Quanto può essere pesante raccogliere l’eredità di Iron Man? Un futurista, un eroe capace di andare oltre i suoi limiti etici e diventare il salvatore di un mondo intero, sacrificatosi per tutti, il cui retaggio rimane vacante in un universo disperatamente in cerca di un suo erede. E stiamo parlando del Marvel Cinematic Universe, franchise che cerca timidamente di riprendersi dopo anni di fatiche, in attesa della sua prima grande prova, quel Fantastici Quattro – L’inizio che a luglio segnerà un momento epocale per il MCU. O la sua potenziale disfatta.
Tra speranze e timori, dopo Captain America: Brave New World e Thunderbolts, tocca ora a una delle figure più moderne del pantheon della Casa delle Idee mettersi alla prova, cercando di tenere ben stretto il pubblico più giovane. È questa la vera missione di Riri Williams in Ironheart, miniserie che su Disney Plus arriverà in due appuntamenti, il 24 giugno e il 1° luglio.
Genere: Azione, Fantascienza
Durata: 6 Episodi/45 minuti ca.
Uscita: 24 Giugno 2025 (Disney+)
Cast: Dominique Thorne, Anthony Ramos, Sacha Baron Cohen
Un’eroina per una nuova generazione

Nata in Wakanda Forever, Riri Williams dovrebbe essere, sulla carta, l’erede ideologica di Testa di Latta. Se nei comics la sua ascesa come erede di Tony Stark dopo gli eventi di Civil War II è stata resa epica dalla concorrenza del Dottor Destino, nel Marvel Cinematic Universe il suo percorso è stato, ovviamente, impostato in modo diverso. Rimane il senso di legacy nei confronti di Stark, si ritrovano gli elemento scatenanti del suo slancio eroico, ma la Ri di Dominique Thorque viene adattata (giustamente) al linguaggio del MCU – e, soprattutto, a quello di una nuova generazione.
Sempre più marcato il percorso verso la creazione di una squadra di supereroi che parlino più ai teenagers che non agli adolescenti di un tempo, divenuti gli adulti di oggi (che si tratti di Champions o Young Avengers è ancora da vedere). Ironheart è parte integrante di questo meccanismo come lo sono stati Ms Marvel e Hawkeye, ma per la supereroina di Chicago si punta a una caratterizzazione più urbana, meno eroismo e più concretezza.
Una scelta necessaria, che rimette pesantemente in discussione l’essenza del personaggio. Forse, il personaggio più differente dall’originale cartaceo sinora trasposto nel MCU, tanto da spingersi verso argomenti lontani dall’idea dei suoi creatori, ma necessari per dare ulteriore solidità a elementi traballanti del MCU.
Ritorno a casa

Dopo la sua avventura wakandiana, Riri Williams torna in America, all’MIT. Enfant prodige dell’ateneo, continua a lavorare ai suoi progetti di armature di soccorso, incurante delle regole scolastiche o del suo rendimento. La sua ossessione la guida, il suo obiettivo è impedire che altre persone siano costrette a veder morire i propri cari come accaduto a lei, sopravvissuta a una sparatoria in cui sono morti il patrigno e la sua migliore amica, Natalie.
Nonostante la sua genialità, nonostante i fondi di cui il MIT usufruisce grazie ai finanziamenti delle Stark Industries (come visto all’inizio di Captain America: Civil War), Riri è comunque considerata un elemento incontrollabile, al punto da venire espulsa dall’università. Costretta a tornare a Boston, la geniale inventrice ruba il suo ultimo prototipo di armatura, ma ha una brutta sorpresa: parte del software è gestito dal MIT, che ovviamente la estromette.
Senza soldi e senza attrezzature, Riri è costretta a improvvisare. Il suo ritorno a Chicago non è dei più felici e le ristrettezze economiche la spingono a collaborare con la banda di Hood, che mira a ritagliarsi una fetta di potere nella metropoli. Reticente all’inizio, ma costretta per necessità, Riri prende parte ad alcuni colpi – e per farlo, ricorre alla nuova IA della sua armatura: la sua amica Natalie. Nata da una scansione del suo cervello, Natalie da presenza inizialmente destabilizzante, diventa essenziale per Riri. E quando emerge la verità su Hood e il senso di eroe si palesa in Riri, solo la sua armatura potrà fare la differenza.
Scontro con la realtà

Sul fatto che l’MCU si sia distaccato in modo evidente dalla dimensione cartacea della Casa delle Idee, non ha senso tornarci. Scelta necessaria, per avvicinarsi a un nuovo pubblico, al suo linguaggio e per sopperire obbligati passaggi del passato, che hanno costretto i Marvel Studios a compiere decisioni ineluttabili. Questa nuova Terra in cui è ambientato il MCU ha proprie regole e propri eroi, come è giusto che sia in quel multiverso di cui sappiamo ancora spaventosamente poco.
Riri Williams è parte di questo gioco e, onestamente, ne giova, pur mantenendo quei tratti caratteristici della creazione di Bendis che la rendono un tassello importante del franchise. La legacy di Iron Man si percepisce, ma non è opprimente: non abbiamo la costante ossessione di immaginarci uno Stark digitale come spirito guida (come avvenuto nei comics), ma abbiamo una giovane donna che deve affrontare da sola le proprie difficoltà.
Ironheart ha una grammatica grounded, lega la sua protagonista e il suo mondo alla strada, alla realtà di una città, Chicago, proletaria e caratterizzata da enclavi sociali deboli. Il ritorno a casa per Riri coincide con il recupero delle sue origini, con la perdita della spocchia con cui la conosciamo nel primo episodio, una terapia d’urto che le toglie velleità eroiche e le ricorda che la vita è sporca, dura e ingiusta.
Trovare la propria rotta

E il passaggio da eroe a villain è una facile tentazione – d’altronde, come ben diceva qualcuno, basta una giornata storta. Le tentazioni offerte da Hood, per quanto criminali, sono troppo lusinghiere, attecchiscono su un’adolescente che si sente tradita e privata di ciò che ritiene sia suo in virtù di una genialità che, apparentemente, non riesce a direzionare.
Tramite l’incontro con chi ha affrontato le sue stesse difficoltà e lo sconvolgente confronto con una sua creazione, Riri riesce a trovare un equilibrio, a trovare la sua strada. Sotto questo aspetto, la writing room di Ironheart ha colto la giusta chiave emotiva, pur con qualche piccola ingenuità, dando vita a dialoghi che, specie in lingua originale, sono particolarmente centrati sui personaggi e sul loro ambiente sociale. Accompagnata da una colonna sonora perfettamente in sintonia, l’avventura solista di Riri Williams assume un carisma particolare.
Una forza interiore che si crea lentamente, tramite battaglie perse e dolori finalmente accettati e superati. Non c’è solo fredda tecnologia nel cuore di Riri, ma tutta la fragilità di un’adolescente, le sue effimere sicurezze e le schiaccianti fragilità. E poi il bisogno di trovare punti fermi, un senso di appartenenza che sembra sfuggire a chi sceglie di indossare una maschera.
Verso il futuro dell’MCU

All’interno del MCU, Ironheart funziona? C’era aspettativa sul ritorno di Riri, anche in riferimento alla travagliata lavorazione di Armor Wars, e la presenza dell’elemento magico aiuta a dare maggior definizione a una componente che, tolto Doctor Strange, fatica a mostrare una ragion d’essere. La miniserie su Ironheart potrà scontentare chi cerca un’aderenza totale all’originale fumettistico, ma ha il merito di provare a dare un tono differente a un franchise che sta cercando nuova linfa.
Ironheart risolve interrogativi a lungo rimasti sospesi, crea delle potenzialità per il futuro e sedimenta una continuity in modo intelligente, senza forzature. Non ha la solidità dei momenti migliori dell’MCU, ma ha dalla sua la genuinità di una serie che punta ai personaggi, con un cuore che unisce organico e digitale, che mostra come un eroe può nascere in una grotta perduta o in un vecchio garage.
Conclusioni
Ironheart risolve interrogativi a lungo rimasti sospesi, crea delle potenzialità per il futuro e sedimenta una continuity in modo intelligente, senza forzature. Non ha la solidità dei momenti migliori dell’MCU, ma ha dalla sua la genuinità di una serie che punta ai personaggi
Pro
- Protagonista ben definita
- Combattimenti convincenti
- Contesto urbano ben sfruttato
Contro
- Alcuni passaggi narrativi poco incisivi
- Finale non convincente
-
Voto ScreenWorld