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    Home » Streaming » Peacemaker e i perdenti di James Gunn

    Peacemaker e i perdenti di James Gunn

    Con Peacemaker, James Gunn crea una serie fortemente radicata nella sua poetica: un racconto che prende un perdente e gli dà una famiglia.
    Mario MancusoDi Mario Mancuso23 Dicembre 202211 min lettura
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    Peacemaker
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    La verità è che a nessuno fregava nulla di Peacemaker, neanche nei fumetti. Un personaggio nato nel 1966 da una piccola casa editrice, la Charlton Comics e poi assorbito dalla DC, inutilizzato fino a dopo la fine del primo grande maxi evento della casa di Superman e Batman del 1985 Crisi sulle terre infinite e poi riportato nel 1988 con i connotati con cui lo abbiamo conosciuto oggi nella serie. Padre nazista che lo cresce facendogli il lavaggio del cervello e diviene una presenza costante nella sua mente, continuandolo a tormentare e condizionare e spingendolo a credere di uccidere non in nome della pace, ma ad ogni minima sollecitazione.

    Come lo etichetta Rick Flag (Joel Kinnaman) in punto di morte in The Suicide Squad, Christopher Smith alias Peacemaker è uno scherzo, un personaggio ridicolo. E quindi è perfetto per essere raccontato da James Gunn, che si è innamorato di lui sul set del film tanto dal voler scrivere la sceneggiatura della serie durante il primissimo lockdown e dargli così la sua “origin story”.

    I Guardiani della Galassia e la Suicide Squad, una versione supereroistica della sporca dozzina. Peacemaker, Peter Quill, prima ancora Frank Darbo in Super e le bande di sbandati, che nella vita non hanno più nulla, tra figlie senza padri e padri senza figlie, uomini a pois che cercano di rendersi credibili, procioni parlanti sadici e mostri che non vorrebbero essere considerati tali. Le storie dei perdenti a cui affezionarci, perché in antitesi all’italico pezzo di Gianni Morandi, raccontano di quei 999 che non ce l’hanno fatta e peggio ancora rimangono imprigionati nei loro fallimenti.
    E poi arriva l’ignorante, tracotante Peacemaker: un bianco complottista, razzista e maschilista che crede che la sua parola sia legge, ma che nasconde molto altro.
    Cosa c’è di più James Gunn di questo?

    Il cinema di James Gunn: gli emarginati che combattono la solitudine

    James Gunn

    Il cinema di James Gunn potrebbe essere riassunto in: anarchia, comicità demenziale, splatter, personaggi ignoranti e traumatizzati, ricerca del proprio posto nel mondo e di una famiglia. Temi che fanno parte dei suoi racconti fin dal primo film che scrive per la TROMA di Lloyd Kaufman: quel Tromeo and Juliet che nel 1996 lo mette sulla mappa degli sceneggiatori, passando poi per i due film di Scooby Doo a inizio 2000. Non dei capolavori, anzi, ma capaci di prendere quei ruoli stereotipati dei personaggi della Mystery Inc e ribaltarli, regalando un inaspettato “spessore” a personaggi nati per essere chiavi comiche. Lo vediamo in Slither, il suo esordio alla regia del 2006, dove usa la comicità per allentare la tensione del suo horror movie. e poi trova il suo apice quando prende tutti questi elementi e li applica ai prodotti di massa di questo periodo, i cinecomics. Ed è qui che riesce a imporsi come uno degli innovatori del genere o quantomeno come uno dei registi capaci di legittimarlo, assieme ai vari Tim Burton, Sam Raimi, Christopher Nolan o Edgar Wright.

    Super del 2010 precede il suo arrivo in Marvel e fa ciò che quell’anno fa anche Kick Ass: prende un uomo comune e lo rende un vigilante. Un finto supereroe che pensa di fare la cosa giusta in nome di Dio ma che invece cerca solo di salvare la sua ex ragazza (Liv Tyler), che in realtà non vuole essere salvata e lo ha lasciato per un criminale interpretato da Kevin Bacon. Il protagonista di Super è una persona ambigua e incapace di giudicare ciò che accade, ma la forza di questa storia amara resta la banda di svitati che Gunn mette sul suo cammino e con cui riuscirà a trovare la sua dimensione nel finale. Non dissimile da ciò che accadrà a Peacemaker.

    In seguito arriva la chiamata dalla Marvel e il resto è storia. Nel 2014 e nel 2016 i primi due film dedicati ai Guardiani della Galassia portano in scena una fiaba cosmica, che parla di traumi infantili e mette insieme cinque persone rimaste senza una famiglia che cercano il loro posto nell’Universo. La storia del protagonista, Peter Quill riguarda senz’altro un conflitto paterno e mostra però un percorso di crescita, un viaggio dell’eroe in cui la possibilità di scegliere le persone con cui passare il resto della propria vita e costruire la propria famiglia sono il vero tesoro da conquistare.

    L’arrivo in Warner: The Suicide Squad

    Fotografia che ritrae Idris Elba e James Gunn.

    20 luglio 2018: Disney licenzia James Gunn per alcuni suoi tweet del passato tornati alla ribalta in cui faceva satira su argomenti sensibili quali stupro, pedofilia e masturbazione. Tre mesi dopo l’agonizzante DCEU di casa Warner in un ultimo rantolo di energie coglie la palla al balzo e lo ingaggia per rimettere in sesto la Suicide Squad. Warner Bros con quell’accordo aveva appena rimesso in piedi un universo narrativo iniziato male e finito non si sa bene come né dove, ma ancora non lo sapeva.

    James Gunn entra con tanto di rullo di tamburi e red carpet in casa della Distinta Concorrenza per lavorare al futuro della Suicide Squad e gli viene data carta bianca. Avrebbe potuto realizzare il film con qualunque personaggio e fare qualunque cosa: ripartire, continuare, ribaltare. Delle tre superstar presenti nel primo capitolo, lo sciagurato film di David Ayer del 2016, Margot Robbie, Jared Leto e Will Smith, viene salvata solamente Harley Quinn.
    Gunn entra forse nel contesto peggiore tra le proprietà intellettuali sul tavolo in quel momento e gli ridà una dignità. Perchè il suo The Suicide Squad del 2021 fa ciò che quella storia avrebbe dovuto fare sin dall’inizio, mostrandosi come un ottimo film action: cinico, sgangherato e con protagonisti una banda di reietti della società alla ricerca del proprio posto nel mondo o di poter espiare in qualche modo i propri peccati, ma sacrificabili in ogni momento. E nota a margine: è geniale il modo in cui il regista gestisce l’incipit della storia, da sequel a reboot nel giro di qualche morte in battaglia. Uccidere per ripartire, un assaggio di ciò che sta facendo oggi nei suoi primi giorni da capo del rinato DCU insieme a Peter Safran.

    Nella costruzione della sua Task Force X, Gunn fa a gara sulla scelta dei personaggi più outsider possibili da poter utilizzare, come dichiarato dal regista in una intervista alla BBC, e compie un’operazione simile sotto alcuni aspetti a quella dei Guardiani della Galassia. Viene assemblato il gruppo di sbandati e poco a poco conosciamo le loro mancanze, raccontandoci i loro errori del passato con cui devono convivere. Il tutto in un contesto action, enfatizzando al massimo le caratteristiche dei personaggi fino a farli diventare delle macchiette: è così per il King Shark interpretato da Sylvester Stallone, che cerca di farsi accettare nonostante l’incapacità di esprimersi a parole, o lo stesso Peacemaker con la sua ignoranza che lo spinge a fare commenti maschilisti o razzisti facendogli credere di essere sagace. Un film di puro intrattenimento, veloce e frenetico, che citan qua e là alcune grandi storie di evasione e di guerra della storia del cinema: dal contesto di fuga de La grande fuga a Dove osano le aquile; ma che presenta anche momenti girati con grande fantasia, come la scena di sesso e omicidi di Harley Quinn, decisamente rivitalizzata dalla cura Gunn e che riesce finalmente a emergere come mina vagante del gruppo.

    Peacemaker: Il più patetico tra i perdenti

    Peacemaker e Vigilante, dalla serie Peacemaker

    “Sei Peacemaker, il supereroe razzista che uccide solo minoranze“. Si parte da questo assunto per arrivare nel modo più inaspettato a scoprire la vulnerabilità di una persona traumatizzata e rotta. Nel corso delle otto puntate della serie Peacemaker, vediamo il personaggio di John Cena in tutto il suo essere patetico e allo stesso tempo tracotante, ignorante. Impariamo a conoscerlo, ridere e riflettere delle sue battute come faremmo con quelle di un Michael Scott di The Office, prima di esplodere nel momento di rivelazione all’inizio del penultimo episodio. La serie, in puro stile Gunn è un grande, grosso videoclip metal fatto di sesso, rock, azione, splatter e… aquile come migliori amiche capaci di dare abbracci.
    E ironia della sorte, Peacemaker sotto James Gunn diventa una sorta di anti Superman, ovvero il progetto a cui proprio Gunn sta lavorando in questo periodo per ricostruire le fondamenta del suo DCU.

    Verità, giustizia e American Way? Il vecchio slogan che ha accompagnato per anni l’azzurrone (ormai sconsacrato anche nei fumetti in favore di Verità, giustizia e un miglior domani), può essere applicato, anche se con una connotazione ben diversa dal suo significato originale, anche a Peacemaker. Perché la verità è che Gunn utilizza Smith come un pretesto. Tira fuori tutta la sua forza anarchica dei tempi della TROMA e la usa per mettere alla berlina, sbeffeggiare e deridere gli atteggiamenti machisti e autoritari degli ultra conservatori d’America, prendendosi anche una doppia rivincita per il licenziamento in Disney, avvenuto proprio a causa di quei tweet ricondivisi da fanatici repubblicani che non sopportavano i suoi commenti anti Trump.
    Figlio di un suprematista bianco capo di una sezione del Ku-Klux-Klan, Smith fa fede alla sua idea di giustizia e la applica seguendo dei dogmi distorti, finendo per emergere come un pazzo estremista, non certamente come un guardiano della pace. La grande verità che James Gunn racconta nella sua serie è che Peacemaker è figlio dell’America contemporanea tanto quanto Superman lo è per la Golden Age, quando l’American Dream era la favola con cui crescevano i giovani e quel ragazzo alieno cresciuto da due contadini del Kansas poteva incarnarlo meglio di tutti. Chris Smith è in conflitto con se stesso e con il suo passato tanto quanto lo è l’America in cui vive, dove non si fatica a trovare fanatici delle teorie del complotto e suprematisti bianchi impegnati nel cercare di ribaltare l’ordine delle cose, vedi Capitol Hill.
    un'immagine di john cena in peacemaker
    Peacemaker è un personaggio che a causa delle idee di suo padre cresce con un’idea sbagliata e anacronistica di cosa significhi essere uomo, cosa voglia dire essere maschio e di cosa siano virilità e mascolinità. Un adolescente che a causa di quegli insegnamenti, diventa una persona insicura, che ritiene di essere sbagliata a causa delle sue pulsioni sessuali o dei suoi gusti musicali. Smith è un bambino cresciuto la cui maturazione emotiva e sessuale vengono sempre messe in dubbio dal terrore paterno.
    Incapace di ragionare e capire le sue emozioni, ha sempre cercato di inibirle in un bianco o nero e quindi quel suo “faccio di tutto in nome della pace” diventa una mera ricerca utopistica di qualcosa di insensato che si lascia dietro una scia di morti.
    La crescita di Christopher avviene nei pochi momenti di intimità che ha e la musica, una compilation di dischi glam metal degli anni ‘80, gioca un ruolo fondamentale in questo. Non è un caso che la rivelazione maggiore il protagonista ce l’abbia mentre suona al pianoforte Home Sweet Home dei Motley Crue.
    Per arrivare quindi alla maturazione nel finale della serie, quando capisce che la pace che cerca sta anche nei compromessi e nell’accettazione. Di sé in primis.

    Smith però non è il solo reietto con un percorso di crescita che vediamo nello show, perché ancora una volta la forza delle storie di James Gunn è nel gruppo. E così prende un gruppo di perdenti e li fa legare, facendogli scoprire la forza della famiglia. Ad accompagnarlo nella sua missioni, ci saranno gli agenti della A.R.G.U.S di Amanda Waller, incaricati di sorvegliarlo e supportarlo. Da Leota Adebayo (Danielle Brooks), figlia della Waller, svilita dalla madre a causa del suo buon cuore visto come segno di debolezza e ingenuità, a John Economos (Steve Agee) con la sua insicurezza esplicitata dai suoi problemi di peso e dalla tinta di barba e capelli, fino anche alla solitaria Emilia Harcourt (Jennifer Holland), e al mercenario in capo alla missione Clemson Murn, quel Chukwudi Iwuji che sotto Gunn tornerà come villain del terzo Guardiani della galassia. A loro inoltre si aggiunge lo sparring partner di Peacemaker, Vigilante (Freddie Stroma), creato ad hoc da Gunn per lo show e che lo stesso regista ha descritto come un sociopatico che uccide a sangue freddo seguendo come fosse un mentore Peacemaker e incapace di giudicare o comprendere parole e azioni di chi ha davanti, ma che nasconde un amore incondizionato verso l’eroe che è la sua figura di riferimento.
    Costretti a stare insieme, trovano il modo di cooperare e aiutarsi a vicenda, fino ad accettarsi e migliorarsi e riuscire così a uscire da quello che era il loop della loro vita fino a quel momento. Il tutto prendendo intanto a calci nel sedere un esercito di farfalle aliene che si infiltrano nei corpi degli abitanti locali per tentare il loro piano di invasione e dominio.
    Peacemaker in questo senso esalta la forza di James Gunn, prendendo un personaggio odioso e detestabile e riuscendo a farcelo amare, vinile metal dopo vinile metal.

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