Cosa si nasconde davvero nell’animo umano? E quanto spesso i nostri preconcetti possono fuorviarci dallo scoprire la verità? Interrogativi che abbiamo affrontato, nella cornice di Napoli Comicon 2025, con Giovanni dell’Oro, alias JiokE, che alla kermesse partenopea ha presentato in anteprime il suo nuovo lavoro, Abisso.
Pubblicato da Edizioni BD, Abisso riconferma l’attenzione con cui JiokE indaga nell’animo umano, scavando nelle ombre per trovare radici emotivi forti e disturbanti.
L’orrore nel quotidiano

Abisso prosegue questa sua vena indagatrice, arrivando anche a sondare quegli ambienti ritenuti protetti lasciando emergere momenti di terrore palpabile e inquietantemente realistici. Forse perché sin dall’inizio JiokE ha cercato un punto di contatto con le sensazioni più autentiche della nostra quotidianità:
“Ho iniziato a narrare questo tipo di storie nel 2014, quando c’è stato un forte boom dei webcomic, legati soprattutto a situazioni “relatable”. Cioè, per esempio: “Domani ho un esame, ho l’ansia”, e così si parlava di ansia e depressione. Spesso, in quei momenti, c’era una sorta di romanticizzazione di determinate problematiche. E se da una parte queste storie avevano un enorme successo, dall’altra si stava creando una piccola fetta di lettori molto scontenti. Perché dicevano: “Cavoli, state svelando problematiche molto importanti, ma le state trattando in modo sbagliato.”
Una presa di coscienza precisa, che ha fatto emergere in JiokE la volontà di esplorare queste tematiche da una prospettiva diversa. Dove spesso si trovava una serpeggiante omologazione alla ritrattistica di malesseri interiori, si è contrapposta una diversa dialettica, visiva e narrativa, che non sminuisse queste sensazioni:
“Mi sono detto: “Ok, voglio essere l’alternativa per questi lettori.” Così ho iniziato a prendere queste problematiche e a trattarle nella maniera più brutale e seria possibile, soprattutto senza l’uso di metafore. Perché, per esempio, immaginiamoci un classico fumetto che tratta la depressione: come la rappresenta? Con un tizio tutto raggrinzito, con un mostro che gli esce dalle spalle e rappresenta la depressione. E io ho detto: “Ok, ma perché rappresentarla così, quando gli stessi sintomi che la depressione porta con sé sono molto più mostruosi? Molto più mostruosi di qualsiasi mostro tu possa rappresentare.” E da lì ho iniziato a lavorarci sopra, ogni volta cambiando argomento, e trattando veramente qualunque cosa esista su questo pianeta.”
Il mostro si nasconde tra noi

Da qui un ribaltamento della prospettiva narrativa, arrivando a trovare proprio nell’uomo il mostro da cui difendersi:
“Il punto di riferimento è sempre la paura del prossimo, la paura dell’uomo, non dei mostri o dei fantasmi, come invece è più classico, magari, nell’horror americano. Quell’horror trova molto più sfogo in Italia. Tant’è che questo tipo di genere, che io chiamo horror di sera — cioè un horror che ti prende da dentro, perché il mostro può essere chiunque, anche il tuo vicino di casa o un tuo parente — è, secondo me, molto più efficace nel rappresentare la paura. Perché è una paura da adulti. Quando è che smettiamo di avere paura dei mostri? Quando diventiamo adolescenti.”
Leggendo Abisso, appare evidente come ci sia una componente adolescenziale, come in “Avviso”. Forse perché è proprio quell’età in cui, bene o male, ci si scontra con il passaggio dall’innocenza perduta alla maturità. E la maturità comporta un po’ quel momento in cui si scopre davvero com’è il mondo.
In Abisso, due dei racconti sono ambientati in un ambiente familiare, che nell’immaginario dovrebbe essere un’isola felice. Eppure, per JiokE anche questo luogo protetto può nascondere orrori :
“E’ sempre questo tipo di contrasto. Cioè: il luogo che dovrebbe essere il più sicuro in assoluto, si trasforma in qualcosa di molto peggio, di molto più brutale. I luoghi che dovrebbero essere sicuri sono in realtà quelli peggiori in cui rappresentare determinate cose. Per esempio, l’abuso familiare: un luogo che dovrebbe essere pieno d’amore, un ambiente sicuro, che dovrebbe far crescere i propri figli, diventa in realtà un ambiente quasi di tortura. Ma allo stesso tempo io tento anche di creare situazioni che non siano stereotipate.”
Oltre i preconcetti

Un discorso delicato che viene rielaborato con decisione dalla dialettica di JiokE, che si spinge anche a ribaltare dei preconcetti, per mostrare un’altra prospettiva:
“Per esempio, quando dico “genitori violenti”, la prima cosa che uno pensa è il classico tizio — il padre di famiglia — operaio, stanco morto, con la canottiera, che si siede a guardare la televisione e poi prende la cinghia e mena i figli. Invece, io, anche in altre opere come La casa dei pulcini, ho creato figure genitoriali che ti possono ingannare. Realizzare questo tipo di personaggio, però, in quanto madre — non in quanto padre — risulta molto più difficile. Perché utilizza dei sistemi diversi rispetto alla pura forza bruta dell’uomo.”
I racconti di JiokE sono caratterizzati da un uso ragionato dei jump scares tipici di una narrativa horror esplosiva, preferendo tuttavia un approccio più umorale, con una progressione narrativa che culmina in un finale sorprendente, alla Dick. Un’impostazione che ricorda, per metrica, un cortometraggio:
“Da cortometraggio, esatto! È come se fossero dei brevi corti horror, veri e propri. In cui si potrebbe costruire un’antologia, anche da proiettare in un cinema. Devo ammettere che questa cosa nasce dal fatto che io arrivo dal web. E cos’è quella cosa che ti spinge a dire: “Cavolo, mi ha colpito, lo condivido”? È per forza il colpo di scena finale.”
Grammatica dell’orrore quotidiano

Se si pensa al fumetto online, il primo pensiero corre ai webcomic. Eppure, JiokE precisa come non sia affine agli stilemi del webcomic, preferendo un’altra visione, anche più materiale nella fruizione, con cui articolare i suoi racconti:
“Non mi sono mai adattato al linguaggio del webcomic, che è un linguaggio a scorrimento. Mentre io adoro il “volta pagina”, perché il “volta pagina” a un certo punto diventa un vero e proprio jump scare. Cioè: tu volti la pagina e avviene quello che avviene. Ecco, lì secondo me c’è proprio la bellezza di questi racconti. Anche perché arrivi a un certo punto in cui hai appena avuto il jump scare, stai ancora macinando quello che hai vissuto… e hai già voglia di riprovare quella sensazione.”
Sorpresa e rivelazione, che assieme stravolgono il lettore e lo spingono a volerne ancora, a cercare una nuova emozione:
“Ti butti subito in una nuova storia. E il jump scare non è mai uguale. E poi infatti è anche una cosa abbastanza divertente — tra virgolette — per il lettore, andare a rileggere la storia consapevole del jump scare, o comunque del plot twist, e capire che tutto torna. Come si dice: tutti i nodi tornano al pettine. E in questo modo tutto torna davvero. Che poi è anche una delle cose più difficili da fare, quando si scrive una storia di questo tipo.”