Le differenze tra il romanzo e il remake di Scarface del 1984 del regista Brian De Palma sono relativamente poche, ma non trascurabili, se si considera il peso che determinate scelte hanno avuto nella rappresentazione di una stessa dinamica, ma con un fine “educativo” diverso. In occasione del 40esimo anniversario della sua uscita, il gangster anni ’80 per eccellenza è tornato in sala, in edizione restaurata in 4k, dall’8 al 10 aprile scorsi. Tra chi si è confrontato per la prima volta con un grande classico e quelli che aspettavano solo un’occasione utile per goderselo sul grande schermo, il cult non ha deluso nessuno.
La storia di Tony Montana è famigerata. Il suo percorso da zero a cento nella malavita affascina e intriga, soprattutto in virtù dell’abilità con cui un maestro del calibro di De Palma ha saputo metterlo in scena. I colori pop, le straordinarie musiche, le spettacolari interpretazioni convergono nella rappresentazione di un mondo saturo di eccesso, che glorifica la violenza e la brama di potere. Queste atmosfere non sono proprio identiche a quelle che troviamo tra le pagine del romanzo di Armitage Trail, il “padre” di Tony, il cui ritratto del protagonista è molto più grigio e verosimile (ma non per questo meno tridimensionale) rispetto al “supereroe della mala” impersonato da un maestoso Al Pacino. Andiamo, quindi, ad analizzare le differenze tra il romanzo e il film di Scarface.
Identità, epoche e location
Nella sua opera, Armitage Trail presenta ai lettori Tony Guarino, immigrato italiano nella Chicago degli anni ’30. Il ragazzo proviene da un’umile e onesta famiglia che lavora nel settore alimentare. Di indole ribelle e orgogliosa, il giovane non si accontenta del modesto tenore di vita che un’occupazione del genere può offrirgli e, con la conquista quasi pretestuosa della donna di uno dei boss più noti del posto, entra nel giro della criminalità organizzata.
Malgrado il tentativo di mantenere un basso profilo, un capitolo dopo l’altro, inizia ad attirare l’attenzione della polizia e delle bande nemiche, il che lo porta a partire per la guerra per sei mesi. Al suo ritorno, apprende che tutti lo credono morto e, forte della cicatrice che lo ha sfigurato, rendendolo irriconoscibile, continua la sua scalata dietro il nome di Tony Camonte. Lupo solitario dall’inizio alla fine, sempre presente a sé stesso e consapevole della tangibilità della morte, non si accompagna mai con nessuno e non si fida neanche della propria ombra.
Lungi dal muoversi nell’oscurità, il Tony Montana di Al Pacino è un esplosivo immigrato cubano nella Miami degli anni ’80, centro nevralgico di un considerevole traffico di droga. La vita da lavapiatti a fianco del compare Manny Ribera dura poco, perché Tony brama di diventare il “signore della droga” e non lesina azioni estreme ed esagerate per farsi notare. L’escalation della sua sete di gloria è un perenne climax ascendente. Il boss non molla mai la presa, continua a spingere sull’acceleratore anche quando è accecato dai fumi della cocaina, il cui uso sempre più smodato gli farà perdere il lume della ragione. Il rischio è il suo pane quotidiano. Non gli importa di celarsi dietro un nome fittizio, saldo nella convinzione di essere indistruttibile e invincibile.
Il grande assente
Tony Guarino è il secondo di tre fratelli. Alla sedicenne Rosie si fa un breve accenno all’inizio del romanzo, per poi parlarne più avanti, mentre una presenza centrale nel libro, che nel film viene totalmente ignorata, è quella del fratello. Ben Guarino è l’esatto opposto di Tony. Il suo senso del dovere e la rigida etica ne fanno un perfetto poliziotto. È proprio lui a scatenare il dilemma esistenziale di Tony che, con grande lungimiranza rispetto a quello che sarebbe stato il suo futuro dell’Olimpo dei gangster, si chiede come avrebbe considerato il fratello, nel momento in cui ci fosse stato uno scontro tra guardia e ladro.
Il personaggio che forse si avvicina di più a una figura fraterna, nell’adattamento cinematografico, è quello di Manny Ribera. Braccio destro, amico e confidente del boss, resterà al suo fianco finché verrà ad accostarsi a quello che, nel libro, è il sicario di fiducia di Camonte, Mike Rinaldo, condividendone anche il triste destino. Ribera/Rinaldo incontrerà la morte per aver avuto l’ardire di sposare la sorella del capo.
Tutte le donne del boss
Vyvyan Lovejoy: è questo il nome della conturbante donzella che ruba il cuore del nostro Tony Guarino. La bella del boss Al Spingola non impiega molte pagine prima di cedere al fascino del carismatico italiano. L’ossessione di Tony si spegne, però, con un cinismo glaciale. Lo sfregiato, di ritorno dalla guerra, non esita un minuto a freddare lei e il suo amante. E allora, la sua attenzione si sposta su un tipo di donna molto lontano dalla distaccata e algida Vyvyan. Jane Conley, la “ragazza con la pistola” è una figura esclusiva del romanzo. È letteralmente la spalla del boss e collabora attivamente ai suoi affari. Il rapporto che Tony instaura con lei è viscerale, nonostante la natura schiva e diffidente della donna.
Nel film, la femme fatale, incarnata da una splendida Michelle Pfeiffer, è Elvira Hancock. Dal momento in cui Tony le mette gli occhi addosso, decide che lei diventerà la signora Montana. Detto fatto. Ma la relazione tra i due si consumerà tra noia ed eccessi, finché lei riuscirà a sottrarsi alle grinfie del marito. Degna di nota, nella pellicola, è anche l’attrazione maniacale, al limite dell’incestuoso, di Tony nei confronti della sorella. La bellissima Gina Montana cede alle lusinghe del fratello, che le promette una vita agiata, fino a rendersi conto che, per lui, rappresenta un oggetto di desiderio sessuale, oltre che una proprietà da gestire a piacimento.
Il finale
Tony Guarino ha abbracciato l’identità di Tony Camonte. Si è fatto le ossa nei bassifondi, è tornato dalla guerra, è diventato il re dei criminali. Ma è rimasto un essere umano. Messo alle strette da un sistema davanti al quale sa di stare per soccombere, viene investito da un improvviso senso di coscienza sociale. Scrive, quindi, una denuncia alla macchina politica americana, con tanto di nomi. La sua caduta avviene per mano del fratello, che nel frattempo è diventato capo della polizia. Ed ecco che viene al pettine il dubbio sul risultato di uno scontro fino a quel momento solo paventato.
Se la fine di Camonte avviene come si addice a un criminale che ha tirato troppo la corda, il Montana di Pacino non rinuncia a fare chiasso neanche quando è a un passo dalla fine. Nella sua monumentale villa, braccato dai sicari di Alejandro Sosa, Tony è al centro di un violentissimo scontro a fuoco, in cui si incrociano proiettili sparati e subìti. Gli occhi iniettati di sangue, la volontà guidata dalla droga assunta, affronta a viso scoperto i suoi nemici, incitandoli a infierire su di lui anche quando sta per stramazzare al suolo. Il colpo di grazia arriva alle sue spalle e lo fa precipitare da un parapetto. La scena conclusiva, con Tony esangue sotto il monumento che recita “The world is yours”, è un elemento essenziale del film, un grido di repulsione, rivolto soprattutto ai giovani, contro la droga e il disfacimento che ne consegue.