeva così amato dai giovani spettatori. Shin-chan diceva e faceva tutto quello che i bambini veri avrebbero voluto dire e fare ma non potevano. Insieme ai suoi amici della Kasukabe Defense Force, il piccolo protagonista trasformava ogni giornata in un caos esilarante, tormentando genitori, vicini e insegnanti con le sue continue marachelle. La serie mostrava l’infanzia attraverso una lente assurda e liberatoria, rifiutando ogni idealizzazione e abbracciando invece il caos gioioso e senza filtri tipico dei bambini veri.
4. Doraemon (1979)

Doraemon è stato un comfort show intergenerazionale che continua ad andare in onda dal 1973, collegando nonni, genitori e figli attraverso la stessa storia. Il gatto robot blu inviato dal futuro per aiutare Nobita Nobi, uno studente pigro e sfortunato, è diventato un’icona culturale globale che va ben oltre l’animazione.
Nobita si caccia nei guai, chiede aiuto a Doraemon, il gatto robot estrae dalla sua tasca quadridimensionale un gadget futuristico per risolvere il problema, ma le cose finiscono inevitabilmente per complicarsi ulteriormente. Ogni episodio era una piccola avventura autoconclusiva che mescolava fantascienza, commedia e messaggi educativi sottili. I gadget di Doraemon alimentavano la fantasia dei giovani spettatori. Chi non ha mai desiderato una porta per andare ovunque, un cappello per diventare invisibili o una macchina del tempo personale. La relazione tra il responsabile Doraemon e l’irrimediabile Nobita toccava corde emotive profonde, mostrando come l’amicizia e la pazienza possano aiutare anche la persona apparentemente più senza speranza a crescere e migliorare.
5. Sailor Moon (1992)

Quando Sailor Moon è arrivato sugli schermi occidentali, ha rappresentato una rivoluzione silenziosa. In un panorama dominato da eroi maschi e avventure pensate principalmente per i ragazzi, questa serie shojo ha dimostrato che le storie con protagoniste femminili potevano conquistare un pubblico vastissimo e trasversale. Usagi Tsukino, una studentessa ordinaria e pasticciona, scopre il suo destino come Sailor Moon, guardiana planetaria incaricata di proteggere la Terra dalle forze del male.
La serie celebrava la femminilità in tutte le sue forme, senza vergogna né stereotipi riduttivi. Le Sailor Senshi erano guerriere potenti che combattevano il male, ma erano anche ragazze normali che affrontavano problemi quotidiani, dubbi sentimentali e insicurezze personali. Il mix di azione, trasformazioni spettacolari, relazioni complesse e temi universali come l’amicizia e l’amore ha reso Sailor Moon un fenomeno culturale che ha aperto le porte al genere shojo in Occidente. La serie ha anche giocato un ruolo pionieristico nel rappresentare tematiche progressive, affrontando con naturalezza questioni di identità e orientamento sessuale in un’epoca in cui pochi show per ragazzi osavano farlo.
6. Pokémon (1997)

Parlare di Pokémon significa parlare di un fenomeno che ha trasceso il concetto stesso di franchise. Nato come videogioco nel 1996, è diventato anime nel 1997, trasformandosi rapidamente in un impero multimediale che comprende serie animate, film, giochi di carte, merchandise e praticamente qualsiasi categoria di prodotto immaginabile. Eppure, al centro di tutto c’è quella storia semplice e universale: Ash Ketchum che parte per diventare il più grande allenatore di Pokémon del mondo.
Il fatto che tutti gli starter Pokémon fossero già stati reclamati, lasciandogli solo un Pikachu ribelle e diffidente, è stato il perfetto punto di partenza narrativo. La crescita del rapporto tra Ash e Pikachu, da reciproca diffidenza a legame indissolubile, rappresentava metaforicamente la crescita personale che ogni viaggio comporta. Ogni episodio era un’avventura autoconclusiva, ma l’arco narrativo più ampio seguiva Ash nella sua ricerca di medaglie da palestra e nella preparazione per la Pokémon League.
7. Dragon Ball Z (1989)

Se dovessimo identificare un singolo anime che ha davvero aperto le porte dell’Occidente all’animazione giapponese, Dragon Ball Z occuperebbe sicuramente il primo posto. L’opera di Akira Toriyama non era solo un’altra serie d’azione: era un fenomeno culturale che ha influenzato generazioni di creatori e ridefinito i codici del genere shonen per i decenni successivi. Nonostante l’uscita e la prematura fine di Super e il fenomeno che è stato Daima, la serie originale resta imbattuta per tutti i fan del mondo.
Mentre il Dragon Ball originale aveva posto le fondamenta della storia, seguendo le avventure del giovane Goku nella ricerca delle sfere del drago, Dragon Ball Z ha alzato l’asticella in ogni aspetto. Ambientato quattro anni dopo, con un Goku adulto, sposato con Chi-Chi e padre del piccolo Gohan, la serie sembrava promettere una vita tranquilla per l’eroe. Ma l’arrivo di alieni dallo spazio cambia tutto, rivelando le vere origini di Goku come membro della razza guerriera dei Saiyan.

Dragon Ball Z ha popolarizzato troppe convenzioni narrative per elencarle tutte: le trasformazioni iconiche che aumentano esponenzialmente il potere dei personaggi, i livelli di potenza misurabili, le battaglie epiche che si estendono per decine di episodi, i cattivi che diventano alleati, il sacrificio eroico seguito dalla resurrezione. Ogni elemento è stato copiato, omaggiato e reinterpretato infinite volte nei decenni successivi.
Ma oltre ai combattimenti spettacolari e alle sequenze di trasformazione memorabili, la serie aveva un cuore emotivo potente. Esplorava temi come la paternità, il sacrificio, il superamento dei propri limiti, la redenzione e il valore dell’amicizia. Il legame tra Goku e Gohan, la rivalità fraterna con Vegeta, il sacrificio di Piccolo per salvare il bambino che aveva allenato: sono momenti che hanno lasciato un’impronta indelebile nella memoria collettiva di un’intera generazione.