“Superman non diventa Superman. Superman è nato Superman. Quando Superman si sveglia al mattino è Superman. Il suo alter ego è Clark Kent. […] Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non crede in se stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana.”
Siamo nel 2004 e Quentin Tarantino fa pronunciare queste parole al suo Bill, in procinto di uccidere la Beatrix Kiddo di Uma Thurman in Kill Bill Vol. 2. Secondo lui, Superman è l’unico supereroe che si traveste da essere umano. Clark Kent, dice Bill, è solo una maschera, un travestimento goffo e impacciato con cui l’alieno osserva gli uomini, rivelando così cosa davvero pensa di loro: deboli, insicuri, fragili.
Superman ha vissuto molte vite dalla sua nascita nel 1938 a oggi. Da idolo e ideale inscalfibile, oggetto di propaganda e di aspirazione per un’America che doveva rialzarsi da una crisi economica e fronteggiare i nazifascisti, nel corso del tempo è cambiato al cambiare della società occidentale
Tutte le vita di Supes
E dal 1986, dopo il grande reset di casa DC di Crisi sulle Terre Infinite, è stato raccontato con un’accezione via via sempre più fallibile e umana. Questa è stata la missione di John Byrne che ne ha riscritto le origini dopo quel maxi-evento, fornendo i capisaldi del personaggio anche per gli anni a venire: principi che, in un certo senso, hanno orientato anche chi è venuto dopo di lui.
C’è una storia che però, più di tutte, ha raccontato le origini e l’importanza del lato umano di Superman: Stagioni di Jeph Loeb e Tim Sale. Pubblicata nel 1998 da DC Comics, in questa storia il mito – e l’assioma tarantiniano – viene ribaltato: Clark Kent non è una maschera, ma la verità. “Clark Kent is who I am. Superman is what I do” si diceva nella serie degli anni ’90 Lois & Clark.
È l’educazione dei Kent, la vita semplice e vera di Smallville, ad aver forgiato il cuore di un eroe. Superman esiste perché prima di tutto esiste Clark Kent. E in questo cuore batte qualcosa che ci riguarda tutti: la paura di non essere abbastanza, il desiderio di fare la cosa giusta, la lotta per rimanere buoni in un mondo che mette alla prova. Superman non è un dio che si finge uomo. È un uomo, cresciuto come tale, che ha deciso di essere un eroe.
Storia editoriale

Questa è la tesi che Loeb con la sua scrittura cerca di dimostrare nei quattro capitoli di cui si compone la storia, ognuno ambientato in una stagione diversa dell’anno. Attraverso questi momenti dell’anno e i punti di vista dei personaggi principali della vita di Clark Kent (Jonathan Kent, Lois Lane, Lex Luthor e Lana Lang), gli autori esplorano l’animo più intimo e profondo dell’eroe più iconico di sempre.
Nel 1996 Jeph Loeb e Tim Sale avevano già lavorato insieme a Batman: Il lungo Halloween e al suo seguito Vittoria Oscura. Dopo aver raccontato un Cavaliere Oscuro ai suoi primi anni con un taglio noir e investigativo, i due decisero di cimentarsi con Superman, ma da una prospettiva completamente diversa.
La serie non intendeva riscrivere le origini del personaggio, ma indagare il modo in cui la sua umanità si fosse forgiata. Loeb ha raccontato più volte come sentisse una certa soggezione nel dover raccontare Superman dall’interno, preferendo invece far emergere la sua figura attraverso lo sguardo degli altri. Da qui nasce la struttura corale della narrazione. The Man of Steel, che già aveva posto l’accento sul ruolo fondamentale dei Kent nella formazione morale di Clark. Stagioni riprende quel punto di partenza per costruire un ritratto più lirico, emotivo e simbolico.
La struttura

Scegliendo di non raccontare la storia dal punto di vista di Clark ma di affidarsi a un narratore diverso per ogni stagione, Loeb permette al lettore di percepire Superman come un mito osservato da fuori, e non come una voce in prima persona. Quel che ne nasce è un racconto che diventa, da un lato, un viaggio di formazione per un adolescente; dall’altro, l’elaborazione di un “lutto” per un adulto
-
Primavera (Jonathan Kent) – Clark scopre i suoi poteri, ma soprattutto il peso delle responsabilità. Jonathan osserva con timore e orgoglio la crescita del figlio, consapevole che non potrà trattenerlo per sempre. Smallville è il luogo dove nascono i valori che guideranno Superman per tutta la vita.
-
Estate (Lois Lane) – Superman appare per la prima volta a Metropolis. Lois narra l’impatto dell’Uomo d’Acciaio sulla città e sulla sua stessa vita. Il tono qui diventa più luminoso, quasi epico. Ma emergono anche i primi dubbi: ci si può davvero fidare di un essere così potente?
-
Autunno (Lex Luthor) – Luthor cerca di dimostrare che Superman non è così perfetto come appare. Con una freddezza chirurgica, ordisce un piano per destabilizzarlo psicologicamente, riuscendoci a un costo altissimo. Questo capitolo esplora il fallimento, la delusione e il senso di impotenza che colpisce anche il più forte tra gli uomini.
-
Inverno (Lana Lang) – Tornato a Smallville dopo la disfatta, Clark ritrova la propria identità attraverso il contatto con la sua comunità. È Lana a raccontare questo ritorno alle origini, sottolineando che l’eroismo non è mai solo nei muscoli o nei poteri, ma nella volontà di rialzarsi. Qui Clark affronta il suo più grande insegnamento: impara ad accettare che non può salvare tutti, come aveva già scoperto nella versione classica di Byrne quando perse suo padre per un infarto – un concetto che contraddice dunque la visione proposta da Zack Snyder nel 2013. E soprattutto la prospettiva è quella di un uomo che comprende che ciò che credeva un fallimento non lo è: è la consapevolezza dei propri limiti, ed è in questa umanissima accettazione che Superman diventa davvero uno di noi.
Una storia di umanità e di accettazione
Loeb e Sale ci ricordano che, prima di essere un alieno venuto da un altro mondo, Clark Kent è uno di noi. Il suo superpotere più grande non è la forza, ma la gentilezza; e che un eroe non è definito dai suoi successi, ma dalla sua coerenza morale.
Nell’autunno della storia, Superman vive quello che percepisce come un fallimento: non essere riuscito a salvare tutti. Ma è nell’inverno che comprende una verità fondamentale e profondamente umana: convivere con i propri limiti è parte dell’essere umano. Superman impara a elaborare il dolore e a capire che quel che percepiva come fallimento, in realtà, non lo è: non poter salvare tutti non significa non essere un eroe. Significa accettare i propri limiti, come farebbe qualsiasi uomo, e trovare in quell’accettazione la forza di continuare.
E qui sta la vera chiave di lettura che Jeph Loeb ci offre: Superman potrebbe sembrare un ideale irraggiungibile, un modello che rischierebbe di schiacciarci nel paragone. Ma Stagioni ci mostra che non dobbiamo guardarlo come un dio da imitare, bensì come un amico che, proprio come noi, cade, soffre e ha bisogno di qualcuno che gli ricordi come rimettere le cose nella giusta prospettiva.
Superman, alla fine, non è solo il sogno di ciò che potremmo essere: è il compagno di viaggio che ci ricorda che anche chi sembra invincibile deve imparare ad accettare se stesso. Ed è in questa lezione che la sua umanità e la nostra si incontrano.