Oh think twice, ‘cause it’s another day for
You and me in paradise
Quando una cover di Another Day in Paradise di Phil Collins accompagna le ultime scene di Paradise, si rimane sconvolti. La nuova serie di Hulu, disponibile su Disney Plus dal 28 gennaio, riesce in quell’istante nel difficile intento di esser più di un’indagine su un omicidio eccellente. Il grande inganno viene svelato, lo spettatore assiste a un gigantesco, incredibile colpo di scena.
Come se fosse necessario, dopo che per l’intera durata del primo episodio di Paradise assistiamo alle conseguenze della morte di Cal Bradford (James Marsden). Non una persona qualunque, bensì il Presidente degli Stati Uniti, ucciso in una residenza ben diversa dalla Casa Bianca. Convinto di trovarsi davanti a un caso alla JFK, lo spettatore si lascia intrigare da questo caso scottante, salvo scoprire che l’evento ha un impatto decisamente più sconvolgente del previsto.
Genere: Thriller, Distopico
Durata: 8 episodi/60 minuti ca.
Uscita: 28 Gennaio 2025 (Disney Plus)
Cast: James Marsden, Sterling K. Brown
Il paradiso è un club esclusivo
Paradise non è un titolo casuale. Il volto da bravo ragazzo di James Mardsen fa scattare nella memoria il mito di Kennedy, la misteriosa località in cui avviene l’assassinio sembra una cartolina promozionale dell’american way idealizzato per decenni. Tutto è mirabilmente costruito per dare l’illusione di un paradiso in terra, ma quanto potrà essere vero? Questa illusione viene spezzata per rivelare una verità sorprendete e inquietante, che negli episodi seguenti aiuta a comprendere la scelta del brano di Collins. Another day in paradise era la denuncia della stridente disparità sociale degli States, in cui la disperazione degli ultimi veniva ignorata, con vergogna malcelata.
Da questo dualismo nasce Paradise, una comunità di privilegiati salvati dalla fine del mondo. Mentre l’umanità muore, l’élite ricrea in gran segreto uno spaccato di America in una gigantesca caverna in Colorado, ove pochi eletti trovano rifugio. Questi privilegiati, i ‘migliori’, rappresentano il futuro della specie. L’illusione di questa rinascita passa per una disperata ricerca di una normalità posticcia, fatta di ricordi di una civiltà perduta forzatamente mantenuta in vita. I cittadini di Paradise percepiscono la “finzione”, ma scelgono di ignorarla in un meccanismo di difesa che rende più gestibile vivere in questo nuovo mondo.
L’illusione della normalità
Ricreare la vita prima della catastrofe è stato uno sforzo titanico, ma apparentemente questi privilegiati riescono ad ambientarsi rapidamente – anche se per alcuni questa normalità rende ancora più difficile accettare la perdita della vita precedente
Siamo quaggiù da due mesi. Si sta normalizzando. Sono le cose normali che mi rendono triste. Per un attimo, dimentico. Dimentico ciò che ho perso.
Una menzogna che diventa regola di vita, preservata da un governo che si arroga diritti oltre il lecito, condensando nelle mani di pochi il destino dell’umanità e imponendo un controllo sottile (ma ferreo) sulla vita dei singoli. La morte del Presidente, simbolo di una continuità con il passato, diventa il punto di rottura di questa finzione necessaria, un momento in cui il nuovo ordine mondiale entra in crisi.
In Paradise il j’accuse di Collins rinasce, rielaborato, all’interno di una storia crime in cui l’elemento scatenante porta a galla verità taciute sull’origine di questa società perfetta. Una perfezione che vediamo sgretolarsi tramite gli occhi di Xavier Collins (Sterling K. Brown), responsabile della sicurezza del Presidente, che dopo aver accettato perdite dolorose in nome di un bene più grande deve ora affrontare il fallimento del Sogno.
Homo hominis lupus
Un Sogno che sembra essere impossibile da vivere per i volti di questa tragedia. Nel rivivere la nascita di questa società di sopravvissuti, lo sguardo di Dan Fogelman, creatore di Paradise, si concentra sulle disillusioni e le scelte difficili, sulle rinunce e i destini scritti da altri.
In un contesto seriale in cui la fine del mondo pare essere una tentazione davvero seducente, come ci ha insegnato Silo, Paradise sembra muoversi secondo direttrici simili alla serie ispirata ai romanzi di Howey, trovando una propria identità. Dove la società dei silo mostra un’umanità al limite, Paradise punta a uno scenario da disaster movie, scegliendo come riferimento uno dei grandi timori del presente: l’apocalisse ecologica.
Fogelman non racconta una società sopravvissuta per decenni, ma ci proietta nei giorni immediatamente successivi alla fine del mondo. Il disperato attaccamento all’illusione che ci sia ancora un mondo da preservare assume i toni di una disperata ribellione sociale che diviene lotta per un potere che si presenta come un “bene superiore”.
Paradiso perduto
La costruzione di questo complesso gioco di potere si basa sui singoli, sulle loro fragilità e le loro speranza disattese, intrecciate a un’indagine letale in cui depistaggi e complotti sono il vero motore. Un meccanismo non privo di difetti, con passaggi poco convincenti, ma che preserva un’identità narrativa definita e puntuale, fatta di dialoghi asciutti ed espressioni sofferte, di una colonna sonora delicata e viscerale.
Il mondo alla fine del mondo: una scheggia di umanità che, nel cercare un’ultima speranza o un’illusione di normalità, tende a ripetere sé stessa – cadendo nella stessa spirale folle che già ha portato una specie sull’orlo dell’estinzione.
Ma forse, alla fine, in questo nuovo mondo, ci sarà spazio per tutti, tutti avranno un altro giorno in paradiso.
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Conclusioni
Paradise guida lo spettatore in un'indagine dove ogni nuovo indizio rivela una nuova tessera di puzzle il cui completamento potrebbe ritrarre il segreto per preservare l'umanità. Complotti, segreti inconfessabili e rimorsi laceranti sono le colonne portanti di questa serie