Il disprezzo per i cinepanettoni dilaga in Italia, specialmente tra i giovani, ma in realtà è sempre esistito. Quando Franco Montini rese d’uso comune il neologismo con cui conosciamo le tipiche pellicole natalizie italiane, in un’edizione del 1997 della Repubblica, il disdegno per la sostituzione dei grandi film con tali proposte divenne acredine in lui e nei cinefili, spaventati dal possibile mese di astinenza e rassegnazione nelle sale della penisola. Un cinepanettone come Vacanze di Natale al posto di Rashomon? Ma ci faccia il piacere!
L’inesorabile passaggio del tempo e il cambio generazionale ha tuttavia trasformato questo odio in moda. Se 26 anni fa poteva essere ricondotto a un vero amore per il cinema di spessore, la Gen Z ha abbracciato tale sentimento rendendolo proprio per “sentito dire”, senza vedere nemmeno un caposaldo del genere o, altrimenti, guardandolo ironicamente. La verità è che i film di Boldi, De Sica e soci nascondono un sentimento ormai abbandonato dalla popolazione italiana, nel bene e nel male, che si dovrebbe ri-accogliere dopo averlo filtrato ripetutamente con il colino.
Il contesto socioculturale
Il nostro viaggio deve procedere con ordine, come un viaggio nel tempo. O meglio, quello che in inglese si definirebbe “a trip down memory lane”. Il filone dei cinepanettoni nasce negli anni Ottanta, nell’era della TV commerciale. La “paleotelevisione” stava giungendo alla sua fine grazie al gruppo Fininvest e a Silvio Berlusconi, possessore di tre emittenti a livello nazionale già nel 1982. I tentacoli del Cavaliere avvolgevano la popolazione, affezionatasi alla programmazione selvaggia e popolare, contribuendo non solo alla diffusione della televisione in sé, ma anche del videoregistratore, di tanti altri beni di consumo promossi nelle pubblicità, e di un approccio più leggero ai media rispetto a quello proposto dalla RAI.
Il colosso torinese della radiotelevisione era ormai alle strette. La spinta dei contenuti educativi e culturali non funzionava più, era una tradizione datata (che oggi molti cittadini, giovani inclusi, rimpiangono). La trasformazione del piccolo schermo veniva dettata dalla competizione sulle entrate pubblicitarie, con Berlusconi in prima linea dopo nemmeno cinque anni di attività forte della ex Telemilanocavo, o Telemilano 58, poi divenuta Canale 5. La sonora esplosione del Biscione diede una nuova identità alla tv, con programmi vincenti che trattavano il telespettatore come mero consumatore e veicolo promozionale, non più come cittadino da informare.
La corsa agli ascolti caratterizzò la “neotelevisione” (come la definì Umberto Eco), un modello che instaurava un rapporto paternalistico con il pubblico, rendendo l’emittente l’incarnazione della voce del popolo. Le caratteristiche le conosciamo fin troppo bene: una radicata semplicità dei contenuti proposti, l’abbandono delle trasmissioni pedagogiche, l’autoreferenzialità di quelle nuove, distanza ridotta tra telespettatore e presentatore, e un’oggettivazione del corpo delle donne che oggi si ripudia come una pericolosa macchia nera nella storia dell’intrattenimento nostrano.
Allora, però, era rivoluzione, era la nuova normalità. Drive In, Colpo Grosso, Bim Bum Bam, Ok il prezzo è giusto, Il gioco delle coppie. Chiunque ormai apprezzava la pioggia di nuovi format, a volte ripresi dall’estero, scoprendo lidi inediti. L’educazione firmata Fininvest determinò l’ascesa del network e della figura di Berlusconi, poi lanciatosi in politica con Forza Italia riscuotendo subito il consenso degli italiani.
Dalla TV al cinema
Filmauro colse questa occasione in men che non si dica, diventando una delle prime società nel settore della distribuzione cinematografica a inseguire il trionfo della neotelevisione. I fratelli Vanzina prima e Neri Parenti dopo, guidati da Aurelio De Laurentiis, sono stati i genitori dell’intero filone. La prima pellicola giunta nelle grandi sale fu Vacanze di Natale, la fotografia ironica dell’Italia vacanziera erede del successo di Sapore di Mare – anch’esso di Carlo ed Enrico Vanzina – e modellato su Vacanze d’Inverno del 1959. L’anatomia del padre del cinepanettone è chiara: trama sempliciotta incastrata tra fiumi di gag, caratterizzate da un linguaggio del corpo lampante e ricolmo di allusioni sessuali – ricordiamo la partecipazione di Moana Pozzi in Vacanze di Natale -, e la netta suddivisione tra ricchi e poveri che dà vita a situazioni tanto bizzarre quanto prevedibili.
Solo con il sodalizio artistico tra Massimo Boldi e Christian De Sica, divenuti gli attori feticcio di tutto il filone, dalla seconda metà degli anni Novanta il pubblico ha assistito alla definitiva affermazione del cinepanettone. Prima ancora dell’esordio nell’iconico Vacanze di Natale ’90, però, il duo ha preso parte a un’altra pellicola cruciale nella definizione del cinema italiano d’allora: Yuppies – I giovani di successo. Il fenomeno di costume dello yuppismo coincide chiaramente con il sentimento del tempo, generato parzialmente da Silvio Berlusconi in Italia. Ovvero, con la volontà dei giovani di diventare imprenditori affermati, vestiti con abiti firmati e dotati delle tecnologie e delle auto di ultima generazione. In breve, di tutte le novità commerciali di quegli anni.
Dalla conferma al declino
Tutt’altro che promossi dalla critica, i cinepanettoni al botteghino hanno stupito i detrattori con risultati strepitosi. Vacanze di Natale è il nono film per incassi della stagione 1983-1984, sopra a 007 – Mai dire mai. Vacanze di Natale ’90 ha superato Rocky V e Il silenzio degli innocenti nel 1990-91, mentre Vacanze di Natale ’91 si è posizionato al quinto posto nella stagione successiva. Negli anni seguenti hanno sempre conquistato un posto nella Top 20 italiana, arrivando persino al terzo posto nel ‘95-‘96 con Vacanze di Natale ’95, sopra il poderoso Se7en di David Fincher, Braveheart, Casper e Heat di Micheal Mann.
Dopo anni di sperimentazione con cinepanettoni non strettamente legati al periodo natalizio, l’apice effettivo lo raggiunse la lunga serie di “Natale a”. Il primo film a raggiungere la vetta del Belpaese è stato Natale sul Nilo, al primo posto assoluto nella stagione 2002-2003. La rottura tra Boldi e De Sica dopo Natale a Miami, al secondo posto nel 2005-06, portò a un cambio di visione all’interno di Filmauro, dal quale seguì il primo posto di Natale a New York, con un bis nel 2007-08 grazie a Natale in crociera.
La presenza di cinepanettoni in Top 5 è continuata fino al 2010-2011, fino all’uscita di Vacanze di Natale a Cortina, l’ultimo capitolo della saga delaurentiisiana. Gli incassi più bassi di sempre al botteghino hanno segnato la fine dell’era delle gag slapstick volgari, parallela a un declino della televisione. Con l’avvento di Internet e di altri canali per la fruizione di contenuti multimediali – smartphone e social network su tutti -, la TV e il cinema hanno visto l’inizio della lenta fine.
Oggi il distacco è ancora più evidente a causa del boom delle serie TV in streaming e, inutile nasconderlo, della pirateria. Ormai i film si vedono a casa pagando un abbonamento mensile, senza pubblicità e dalla comodità del proprio divano. Per i più giovani, anzi, TikTok è molto meglio di un film: come si può negare la gradevolezza di dosi immense di intrattenimento immediato, gratuito, accessibile ovunque ed estremamente variegato?
Un discorso generazionale
In questa differenza abissale tra generazioni e modi di fruire risiede la bellezza intrinseca dei cinepanettoni. In quella noncuranza, in quel disinteresse per la critica e nell’assente eleganza di una rozza risata fondata su battute scontate, spesso piccanti. Se oggi odiamo i cinepanettoni non è colpa degli attori, dei registi o del cinema italiano in toto – anche se, in fin dei conti, si sente il peso della sua attuale, tendente inadeguatezza e insufficienza. Non è nemmeno colpa degli spettatori, in fattispecie le nuove generazioni abituati a risate effimere. È colpa del tempo tiranno, di una società mutata radicalmente, nel bene e nel male.
I cinepanettoni venivano apprezzati trent’anni fa per il loro modo di rappresentare la “dolce vita”, tra malanni e peripezie esagerate per pura comicità. Oggi la vita viene percepita all’opposto, con un realismo forse eccessivo ma fondamentalmente necessario. Da esso muta il senso dell’umorismo. Da esso viene definito il regno di TikTok, non per i balletti quanto per i format ad immediata fruizione che rendono globale la risata, breve ma ripetuta, dunque indirettamente più sostanziosa agli occhi di coloro che ridono.
In fondo, però, non possiamo ammettere che i TikTok e i Reel di oggi seguono lo stesso principio dei cinepanettoni degli anni Novanta? Al posto della TV ci sono gli smartphone. A sostituire le pernacchie, le scoregge e le palpate sono meme astratti, trend la cui comprensione è spesso limitata alla Gen Z e alla Gen Alpha. Anziché vederle al cinema, le vediamo ogni giorno tra swipe upe swipe down. Si tratta semplicemente di un altro ciclo dell’intrattenimento, la cui differenza chiave risiede nella mentalità del fruitore.
I cinepanettoni erano il ritratto della spensieratezza, e sono oggi le cartoline di un passato di eccessi in fondo accettati. Rappresentavano l’era d’oro della televisione italiana, tra show ipnotici allora esilaranti. TikTok, d’altro canto, è un magnete per chi vuole fuggire quotidianamente da un presente che appare una condanna, da un futuro sempre più incerto. La verità è questa: la coscienza non ci permette più di apprezzare le battute degli anni d’oro dell’intrattenimento del Belpaese poiché superate, incapaci di generare la risata. È un discorso di consapevolezza, di realismo, o di pessimismo. Dell’impellente necessità di correggere la società, di estrarre con cautela porzioni dell’eredità dei nostri avi.
Sarebbe bello poter filtrare con il colino la spensieratezza dei cinepanettoni. Con essa, forse, si potrebbe costruire una felicità più autentica, meno effimera.