Una collina ripresa dal basso. Silhouette di uomini a cavallo compaiono all’orizzonte. Il vento soffia sull’erba. I cavalieri si lanciano alla carica.
Si, potrebbe essere una qualunque scena di un qualunque film che sia mai stato girato. Un western nostalgico? Un’avventura fantasy? Un fantascientifico post-apocalittico?
No. Stiamo parlando di una pellicola senza tempo, universale, apprezzata in tutto il mondo: I sette samurai di Akira Kurosawa del 1954.
Il film che ha segnato i film. Un pilastro non solo del cinema giapponese, ma di gran parte della narrativa cinematografica moderna. Una delle opere che più profondamente ha influenzato l’evoluzione della settima arte. Una grande storia epica, con lo stesso potere di risonanza dei poemi greci. Non a caso, il film, fu definito dalla critica francese del periodo: «L’Iliade e il Guerra e Pace del mondo contadino».
La storia del cinema nasceva per la seconda volta, settant’anni fa
I sette guerrieri rappresentati, nonostante siano legati alle usanze della loro classe, ci insegnano una pulsione fortemente umanista: la convinzione che, se ne abbiamo il potere, sia giusto fare del bene per gli altri. Da qui un epica popolare. Un film archetipo in cui si ritrovano i meccanismi più antichi dello storytelling. I medesimi meccanismi che intrattengono l’umanità da migliaia di anni, e che ne I sette samurai si avvicinano alla perfezione. Un film in cui c’è dentro tutto il senso dell’avventura, dell’epica, della narrazione popolare e che comunica la condizione dell’uomo, la condizione del mondo, in un dato momento, universalmente condivisibile. Per questo motivo, il film diviene un vessillo del cinema, riuscendo a far breccia su tutto il pubblico e a divenire un racconto generale e difatti adattato da chiunque.
Ad oggi, I sette samurai, è forse il film più rifatto, rimasticato, rielaborato e rimesso in scena in forme diverse, di tutta la storia del cinema. Dalla trasposizione diretta in chiave western del racconto con I magnifici 7 (e il suo sequel, I magnifici sette nello spazio, e il remake, I magnifici 7 del 2016) fino a tutti quei film che condividono la formazione di gruppi di persone che decidono di sacrificarsi per un bene superiore. Stiamo parlando di Colpo grosso, un heist movie con Frank Sinatra degli anni Sessanta, di war movie come I cannoni di Navarone o Quella sporca dozzina. Del mitico Mucchio selvaggio di Peckinpah, dei pazzi galeotti di Quella sporca ultima meta, fino alla più recente rielaborazione di Zack Snyder in salsa fantascientifica con Rebel Moon. Contando anche una serie anime che omaggiava i cinquant’anni dell’opera nel 2004, Samurai 7.
Tutto un grande cerchio della vita di celluloide. Cinema che ispira cinema, non solo nella narrazione classica, ma anche nella visione fotografica.
L’eredità
L’enorme influenza che I sette samurai continua ad avere sull’industria del cinema pone ancora di più l’accento sulla sua importanza come pietra d’angolo della storia della narrativa per immagini.
È con il film di Kurosawa che si vede per la prima volta, ad esempio, l’introduzione dell’eroe attraverso una sotto-trama scollegata alla narrazione principale. Ripensiamo a I predatori dell’arca perduta, dove Indiana Jones, a inizio film, viene visto scappare da un masso gigante inseguito da una tribù inferocita. Stacco poi all’interno di un tranquillo ufficio universitario. Sarà qui che la vera missione della storia viene presentata al protagonista. La prima scena non ha rilevanza ai fini della narrazione, ma serve a farci conoscere, con poche inquadrature, il nostro personaggio.
Stessa cosa succede con Sherlock Holmes o Hercule Poirot, che risolvono sempre con facilità un caso “introduttivo” prima di impegnarsi nell’indagine principale. Tutto questo nasce dall’opera di Kurosawa, dove Kambei viene introdotto mentre, pur di salvare un bambino tenuto in ostaggio da un ladro, si taglia il codino da samurai per potersi fingersi prete. Capiamo subito che abbiamo a che fare con un uomo che, pur di aiutare il prossimo, rinuncia senza esitazione al più grande simbolo del suo onore.
L’assoldamento dei samurai ingaggiati per difendere il villaggio ha dettato poi le regole della narrativa dei film d’azione, generando tutte quelle tipiche sequenze di reclutamento, da Ocean’s eleven a Smetto quando voglio fino ai film di supereroi. Per non parlare poi di pellicole che, da Django Unchained, Matrix, A-Team, Terminator, Ken il guerriero, Mad Max, citano quasi letteralmente alcune scene, replicandole inquadratura per inquadratura.
Si passa anche per Il Corvo di Brandon Lee, con il climax della battaglia finale sotto la pioggia, fino a Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma in cui i carri armati della Federazione sbucano dalla collina per attaccare l’esercito Gungan durante l’invasione di Naboo, esattamente come l’arrivo dei briganti citato all’inizio.
Le influenze
Ma parte tutto forse solo da Kurosawa? Anche il grande regista ebbe le sue fonti d’ispirazione, come tutti d’altronde. Le spade piantate nel terreno, nel finale de I sette, citano espressamente quelle dei soldati inglesi nell’ultima inquadratura de La pattuglia sperduta di John Ford. E il fatto che Kurosawa ne fosse un fan salta all’occhio subito, dato che nella sua pellicola cita anche Sfida infernale e Rio Bravo del maestro statunitense.
Perché alla fine è sempre cinema che ispira cinema. E così come, per secoli, la letteratura ha continuato a citare Omero e le tragedie greche, allo stesso modo il cinema continuerà a citare I sette samurai: è questo il destino delle grandi opere epiche.
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