Raggi repulsori, ragnatele, scudi dalle traiettorie incredibili. Sono queste le armi con cui i supereoi sembrano proteggere la Grande Mela, impegnati a difendere la metropoli da grandi minacce. Ma non esistono solo invasioni aliene e villain megalomani, nelle strade di New York ci sono criminali armati di coltelli e pistole, che richiedono soluzioni più immediate.
Frank Castle, alias Punisher, dimostra che non servono poteri sovrumani per combattere il crimine; basta un’arma e la giusta motivazione. La sua personale crociata è una spirale di violenza che ricorda a tutti che la punizione non è mail lontana.
9mm, non sono mai più lontano di così.
È in questa frase che si nasconde uno dei tratti distintivi del Punisher, personaggio dei comics della Casa delle Idee che difficilmente assoceremmo alla tradizione eroica dei characters Marvel.
Il braccio violento della Casa delle Idee

Nato come villain di Spider-Man, Castle si è evoluto in una figura che rappresenta una parte della coscienza americana lontana dall’ideale eroico, rendendo la sua inarrestabile crociata una critica feroce di una società contraddittoria e violenta. Le sue storie non si limitano alla mera violenza, ma offrono anche uno sguardo su una dimensione urbana spietata, su ferite non sanate di una generazione intera e, talvolta, su una ironia paradossale che mette in luce le imperfezioni dell’american dream.
Ripensare oggi alla violenza di Frank Castle sembra normale, considerando le sue battaglie non solo contro criminali comuni ma anche contro nomi celebri del pantheon Marvel, intenti ad arrestare questa scheggia impazzita del sistema. Tuttavia, quando Castle fece la sua prima apparizione all’inizio degli anni ’70, la sua figura di uomo spietato era inizialmente concepita come un rapido passaggio nel mito dell’Uomo Ragno.
La creazione di nuovi personaggi in Marvel, come spesso accadeva, era influenzata dalle tendenze narrative del periodo. Negli anni ’70, il cinema viveva una fase fiorente, con giovani registi che portavano sul grande schermo una quotidianità fortemente violenta, riflettendo le tensioni sociali dell’epoca, la delinquenza e la condizione precaria dei reduci della guerra del Vietnam.
Le origini del Punitore

Gerry Conway non ha mai fatto mistero che la scintilla vitale di Punisher fosse The Executioner, serie tv incentrata su ex-Marine giustiziere, che colpì la sua immaginazione e lo portò a sviluppare un personaggio simile, concependolo come un potenziale villain per l’Arrampicamuri. Non solo definì la personalità iniziale di Frank Castle, ma fornì anche idee per il suo costume.
Negli anni ’70, quando scrivevo fumetti per DC e Marvel, mi ero preso come prassi abbozzare le mie idee per i costumi dei nuovi personaggi, eroi e cattivi, che presentavo poi ai disegnatori come suggerimento brutale dell’idea che avevo in menta. E lo ho fatto anche con Punisher
La proposta di Conway per Punisher includeva una tuta attillata nera con un piccolo teschio bianco al centro del petto. Questa idea venne perfezionata da John Romita Sr., art director della Marvel, che ingrandì il teschio, facendone un simbolo riconoscibile al di là dei fumetti. Tuttavia, il primo disegnatore di Punisher fu Ross Andru, che lo raffigurò in Amazing Spider-Man #129 nel 1974.
Nella creazione di un personaggio marveliano come Punisher, non poteva mancare l’apporto di Stan Lee. Ricordando il processo creativo dietro la nascita di Punisher, il Sorridente Stan rivelò che il nickname di Frank Castle era un riciclo di un nome già utilizzato per un suo precedente personaggio.
Gerry Conway stava scrivendo la sceneggiatura, voleva inserire un personaggio che si sarebbe rivelato un eroe più avanti, ma aveva pensato come nome Assassino. Gli feci presente che non pensavo che si potesse avere un eroe dei fumetti chiamato Assassino, vista la nota connotazione negativa della parola. E mi venne in mente che, tempo prima, avevo creato un personaggio ininfluente, uno dei robot di Galactus, e lo avevo chiamato Punisher e mi sembrava un nome interessante per il personaggio che Gerry voleva scrivere, così gli dissi ‘Perché non lo chiami Punisher?’ e visto che ero l’editor, Gerry accettò
La vendetta diventa giustizia

Frank Castle è una figura complessa e non stereotipata. Definirlo solo un antieroe sarebbe riduttivo, poiché la sua storia lo porta sia ad allearsi con i classici eroi Marvel, costringendoli ad affrontare le loro ipocrisie, sia a opporsi a loro quando la sua missione lo costringe a compiere atti in conflitto con i superumani. In una comunità di supereroi in cui anche gli uomini in costume più umani hanno poteri sovrumani, Punisher è spinto dalla sete di vendetta, supportata da un eccezionale addestramento militare che lo rende uno dei più brillanti strateghi della Marvel.
La sciagurata strage della famiglia Castle ha giocato un ruolo cruciale nella creazione del Punisher. La leggenda narra che, tornato dal Vietnam, Frank Castle volesse abbandonare la vita di violenza per godersi la sua famiglia, ma la perdita dei suoi cari lo ha portato a intraprendere una crociata contro i criminali. Non si tratta di una vendetta focalizzata sugli assassini della sua famiglia, ma di una lotta continua per trovare nuovi bersagli.
Sebbene ci siano somiglianze con Batman, che cerca approcci non letali contro i suoi nemici, Castle ritiene che l’eliminazione definitiva sia l’unica soluzione efficace. La totale dedizione di Punisher alla sua causa è stata descritta in modo chiaro da uno dei suoi autori, Steven Grant.
A descrivere al meglio il Punisher sono le parole di Heidegger, che aveva ulteriormente ampliato la visione filosofica di Kierkegaard ‘Considerato che non potremo mai sperare di comprendere perché siamo qui, se può esistere qualcosa da comprendere, è che l’individuo deve scegliere un traguardo e inseguirlo con tutto il cuore, nonostante la morta certa e l’inutilità dell’azione’ . Questo è assolutamente vero per il Punisher, per come lo ho sempre concepito: un uomo che sa che morirà e conscio che le sue azioni non conteranno nulla nel grande schema della vita, ma che comunque persegue il suo obiettivo perché così ha scelto
Questa visione filosofica conferisce una dimensione quasi spirituale al personaggio di Punisher, ma la lunga vita editoriale di Castle permette di avere una comprensione più profonda di lui. Mentre Steven Grant cerca una spiegazione emotiva per la sua natura di macchina da guerra, si può esplorare un’altra sfaccettatura del personaggio analizzando la sua anima. L’idea che la mente di Castle abbia subito un “clic” specifico dopo la strage della sua famiglia è stata il fulcro della sua caratterizzazione per decenni, creando anche un codice morale che è parte integrante della sua figura.
L’etica del 9mm
Nonostante la sua indubbia violenza, Castle ha una propria etica che lo porta a essere spietato con i criminali, ma con dei limiti nel suo comportamento. Ad esempio, i suoi confronti etici con Daredevil si incentrano sul dibattito tra giustizia pratica e giustizia morale, e Castle si impone il limite di non uccidere uomini in divisa che ritiene meritevoli. La sua filosofia non deriva solo dal passato militare, ma anche dalla sua profonda venerazione per Capitan America, un simbolo di cui si fida completamente. Durante gli eventi di Civil War, dopo essersi schierato con la fazione di Steve Rogers, Castle rifiuta di colpirlo anche quando Rogers lo ferisce, dimostrando il suo rispetto nei suoi confronti.
L’etica di Castle si fonda su una concezione di giustizia assoluta, capace di adattarsi solo parzialmente alle circostanze, ma che si traduce in atti spietati contro i criminali, poiché la sua missione principale è farli morire. Questa visione, presentata da diversi autori nel corso degli anni, ha talvolta reso Castle quasi macchiettistico.
La vera rivoluzione nella rappresentazione della violenza di Castle avviene con Garth Ennis, che dal 1998, attraverso Marvel Knights e l’etichetta MAX, riporta Punisher in un contesto più maturo e realistico. Liberato dal Comics Code Authority, Ennis presenta una narrazione più violenta e adatta a un pubblico adulto, culminando in una nuova origin story ambientata negli ultimi giorni di Castle in Vietnam, invece che durante un semplice picnic a Central Park.
Ennis non si limita a rappresentare la dura vita nelle trincee e gli orrori della guerra che hanno segnato la società americana, ma trasforma questo inferno terrestre nel luogo di nascita del Punisher. Elabora un quasi patto faustiano tra il caporale Frank Castle e la Morte, un accordo che avrà un costo elevato per Castle, stretto alla vigilia di una devastante offensiva vietnamita da cui solo lui sopravvive.
Cosa altro stai cercando oltre a questo? Io te lo posso dare, Frank… Rispondi No, e non sarai che un altro soldato ucciso in azione di guerra su una collina di cui intanto non importa niente a nessuno. Rispondi Sì, e ti darò ciò che hai voluto in tutti questi anni. Ma tu devi dirlo… Dillo… Dillo… Una Guerra perpetua, una Guerra che non finisce mai, ma tu devi dire quella parola, Frank…
Ennis trasforma le origini del Punisher, collegandole alla sua esperienza in Vietnam e facendo della strage della famiglia Castle quasi un pagamento saldato. Tra le sue opere, Punisher: Born è considerata la storia moderna più matura e audace, poiché Ennis riesce a incorporare trame che riflettono il suo sarcasmo paradossale, raggiungendo il culmine con la figura del Russo e la saga di Nixon Island, durante la quale Castle minaccia addirittura il Presidente.
Castle e New York

Nonostante il suo comportamento irriverente e le sue missioni esagerate, Castle non era inteso come un elemento di critica spietata fin dall’inizio, ma è diventato un modello per alcuni ambienti militari, suscitando preoccupazione nel suo creatore. Le origini di Punisher, sebbene collegate all’ambito militare, non erano destinate a essere un omaggio alle forze armate, ma piuttosto una critica velata alla violenza della società americana contemporanea. In alcuni casi, il personaggio affronta situazioni più intime, rivelando un’ipocrisia solitamente ignorata.
Ne è un esempio Do not fall in New York City, storia breve in cui Frank si mette sulle tracce del suo vecchio amico Joe, compagno d’armi, che dopo aver vissuto un periodo difficile di reinserimento nella vita civile cade vittima di un tracollo nervoso, uccidendo la moglie in preda a un raptus e diventando uno dei ‘cattivi’ braccati da Castle.
Do not fall in New York City esplora anche il rapporto tra Punisher e le forze dell’ordine, che vedono in lui una sublimazione del desiderio di giustizia severa. Tuttavia, questa visione distorta ha portato alcuni militari a identificarsi con il personaggio, suscitando l’irritazione del suo creatore, Gerry Conway.
Sebbene Conway abbia creato Punisher negli anni ’70, il personaggio si è evoluto nel tempo, trasformando la sua crociata violenta in un’avventura tipica degli action movie. Garth Ennis, tuttavia, ha rinnovato il personaggio, legandolo ai suoi trascorsi militari e guadagnandosi il riconoscimento come uno dei migliori narratori di Punisher, specialmente tra i fan in divisa.
È importante sottolineare che Gerry Conway creò Punisher all’inizio degli anni ’70, e il personaggio si è evoluto, trasformando la sua missione violenta in un’avventura tipica degli action movie. Garth Ennis ha contribuito a ridare lustro al personaggio, legandolo ai suoi trascorsi militari e guadagnandosi la reputazione di uno dei migliori narratori di Punisher, riconosciuto soprattutto dai fan in divisa come il vero autore del personaggio.
Il fascino del mostro

Questa visione si allinea anche con la sindrome dei reduci, una condizione con cui la società americana ha dovuto confrontarsi per decenni, in particolare a causa delle conseguenze del Vietnam. Il paradigma narrativo di Ennis potrebbe essere il legame che unisce Punisher con i militari, che vedono in lui un compagno di esperienze traumatiche e l’incarnazione di una giustizia estrema, spesso in bilico tra legalità e giustizialismo.
Commentando la venerazione del famoso cecchino americano Chris Kyle per Punisher, Conway espresse le sue preoccupazioni al riguardo.
Credo non abbia capito la fondamentale verità che Punisher non sia un personaggio da ammirare o emulare. I Marines hanno la reputazione di essere i più ligi, fieri e onorevoli membri delle forze armate americane. Ho sempre pensato che la complessa ricerca della moralità di Frank potesse venire impreziosita in qualche modo stabilendo che lui era il prodotto di questa peculiare tradizione militare. Per me è fastidioso ogni volta che vedo figure autorevoli abbracciare l’iconografica del Punitore, perché Castle rappresenta il fallimento del sistema giudiziario. L’anti-eroe vigilante è in pratica una critica al sistema giudiziario, un esempio di fallimento sociale, quindi quando vedo poliziotti decorare le proprie auto col teschio del Punisher o soldati indossare toppe col simbolo di Castle, per me è come se stessero dichiarandosi nemici del sistema
Il culmine della protesta personale di Conway si è manifestato quando ha chiesto a Marvel Comics e Disney di intraprendere azioni legali contro chi abusa del logo di Punisher, specialmente dopo aver visto poliziotti utilizzare questi simboli durante le proteste seguite alla tragedia di George Floyd.
L’uomo dieto il mirino

Questa posizione è stata riflessa anche nei fumetti; nel 2019, in una storia scritta da Matt Rosenberg, Punisher minaccia poliziotti che mostrano il suo simbolo come segno di ammirazione, avvertendoli di considerarsi bersagli e sottolineando che lui è il risultato del fallimento del sistema, suggerendo di cercare altri esempi.
Cercate un modello da seguire? Il suo nome è Capitan America e sarebbe felice di avervi al suo fianco… se scopro che state cercando di fare quello che faccio io, i prossimi che verrò a cercare siete voi.
Anche Jon Bernthal, l’attore che ha interpretato Castle prima per Netflix e ora nel Marvel Cinematic Universe, condivide una visione critica del personaggio. Il Castle rappresentato in queste produzioni riflette la brutalità dei momenti più bui della sua storia fumettistica, ma incarna anche le sue ferite interiori e le debolezze umane, un aspetto che Bernthal ha sempre sottolineato.
Se ho creato un personaggio che esalta la violenza, ho miseramente fallito. Non voglio che lo vediate pensando ‘Questo tizio è chiaramente un eroe’. Non ho mai guardato a lui in quel modo, e non è mai questo il mio scopo. Frank è un uomo che soffre terribilmente, e c’è un costo immane nella violenza con cui ha sempre vissuto