Napoli – New York racconta di un lungo viaggio, quello di due bambini di Napoli che nel 1949 decidono di imbarcarsi clandestinamente su una nave diretta in America per inseguire una vita migliore. Se ci fermassimo a immaginare quante storie siano nate sulle navi verso l’America, proseguendo nel Nuovo Mondo, ci sarebbero mille film da raccontare. La storia scelta da Salvatores potrebbe facilmente essere una di queste. A volte anche la genesi di un film sembra un lungo viaggio: dal punto di partenza, quando viene messa la penna sulla carta, fino alla realizzazione finale. Quest’opera in particolare ha compiuto un viaggio lungo decenni: nata da un trattamento di Federico Fellini, scritto col fido sceneggiatore Tullio Pinelli, Napoli – New York fu rinvenuta in un baule di cui Pinelli voleva disfarsi.
Come accade nei lunghi viaggi, a volte capita che lungo il percorso qualcosa si perda e che lo si ritrovi soltanto più avanti nel tempo. A salvare dall’oblio i 58 fogli dattiloscritti di questo trattamento fu Augusto Sainati, il quale pensò di pubblicarli in un libro edito da Marsilio nel 2013. Un desiderio che potrà realizzarsi dal 22 novembre, quando il testo inedito dello stesso Salvatores arriverà negli scaffali delle librerie insieme a una graphic novel omonima edita da Arancia Studio. Un viaggio, quello di questa storia scritta decenni fa, che per fortuna non si è fermato alla carta e ha ridato lustro a una fiaba che meritava di essere raccontata.
Genere: Drammatico
Durata: 124 minuti
Uscita: 21 Novembre 2024 (Cinema)
Cast: Antonio Guerra, Dea Lanzaro, Pierfrancesco Favino, Anna Lucia Pierro
Dal trattamento al film
Gabriele Salvatores ha provato a restare più fedele possibile al trattamento di Fellini e Pinelli, cercando però di fare propria la storia. Del regista de La dolce vita troviamo le atmosfere fiabesche da “Sceicco bianco”, ma osservando il film è evidente che Salvatores abbia voluto mantenere nell’adattamento la classica struttura in tre atti. Il risultato è una fiaba che evidentemente vuole offrire un lieto fine provando a regalare speranza e gioia in un periodo storico rinomatamente difficile. La prima parte del film dipinge il volto di Napoli dopo il 1943, quella delle Quattro giornate e della liberazione: una Napoli stanca, affamata e affollatissima dove i due piccoli protagonisti, Carmine (Antonio Guerra) e Celestina (Dea Lanzaro), si arrangiano con piccole truffe e affari di contrabbando.
I soldi sono pochi e la fame è tanta: per inseguire il cuoco della nave Victory che gli deve dei soldi, i due bambini finiscono per salpare verso New York. Sulla nave (secondo atto di questa storia) incontreranno il commissario di bordo, Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino): dopo un’iniziale antipatia, l’uomo si affezionerà ai due scugnizzi e li aiuterà nella ricerca di Agnese (Anna Lucia Pierro), sorella di Celestina. I tre scopriranno che Agnese è nei guai, ma se in principio l’America sembra non curarsi del loro destino, presto italiani e americani proveranno a impegnarsi per salvare Agnese.
Come i film di una volta
La produzione di Salvatores ha tutte le caratteristiche di una fiaba, compresa una messa in scena che ricorda le pellicole di una volta. Ci si ritrova qualcosa dei film di Frank Capra, con atmosfere che rimandano a La vita è meravigliosa, ma la vita dei due protagonisti risulterà parecchio familiare ai lettori di Charles Dickens e Robert Louis Stevenson. Capra e il suo classico non sono citati a caso: Napoli – New York strizza l’occhio al “Sogno americano” e all’America come terra delle opportunità – quella terra dove anche chi partiva dal vecchio continente con una valigia di cartone e solo i suoi vestiti addosso poteva trovare tutte le occasioni possibili per cambiare vita.
I due piccoli protagonisti hanno il futuro negli occhi ed è inevitabile che la loro fantasia riverberi in quella dello spettatore, stimolato scena dopo scena a immaginarseli cresciuti e felici. L’obiettivo è proprio questo: come nei film di Capra, il bene e il bello vincono sul cattivo e il brutto. Un intento più che lodevole, ma che proprio in questo aspetto evidenzia un difetto del film: la carica speranzosa del regista è ammaliante e toccante, ma l’assenza di ostacoli realmente tangibili di fronte al percorso dei personaggi, così come la rapidità con cui si risolvono gli eventuali conflitti, evidenziano una mancanza di mordente che rischia di pesare più del necessario.
L’esperienza per raccontare una fiaba
La regia sicura ed esperta di Salvatores è ciò che rende il film veramente godibile, anche per la sua attenzione nel dirigere piccoli attori. Antonio Guerra e Dea Lanzaro reggono tutto il film con maestria, dimostrando una grande intensità che gli permette di trasmettere tutte le loro emozioni su schermo. La cura della fotografia e l’attenzione per i dettagli, poi, ci catapultano direttamente da un capo all’altro del mondo: l’America delle grandi occasioni, come la Napoli verace e in ripresa di una volta, fanno venire voglia di rispolverare tutti i film ambientati in quel contesto.
Il look vintage del film si mescola a una scelta musicale che invece non disdegna brani successivi al 1949 (anno in cui si svolge la storia), arrangiati per l’occasione o lasciati nella loro edizione originale. Non mancano neppure gli stereotipi, presenti ovunque ma mai troppo stridenti, inseriti appositamente per raccontare Napoli e l’America del periodo in modo semplice e diretto. Non si tratta certo di un’opera rivoluzionaria, ma questa storia “di cuore” arriva al cuore senza troppe pretese. Un approccio che basterà ad accontentare buona parte del pubblico.
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Conclusioni
Napoli-New York porta Salvatores a confrontarsi con la storia: Fellini e il suo fido Pinelli, il dopoguerra e la grande migrazione verso il nuovo mondo. L'approccio del regista guarda ai grandi per raccontare una storia di piccoli, di tutti, che non brilla per intreccio ma emoziona con la sua dolcezza.