Si è conclusa da poco la sorprendente serie ideata da Dan Erickson e prodotta da Ben Stiller (che ne ha anche diretto 6 episodi su 9) per Apple Tv+ che, partendo da un’idea davvero brillante e originale, ha esplorato con sapienza visiva e spiazzante destrezza narrativa i confini del concetto di identità dell’essere umano e sta riscuotendo sempre più ampi consensi, avendo avuto endorsement eccellenti come quelli di Stephen King e dello sceneggiatore David Zuckerman, che hanno speso parole entusiastiche per la serie. È dunque con non poca trepidazione che ci addentriamo nella spiegazione del finale di Scissione – Severance.
Cosa è successo finora
Come sanno bene coloro che hanno seguito, presupponiamo incollati allo schermo, la serie di Erickson, tutto nasce dalla semplice quanto geniale (aggiungeremmo dickiana) idea di un presente alternativo (sulla buona via per la distopia) in cui esistono aziende come la Lumon che, legalmente, impongono ai propri dipendenti un’operazione chirurgica in base alla quale la loro memoria viene scissa in privata e lavorativa. In altre parole i ricordi di tutto ciò che si è svolto sul luogo di lavoro non accompagnano la persona una volta fuori dall’azienda e, viceversa, i ricordi della propria vita privata vengono totalmente esclusi dalla personalità dell’individuo mentre è all’interno della Lumon. Questo processo porta conseguenze estreme: mentre per la personalità Esterna, ovvero colui/colei che continua a vivere la propria vita privata, i ricordi di una vita rimangono comunque a fare da cuscinetto psicologico, per l’Interno invece, non potendo disporre dei ricordi di tutta una vita, è come partire da una tabula rasa, una sorta di personalità vergine che si forma man mano sul luogo di lavoro. E l’aspetto che più atterrisce di questa situazione è che l’Interno vive un perenne stato di vita lavorativa, senza le gioie di una normale vita sociale: non appena esce dalla Lumon, la sua personalità viene ‘spenta’ per poi riaccendersi soltanto quando varca di nuovo le porte dell’azienda.
Tra l’altro l’alienante lavoro che svolge la sezione MacroData Refinement su cui si concentra la vicenda, è “importante e misterioso”, per usare le parole di Mark, ma in realtà lo scopo è totalmente ignoto: ci si concentra sul monitor di un computer e, in base a sensazioni puramente soggettive, si devono riallocare una serie infinita di numeri, appartenenti a file sconosciuti da ripristinare. Su queste basi, per entrare nella storia, gli autori ci offrono come grimaldello emotivo, l’entrata nell’azienda di Helly (Britt Lower), new Entry del reparto MDR che, suo malgrado, si ritrova a fare amicizia con Mark (Adam Scott), Dylan (Zach Cherry) e Iving (John Turturro), i suoi colleghi di lavoro. La personalità indomita e ribelle di Ally creerà non pochi scombussolamenti a tutto il reparto, e in particolare a Mark che è entrato alla Lumon per sconnettersi dal dolore per la perdita della moglie, recentemente scomparsa, e che, apparentemente, sembra essere tra i più ligi ai paradossali e oppressivi dettami interni dell’azienda.
Un cliffhanger meraviglioso e bastardo
Per ben 9 episodi gli spettatori hanno atteso che le personalità Interne di Mark, Dylan, Helly e Irving si emancipassero e trovassero il modo di farsi un giro all’aria aperta, ovvero che prendessero il controllo dei corpi degli Esterni e gustassero finalmente l’agognata libertà. In realtà sarebbe più esatto dire che tale desiderio comincia a titillare la coscienza degli spettatori soltanto dal quarto episodio, cioè da quando assistiamo alla glaciale risposta dell’Esterno di Ally al suo Interno, in reazione alla sua legittima e disperata richiesta di dimissioni: “Io sono una persona, tu non lo sei, io prendo le decisioni, tu no.” È qui che anche noi spettatori, dopo tre episodi introduttivi, entriamo in una viscerale empatia con gli Interni e con Ally in particolare che, con un gesto estremo (proverà ad impiccarsi) cercherà di attirare l’attenzione del suo Esterno. È da qui in poi che cominciamo a desiderare che gli Interni, vessati tra l’altro da vere e proprie torture psicologiche inflitte come punizioni per infrazioni alle regole, trovino una impossibile via d’uscita.
La nostra spiegazione del finale di Scissione – Severance, quindi, si apre nel crescendo degli ultimi due episodi, in cui Dylan scopre che è possibile disconnettere gli Esterni anche quando non sono alla Lumon, mentre Mark entra in possesso di una chiave magnetica che permette di accedere ai macchinari per l’attivazione e disconnessione delle personalità. In base a un piano prestabilito, Dylan rimane in azienda ad attivare gli interruttori per far riaffiorare gli Interni nei corpi degli Esterni, almeno per il tempo sufficiente affinché gli Interni denuncino a qualcuno la loro situazione disumana. Se di Mark conosciamo già la vita privata, la maggiore sorpresa ce la offre l’identità di Helly. Si tratta in realtà di Helen Eagan, figlia dell’amministratore delegato della Lumon, James Eagan, che ha dato il via al processo di Scissione, offertasi come cavia consapevole per questo esperimento, evidentemente a sostegno dell’azienda del padre, contestata da molti movimenti contrari al brutale processo. Irving, il personaggio di John Turturro, non riserva grosse sorprese: prevedibilmente, va in cerca di Burt (Christopher Walken), di cui si era innamorato a lavoro, e scopre che vive con un compagno.
Il guaio peggiore lo combina però Mark che, risvegliatosi nel suo corpo a casa della sorella, si tradisce con la perfida signora Cobel (Patricia Arquette), appena licenziata dalla Lumon per inefficienza, ma infiltratasi nella famiglia dello stesso Mark come badante della piccola Eleanor. Cobel, mangiata la foglia e, per ingraziarsi la Lumon in cui vuole evidentemente rientrare per ritrovare uno scopo, avverte l’untuoso assistente Milchick della situazione affinché fermi chi sta sabotando la Lumon e nel frattempo corre al galà in cui Helen, ovvero Ally, deve intervenire pubblicamente per sostenere la Scissione. Nonostante arrivi qualche attimo prima del discorso, minacciandola, la Cobel non riesce ad impedire ad Ally di denunciare pubblicamente, anche se per pochi minuti, le sofferenze psicologiche a cui sono sottoposti gli Interni. Nel frattempo Mark scopre finalmente che la signora Casey, responsabile delle sessioni Benessere della Lumon, è in realtà sua moglie creduta morta e cerca di dirlo alla sorella. A calare su tutto come una mannaia, arriva però il bieco Milchick che ferma Dylan, ripristinando le personalità Interne di tutti e quattro i componenti delle MDR, proprio nel mezzo di questi momenti cruciali, soprattutto per Mark ed Ally. Finale al cardiopalma dunque che, nella migliore tradizione dei cliffhanger seriali, lascia gli spettatori su un filo sospeso, nel momento culminante della storia.
Mondi dickiani
Se c’è un enorme merito della serie di Dan Erickson non è stato solo quello di essere partiti da un’idea folgorante e originale, ma anche quello di non aver sprecato tale spunto in sviluppi banali, bensì di averlo conservato vivo per tutta la durata di questa prima stagione, usandolo come fattore scatenante per sviluppi interessanti e imprevedibili. Come già accennato, l’idea di base non sfigurerebbe affatto in un romanzo di Philip Dick, geniale creatore di visionarie distopie fantascientifiche, nonché anticipatore del genere cyberpunk, da cui il cinema ha pescato a piene mani negli ultimi quattro decenni, a partire da Balde Runner, tratto dal suo romanzo “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”. Ricordando tra l’altro l’incomprensibile presenza dei capretti in uno di reparti della Lumon, forse come strizzatina d’occhio alle pecore elettriche di Dick, non a caso citiamo proprio Blade Runner: cosa sono le personalità Interne, prive di quei cuscinetti psicologici (termine usato dallo stesso Eldon Tyrell nel film di Ridley Scott) che sono i ricordi di una vita, se non una nuova versione dei Replicanti del film cult del 1982, ai quali venivano forniti dei ricordi falsi dalla stessa Tyrell Corporation che li creava? Tra l’altro, in Severance, come in Blade Runner, c’è un’azienda autarchica e oppressiva che gestisce le vite dei propri dipendenti, o delle proprie creazioni senzienti, come se fossero oggetti; si veda appunto il disumano discorso di Helen Eagan alla sua Interna. “Non siamo computer Sebastian, siamo organismi” diceva Roy Batty/Rutger Hauer ad uno sbigottito J. F. Sebastian che chiedeva una dimostrazione delle loro capacità.
I confini del concetto di identità
Cos’è reale e cos’è umano, questi i quesiti fondamentali alla base di molta narrativa di Philip Dick e gli stessi interrogativi sembrano imporsi alla coscienza anche degli sbigottiti spettatori di Severance, chiamati in causa in prima persona a riflettere sul ruolo dei ricordi nella propria vita e su ciò che forma davvero il carattere di ognuno. Cosa saremmo senza le esperienze che hanno plasmato la nostra personalità? Dei gusci vuoti? Certamente saremmo come dei bambini e la naïveté che caratterizza in un certo senso i quattro componenti della MDF sembrerebbe confermarlo. Ci sono però anche altre componenti, evidentemente insopprimibili, della personalità che forse fanno parte del nostro DNA psicologico, elementi innati della nostra psiche, predisposizioni caratteriali indipendenti dai condizionamenti dell’ambiente. Fondamentale risulta infatti il dialogo, nel settimo episodio, tra Mark e Reghabi, l’artefice della ‘Reintegrazione’ del povero Petey, collega e amico deceduto, forse proprio a causa degli effetti collaterali del processo che gli ha restituito la sua personalità completa. Reghabi sottolinea come, sebbene privati dei ricordi, le reazioni degli Interni agli eventi siano comunque coerenti alle personalità intrinseche dell’individuo. La serie ideata da Erickson sembra dunque abbracciare l’ipotesi che esista una continuità psichica che tiene insieme i frammenti del proprio Io, a prescindere dagli eventi occorrenti nelle realtà esteriore.
Cos’è dunque il processo di Scissione a cui vengono sottoposti i dipendenti della Lumon se non una metafora della frammentazione del proprio Io, cui veniamo continuamente sottoposti in una società che ci vuole efficienti e solerti sul lavoro, nonché amorevoli e pronti al sacrificio in famiglia, oppure brillanti e arguti in società? Le scissioni dell’io sono alla base di molti disturbi psicologici che si sono sviluppati proprio con la nostra società massificata e de-individualizzata. Severance sembra metterci in guardia dai pericoli di una civiltà, la nostra, che è sempre più vicina alle distopie di un Philip Dick anzi, le stiamo già vivendo in un certo senso. Scissione ci mostra soltanto una piccola accelerazione in più, riguardo dei processi che già stanno avvenendo sotto i nostri occhi, soprattutto nel mondo del lavoro, sempre più alienante e spersonalizzante, nonostante le apparenze friendly di molte aziende moderne.
Cosa possiamo aspettarci dalla prossima stagione
La prima cosa che immaginiamo come esito delle vicende dell’ultimo episodio è che purtroppo l’ordine sociale interno della Lumon venga ripristinato come era prima, almeno inizialmente. Poiché Milchick è riuscito a fermare Dylan e a ripristinare le personalità degli Esterni, crediamo sicuramente che gli Interni subiranno delle punizioni esemplari e che l’odiosa signora Cobel venga riassunta, grazie al suo intuito e al suo obbediente zelo nei confronti della Lumon. Pensiamo però anche che i semi lasciati dagli Interni nel mondo esterno non rimangano inespressi e che cresceranno invece su un terreno narrativo fertile. Devon, la sorella di Mark, è stata almeno informata dall’Interno del fratello riguardo la situazione orribile in cui vivono gli Interni alla Lumon. Non sappiamo se Mark sia riuscito ad avvertirla anche della sopravvivenza della moglie ma siamo sicuri che, in qualche modo, Devon sarà determinante nell’aiutare Mark, o almeno il suo Esterno, a districarsi e a fare qualcosa. Anche il brevissimo discorso di Ally al Galà della Lumon, interrotto purtroppo troppo presto, avrà certamente degli strascichi sociali. Delle mine vaganti sono state dunque gettate e crediamo che nella seconda stagione esploderanno.
Ciò che invece vorremmo vedere svelata, e non siamo in grado di dire se succederà nella seconda stagione, è l’esatta natura del misterioso e importante lavoro svolto dal reparto MDR. Cosa sono tutti quei numeri da filtrare? Le ipotesi complottistiche di Dylan in proposito sono ovviamente un depistaggio. Ma allora qual è il senso di tutti quei numeri e cosa se ne fa la Lumon? Ma soprattutto, i capretti a che servono?
È chiaro comunque, a giudicare dal cliffhanger finale, che una determinata struttura narrativa e un esito finale sorprendente siano stati già previsti dagli autori, i quali, come si suol dire, sanno benissimo dove andare a parare. Il tutto va ovviamente a favore della qualità di Severance, rispetto ad altre serie che invece procedono a tentoni, senza avere un piano narrativo ben preciso. Ciò che auspichiamo è che la seconda stagione saprà spiazzarci, avvincerci e disturbarci come ha fatto la prima, ponendoci nel contempo interrogativi fondanti sul nostro destino e sul nostro essere umani.