Tornare a casa non è sempre facile. Non è sempre sinonimo di serenità. Ce lo ha insegnato un piccolo hobbit tornato nella sua Contea dopo un lungo viaggio che lo ha cambiato per sempre e ha inquinato il suo cuore, non più puro come una volta. Forse sono diventati così anche i nostri occhi, ora che stiamo tornando a cavalcare nella Terra di mezzo. Tutto a 10 anni dall’ultima volta al cinema, quando salutammo Bilbo Baggins alla fine del suo viaggio inaspettato. Ben 20 anni dopo l’ultimo inchino dinanzi al mitico ritorno del re.
Lo facciamo con un film animato, nelle sale il 1 gennaio, che fin dal suo annuncio non ha mai davvero ammaliato i nostri occhi – con quell’estetica anime straniante e (almeno sulla carta) così lontana dal magico realismo messo in scena da Peter Jackson. Un regista che con la sua trilogia ha di fatto creato un immaginario da cui è difficile sfuggire. Ecco, questo La Guerra dei Rohirrim quell’immaginario lo brama e lo rincorre per due ore in sella a un cavallo. A volte lo sfiora. Altre arranca con molto affanno. Sì, questo anime è incastrato in una terra di mezzo tutta sua, a metà strada tra una bellissima storia epica e una tecnica animata non all’altezza del grande schermo.
Genere: Fantasy, Avventura
Durata: 134 minuti
Uscita: 1 Gennaio 2025 (Cinema)
Cast: Brian Cox, Gaia Wise, Miranda Otto
La compagnia del martello
“È come nelle grandi storie, padron Frodo!”, direbbe qualcuno. Quella de La Guerra dei Rohirrim è davvero una grande storia, raccontata dalla voce di Eowyn: il timbro caldo di Miranda Otto ci fa volare indietro nel tempo, 200 anni prima che Bilbo ritrovasse l’Unico Anello perduto da Gollum. E come tutte le grandi storie del passato, anche questo racconto, ambientato nelle terre di Rohan, è avvolto dal mito. Una precisazione fondamentale su cui torneremo presto.
Cosa racconta questo mito? Di come Helm (proprio il grande re dei signori dei cavalli che darà il nome al Fosso de Le due torri) è passato alla storia come il temibile ed eroico Mandimartello, di sua figlia Hera che ne ha subito scelte ed eredità, gestendo un’antica faida tra clan, ma soprattutto di come gli uomini siano facili al rancore e alla vendetta. Tutti temi che rendono questo prequel/spin-off perfettamente inserito nell’epica tolkieniana. Nel tono del racconto, nella profondità dei dialoghi e nelle dinamiche tra i personaggi si avverte un senso di familiarità e di coerenza che rende La guerra dei Rohirrim un figlio naturale della trilogia di Peter Jackson. Una perfetta via di mezzo tra spettacolarità cinematografica e pathos da grande romanzo epico.
Ed è proprio nel tono mitico che l’opera giustifica la sua natura. Il mito non è storia: non si basa su fatti e cronache, ma su un racconto spesso enfatizzato, esasperato e gonfiato dalla fantasia. Lo stile anime si sposa bene con questo racconto mitico, impregnato di mistero e di dubbi destinati a non essere risolti – soprattutto nei contesti action. Un dubbio, invece, lo possiamo risolvere noi: se qualcuno aveva qualche timore di girl power forzato dinanzi alla presenza di Hera, basterà ricordarsi che la voce narrante è quella di Eowyn. Servirà soltanto rinfrescarsi la memoria.
L’olifante nella stanza
Il problema serio, purtroppo, è un altro – il grande elefante (anzi, olifante) nella stanza. Non c’è un modo gentile per dirlo: La Guerra dei Rohirrim non è tecnicamente all’altezza del grande schermo. L’animazione è lontana anni luce dalle vette recenti toccate da Spider-Man: un nuovo universo (e dal suo sequel), Arcane o Il gatto con gli stivali 2. Il film risulta parecchio fuori tempo massimo, più adatto semmai a un contesto televisivo. Questo freno tecnico non solo limita molto la recitazione dei personaggi (spesso goffi nei movimenti e legnosi nella mimica facciale), ma inibisce tante potenzialità espressive di una storia che avrebbe tutte le carte in regola per emozionare.
Spesso La Guerra dei Rohirrim, con la sua protagonista a metà strada tra Eowyn, Nausicaa e Principessa Mononoke, cerca un lirismo poetico alla Studio Ghibli puntando sulla purezza naturale della Terra di Mezzo. Momenti potenzialmente memorabili, castrati da un uso non sempre sapiente del 3D e da movimenti poco fluidi. Si salvano un paio di sequenze action ben riuscite nei singoli duelli, ma nelle sequenze di massa si nota molto che la coperta è ben più corta di quanto dovrebbe.
Un sogno infranto
Peccato perché se il livello tecnico non è all’altezza, il comparto artistico non è solo molto buono, ma totalmente figlio di Peter Jackson (che, lo ricordiamo, è produttore esecutivo del film). Costumi, sfondi (a volte splendidi), ambientazioni e armi sembrano davvero provenire dalla trilogia jacksoniana, rievocando i fasti di un tempo che non può tornare in queste vesti animate. Un grosso limite su cui qualche giorno fa ha fatto luce la testata Variety, spiegando che Warner Bros. ha investito solo 30 milioni di dollari sul film, velocizzando la lavorazione dell’anime per garantire che New Line Cinema non perdesse i diritti di sfruttamento cinematografico dei romanzi di Tolkien.
Resta quindi l’amaro in bocca per tutto quello che questa bella storia sarebbe potuta essere e non riuscirà mai a essere. Il che non potrà certo spegnere il mito di Helm Mandimartello e sua figlia Hera. Dopotutto il mito non ha bisogno di immagini, ma sopravvive grazie alle parole e alle storie. Il vero motivo che ci fa tornare sempre e comunque nella Terra di Mezzo.
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Conclusioni
Epico nel tono e familiare nell’impostazione artistica, La Guerra dei Rohirrim è un ritorno agrodolce nella Terra di Mezzo. Colpa di un’animazione tecnicamente non all’altezza della saga, che spesso castra le ambizioni di una storia molto valida.