Siamo nel 1985 e come ogni estate il giovanissimo Rodri sta per lasciare la Catalogna per trascorrere le vacanze in Galizia, dove abitano i nonni e ha una compagnia di amici dai quali è inseparabile. Ma a differenza del passato, per la prima volta ognuno di loro è alle prese con dei problemi più o meno gravi, che rischiano di compromettere il loro legame. Per cercare di mantenere salda quell’amicizia che li lega da così tanto tempo, i cinque decidono di mettersi alla ricerca di un fiore magico che, secondo il folklore locale, sarebbe capace di guarire tutti i loro mali ed esaudire i desideri. Potrebbe per esempio far uscire dal coma il padre di Suso, finito sul letto d’ospedale dopo un grave incidente e mai ripresosi, oppure far sparire il cancro che sta devastando il corpo di Alvaro, reduce da mesi di chemioterapia. Come vedremo in questa recensione di Live is Life, il film disponibile su Netflix diretto da Dani de la Torre segue i suoi giovani protagonisti in un’ultima, grande, avventura prima di entrare nell’età adulta, in cui dovranno affrontare diverse insidie nel loro comune percorso di formazione.
Genere: Drammatico
Durata: 110 minuti
Uscita: 18 luglio 2022 (Netflix)
Cast: Adrián Baena,Juan del Pozo,Raúl del Pozo
Un coming of age dai toni drammatici
Il titolo del film riprende la nota hit degli Opus, gruppo austriaco che proprio nel 1985 – anno in cui è ambientata questa storia – ottenne un successo clamoroso facendo ballare mezzo mondo sulle sue note orecchiabili. Ma se la canzone era piacevolmente scanzonata, lo stesso non si può dire per questa produzione spagnola, che guarda a certi coming of age entrati nell’immaginario del grande pubblico indirizzandoli verso atmosfere più amare e drammatiche, con il tema della malattia che entra prepotentemente nel tragitto di crescita dei giovani protagonisti. Per raccontare vicende complesse in un contesto di questo tipo ci vogliono però un notevole equilibrio e coesione narrativa, elementi che Live is Life manifesta soltanto a tratti. Durante le quasi due ore di visione si passa infatti senza la necessaria naturalezza da momenti più leggeri ad altri più drammatici, e si avverte spesso uno stacco netto nella gestione delle diverse storyline che riguardano il poker di protagonisti, ognuno alle prese con un dramma personale più o meno probante.
Tra citazioni e banalità
Da I Goonies (1985) a Stand by me (1986) le citazioni si sprecano, con le ormai canoniche biciclette – residuo dell’universo anni Ottanta ormai rilanciato dal successo di Stranger Things ed affini – quali mezzo di trasporto dei cinque “cavalieri erranti”, pronti a sfidare tutto e tutti pur di raggiungere il loro obiettivo. Tra prime cotte, improvvise rivelazioni e la canonica rivalità con i bulli più grandi, Live is Life sfrutta il contesto paesaggistico con una certa ispirazione, aiutandosi con una fotografia dai toni melanconici, che risalta le luci naturali e si esalta nei tramonti, rivelandosi efficace al punto giusto per ciò che concerne l’impatto visivo.
Un cast ed una regia che non convincono
Se non si scade mai nella facile retorica è altrettanto vero che le emozioni non arrivano mai come dovuto, sia per via di un cast volenteroso ma ancora immaturo dal punto di vista espressivo – con qualche rara eccezione – che per colpa di una regia e di una sceneggiatura che non si prendono eccessivi rischi nella messa in scena e in fase di scrittura, con colpi di scena più o meno prevedibili e altre soluzioni forzate, pronte a trainare il racconto verso l’unico finale possibile senza però cedere alla schiavitù dell’happy ending obbligato. Un viaggio fanciullesco verso una meta incerta, dove del domani non v’è certezza. E allora bisogna vivere tutto al massimo finché è possibile, correre rischi e affrontare il pericolo anche se questo potrebbe costare caro: in un mondo dove gli adulti sono, a torto o a ragione, i grandi assenti, gli eroi diventano questi pre-adolescenti novelli moschettieri, all’insegna di tutti per uno, uno per tutti. E se la felicità non esiste, ma “esiste essere felici ogni giorno“, insegnamento dato da uno dei dialoghi più significativi, a volte bisogna anche accontentarsi di film come questi, lontani da grandi ambizioni ma gradevoli al punto giusto nella loro semplicità di fruizione.
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La recensione in breve
Un coming-of-age amaro e malinconico, povero di emozioni ma gradevole nella sua semplicità di fondo. Cinque amici affrontano l'adolescenza tra tragedie personali e malattie, in un film che non brilla per equilibrio ma sa farsi gradevole nelle sue accezioni malinconiche, anche se qualche emozione in più non avrebbe guastato.
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Voto Screenworld