Le discussioni e i giudizi tranchant nei confronti del nuovo magniloquente film di Damien Chazelle, Babylon, hanno segnato il momento della sua uscita nelle sale cinematografiche. Mai come in questo progetto, infatti, il regista di Providence ha spinto sul pedale dell’eccesso, con il risultato di ricevere giudizi altrettanto estremi. Lui stesso ne era consapevole: «Sapevo benissimo che il film avrebbe fatto arrabbiare alcune persone, e ritengo che questo sia positivo. Dovrebbero farlo più film». L’eccesso talvolta ti conduce alla confusione e d’altronde lo esplicita il titolo stesso dell’opera: Babilonia ossia Babele, epicentro di perdizione e caos, costruzioni di voci e corpi che si fondono e creano una torre di incomprensibile e maliarda magnificenza. Ma qual è la vera Babilonia di Damien Chazelle?
È risaputo che il regista possa aver trovato fervida ispirazione dal celebre saggio tra realtà e leggenda di Kenneth Anger, Hollywood Babilonia, sorta di confessionale dell’onnivora e possessiva ingordigia del sistema. Hollywood come un girone dell’inferno, tempio pagano in cui sfogare ogni sorta di perversione e lussuria, desiderio e dipendenza. Dalle ceneri della nuova mastodontica Babilonia di Intolerance, abbandonata al suo destino proprio come la corrispettiva antica megalopoli, spuntano star, produttori, faccendieri, personaggi facoltosi e semplice manovalanza, in una sorta di gincana degenerata che ti soffoca come un gioco sadomaso avvelenato del quale si è pienamente compiacenti ma forse non del tutto consenzienti.
Anni Ruggenti
Babylon ci apre il portone dei ruggenti anni Venti, un periodo di significativa espansione economica per gli Stati Uniti. Crescita e innovazione ma anche una divisione sempre più netta dalla classe meno agiata della popolazione. In tale contesto il cinema non era comparsa bensì membro di spicco del cast. L’industria cresceva a ritmi vertiginosi, gli investimenti aumentavano a dismisura ed ecco la modernità che miete le proprie vittime e crea nuovi miti, risucchia e poi sputa. Il cinema che mostra il suo fascino e crea il sogno. E qui i sognatori e i folli si trovano davanti la solitudine del cambiamento, in un eterno inseguimento dei migliori riflettori. Nel film di Chazelle c’è chi è star dalla nascita e chi invece lo diventa. E c’è chi scompare in una dissolvenza senza mai più tornare.
Babylon propone alcuni reali protagonisti di quell’epoca pomposa e personaggi creati ispirandosi a figure più o meno conosciute dei Roaring Twenties.
Una galleria di personaggi pronti a salire e scendere dal vizioso monte Olimpo dello showbiz, nell’epoca del positivismo e della contemporanea esplosione di fenomeni di costume e tendenze artistiche. Denaro e successo, una corsa sfrenata per un primo piano e una lacrima che possa cambiare per sempre la vita.
Divi e Dive, Folli e Sognatori
«Se potessi andare ovunque, in un posto del mondo, tu dove andresti?» chiede l’aspirante attrice Nellie LaRoy (Margot Robbie) a Manny Torres (Diego Calva). La risposta del giovane messicano racchiude il cuore del film: «Vorrei far parte di qualcosa di più grande». Babylon in fondo è l’ambizione di Chazelle, la sua continua voglia di stupire. È la bramosia dei folli sognatori che giungono in California, verso quella sfarzosa macchina dei sogni che sembra la soluzione più affascinante per fuggire da una vita ai margini. I protagonisti di Babylon nutrono lo stesso desiderio primordiale di quelli di La La Land ma Chazelle ne mostra il lato oscuro.
La delirante epopea dei Roaring Twenties di Hollywood è ricca di materiale dal quale attingere e il regista aveva soltanto l’imbarazzo della scelta. Ma è proprio dal saggio di Anger che sembra raccogliere quell’ammirazione condita da sarcasmo nel descrivere questo gruppo di esseri umani in balìa dei loro impulsi e delle loro perversioni, dei loro vizi e delle loro alienanti esistenze.
Nellie LaRoy è la debordante protagonista, magistralmente interpretata da una incontrollabile Margot Robbie; sfacciata e impertinente, Nellie è una ragazza convinta di poter sfondare nel mondo del cinema che s’imbuca alla festa del produttore Don Wallach. Una serie di coincidenze la conducono sul set di un film come sostituta e il suo talento rapisce lo sguardo dei presenti e della macchina da presa che coglie la sua lacrima, una, due, tre volte. Chazelle ha carpito diverse caratteristiche da alcune delle più celebri dive del muto per costruire il personaggio di Nellie LaRoy, che rappresenta l’attrice dell’epoca piena di talento e fragilità nonché vittime di esistenze travagliate come Jeanne Eagles, Joan Crawford e Alma Rubens.
Ma il profilo dal quale Nellie trae maggior ispirazione è senza dubbio Clara Bow, sex symbol degli anni ’20 e proprio come il personaggio di Margot Robbie famosa per il suo carattere energico e la sua verve trasgressiva che investiva in pieno chiunque le si avvicinasse. La diva dell’età del jazz, alla cui immagine vi si ispirò nel 1930 per la creazione di Betty Boop, era l’It Girl per eccellenza, la ribelle sfrontata dal fascino magnetico. Nellie la ricorda soprattutto per il passato tormentato e un’esuberanza conclamata.
La controparte maschile di Nellie LaRoy è Jack Conrad. Il suo ingresso in scena è altrettanto travolgente e non può che ricordare un grande viveur come Errol Flynn, che tuttavia risale ad un periodo immediatamente successivo, e soprattutto John Barrymore.
Jack è una specie di superstar del cinema. Quando lo incontriamo nel film è il protagonista che ha incassato di più al mondo. È uno di quei tipi che ha raggiunto l’apogeo della celebrità proprio in quel momento e il tipo di amore isterico e ammirazione che ispira, in un momento in cui l’intero concetto di celebrità cinematografica era ancora relativamente nuovo è davvero difficile per noi oggi da capire.
Difficile non intravedere in Jack un mix di alcuni dei divi più acclamati di quel periodo come John Gilbert, con il quale condivide un brutto rapporto con il passaggio al sonoro, emblema delle star del muto vittime di quell’innovazione che cambiò il cinema. Il lato conquistatore di Conrad ricorda invece la movimentata vita sentimentale di Douglas Fairbanks e in particolare Rodolfo Valentino, primo grande divo del muto.
Il vero protagonista del film è in realtà Manny Torres, immigrato messicano desideroso di farsi strada a Hollywood e perdutamente innamorato sin dal primo istante di Nellie LaRoy. Una delle figure reali che hanno maggiormente influenzato Chazelle per la creazione di Torres è il produttore e attore René Cardona, che da Cuba arrivò ad Hollywood e riuscì con il tempo ad ottenere successo.
Intorno ai tre principali protagonisti, Damien Chazelle porta sullo schermo diversi personaggi che in alcuni casi mantengono il loro nome reale, come il produttore Irving Thalberg, co-fondatore dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences e co-creatore dell’ambito Premio Oscar, e la coppia composta dal magnate William Randolph Hearst – colui che ispirò Orson Welles per Quarto potere ed evocato in Mank di David Fincher – e Marion Davies. Un altro personaggio di primo piano come la critica cinematografica Elinor St. John, magistralmente interpretata da Jean Smart, prende spunto da personalità di spicco dell’epoca nel settore come la scrittrice Elinor Glyn, fondamentale per l’ascesa mediatica di Clara Bow, Gloria Swanson e Rodolfo Valentino, la giornalista Adela Rogers St. Johns e la famosa editorialista Louella Parsons. È proprio a Elinor Glyn che Chazelle riserva uno dei monologhi più significativi del film.
La regista Ruth Adler, colei che si accorge del grande talento di Nellie LaRoy, è un mix delle prime registe attive ad Hollywood in quel periodo; difficile non pensare a Lois Weber, Dorothty Davenport e Dorothy Arzner. Uno dei personaggi più ambigui e affascinanti del film è senz’altro Lady Fay Zhu, che richiama la prima star sino-americana a Hollywood, Anna May Wong, nonché prima star asiatico-americana a diventare un’autentica celebrità. Un personaggio fondamentale nel passaggio dal muto al sonoro è il musicista Sidney Palmer, interpretato da Jovan Adepo. Palmer racchiude in un unico profilo star musicali nere del periodo tra gli anni ’20 e gli anni ’30 che riscossero grande successo al cinema proprio a causa della loro duttilità sonora, da Duke Ellington a Louis Armstrong e Bessie Smith.
Damien Chazelle ha citato alcune star come Curtis Mosby, Les Hite e Sonny Clay tra le ispirazioni per il personaggio di Adepo. Sidney Palmer inizialmente viene presentato come un profilo marginale ma in seguito troverà significativo spazio nella trama di Babylon, mostrando anche le umiliazioni subite dalle persone nere in quel periodo storico.
La trama di Babylon sembra dipanarsi come un girone dantesco dell’inferno. Damien Chazelle non racconta fatti realmente accaduti ma trae ispirazione da avvenimenti che hanno segnato in maniera significativa, tra la verità e la leggenda, quell’epoca così debordante di Hollywood. L’ennesimo guaio nel quale casca Nellie LaRoy al Casinò, ad esempio, è ispirato ad un fatto realmente accaduto a Clara Bow, che nel 1930 perse molti soldi giocando d’azzardo a Lake Tahoe in Nevada, scontrandosi con dei criminali che all’epoca controllavano il gioco e il commercio illegale. Nel film l’episodio coinvolge uno dei personaggi più inquietanti chiamato da Chazelle proprio come il boss dell’epoca, James McKay, interpretato da un mefistofelico e inquietante Tobey Maguire.
Tutto passa, rimane il cinema
A chi si rivolge Damien Chazelle con Babylon? Parla davvero soltanto a chi degli anni ’20 è un grande appassionato come affermano le critiche più agguerrite nei confronti del film? In realtà forse il regista usa gli anni ruggenti per una riflessione più attuale rispetto a ciò che sembra ad una prima visione.
Come un altro magnetico spartito musicale della sua sua ritmata filmografia, Damien Chazelle riflette sul tempo che ingoia divi e starlet, sogni e desideri, fragilità e perversioni. Come Nellie LaRoy che scende dall’auto e si perde nell’oscurità, così i miti cambiano e si perdono in qualcosa di ancora più grande della gigantesca Babilonia del cinema che sostituisce i suoi protagonisti per accoglierne altri: l’eterno incedere dell’esistenza. Un viaggio dal muto al sonoro e le innovazioni che conquistano il mondo e mietono le proprie vittime. Il circo di Babylon, con il lussurioso party che investe lo spettatore tra corpi sudati e viaggi alcolici lascia spazio, dopo tre lunghe ore, allo sguardo gonfio di lacrime di Manny Torres, che estasiato osserva Gene Kelly mentre danza e canta sotto la pioggia e sentenzia la potenza immortale delle storie raccontate attraverso uno schermo.
E allora se la caducità della vita non lascia scampo e piomba inesorabile è il cinema che resiste al tempo, si trasforma e muta, trova il modo per resistere, supera la crudeltà e le sciagure dell’esistenza umana e rimane lì davanti ai nostri occhi e al caos delle nostre vite. Così affascinanti, imperfette e contraddittorie. E forse l’unica vera perversione è cercare il modo di renderle perfette, e magari far parte di qualcosa di più grande.
E voi cosa ne pensate? Siete d'accordo con le nostre riflessioni?
Se volete commentare a caldo questo articolo insieme alla redazione e agli altri lettori, unitevi al nostro nuovissimo gruppo Telegram ScreenWorld Assemble! dove troverete una community di persone con interessi proprio come i vostri e con cui scambiare riflessioni su tutti i contenuti originali di ScreenWorld ma anche sulle ultime novità riguardanti cinema, serie, libri, fumetti, giochi e molto altro!