A metà agosto, Disney+ ha rilasciato la seconda stagione di The Bear, serie tv ambientata nel mondo della cucina che si era distinta nella sua prima stagione per la sua scrittura diretta e per la regia elegante.
E al netto della piega che prende la seconda stagione, meno Carmen-centrica e più dedicata a raccontare lo sviluppo del suo staff, la storia ci ha tenuto a sottolineare ancora una volta l’ossessione del protagonista verso la cucina e la grande influenza che la sua famiglia ha avuto su di lui, nel bene e nel male.
Stessa sorte, stessa ossessione e simile condizionamento genitoriale che subisce un personaggio completamente diverso da Carmy: Sammy Fabelman. Due epoche diverse, due personaggi diversi e una storia che poco ha da spartire con quella di Carmy. Tuttavia entrambi i personaggi vivono affetti da una maledizione, un disagio che non permette loro di godersi il frutto del proprio lavoro o semplicemente la vita. L’ossessione verso un sogno, la paura di essere divorati da esso. Paura che forse per entrambi ha una origine comune.
The Bear: tutto crescono… tranne Carmy
La prima stagione di The Bear ci racconta di Carmy Berzatto e del suo tentativo di far funzionare il ristorante e fronteggiare i debiti lasciati da suo fratello Michael. Carmy ha viaggiato in diverse città e lavorato nella ristorazione ad altissimi livelli, dovendo fronteggiare ambienti ostili e livelli di tensione altissima. Tornare a Chicago per lui è un grosso passo indietro a livello professionale. A lui fin dalla prima stagione si unisce la neo arrivata Sydney col sogno di lavorare in cucina e diventare una chef e tutta la banda del locale che prepara panini.
La seconda stagione) invece parte da quell’ottima base per mostrare l’evoluzione del locale: da paninoteca a ristorante di classe. E si allontana apparentemente dal racconto di Carmy. Conosciamo meglio tutto lo staff del ristorante ed entriamo nella vita di queste persone che, per la prima volta, si trovano nella posizione di poter crescere professionalmente e umanamente. La narrazione apparentemente lascia Carmy per mostrare altri lati della medaglia. Altre vite, altre famiglie, altre scelte.
Ci sono episodi legati a ogni personaggio ed è interessante come vediamo il rapporto con il loro sogno e con la loro famiglia. Tina per esempio, interpretata da Liza Colón-Zayas, anche non più giovanissima (in relazione ad altri del locale come Sydney o Marcus), si sente per la prima volta appoggiata nella vita e può seguire la sua passione, come dichiarato dalla stessa interprete a Wired:
“La vediamo sforzarsi di migliorare. E può riuscirsi perché finalmente si sente appoggiata e sostenuta. Aveva rinunciato al suo sogno molto tempo fa – quello di essere una chef e di lavorare in un ristorante in quel modo. Ma ora quel sogno può diventare reale, può ricevere una formazione, avere più fiducia e standard più elevati per se stessa. Sarà toccante e bello, ma difficile.”
Marcus nel meraviglioso quarto episodio, si stacca un attimo dalle cure per la madre e viaggia fino a Copenaghen per formarsi nella pasticceria con lo chef interpretato dalla guest star Will Poulter. Un episodio che è la calma in un mare in tempesta.
E poi Richie, il cugino di Carmy a cui è dedicato il settimo episodio in cui impara a gestire una sala e trova il senso della sua attività nella soddisfazione del cliente. Un unico momento di realizzazione nell’intercettare la voglia di pizza di un cliente e nel sapere cosa consigliare, che gli illumina la via.
Sydney deve far fronte a un padre che vuole per lei un ingresso economico prima della sua realizzazione del suo sogno, oltre a diventare imprenditrice in un ramo che è più instabile di quel che pensava.
E poi si torna a Carmy. Perché tutti crescono in questa seconda stagione, tranne lui. E quindi il processo di risanamento delle sue cicatrici continua. Con poche scene e un episodio in particolare, il sesto, che ci mette di fronte a tutta l’ansia e la pressione che ha nella sua mente. Traumi che legano Carmy tanto alla figura del fratello quanto a quella della madre.
Molte le similitudini tra i due che vengono esplose nel finale di stagione nella pesante autocritica che sfocia in auto condanna che si danno entrambi: la madre sostiene di non meritare di poter osservare il successo del figlio e il figlio ritiene non necessario l’amore e forse la felicità.
Siamo in un periodo in cui abbondano in ogni salsa i programmi di cucina. Ma in The Bear la cucina è solo un pretesto per raccontare il percorso dei personaggi. I piatti hanno una valenza estetica o traumatica per loro. Innescano conflitti oppure sono simbolo del superamento degli ostacoli. La crescita di Carmy, la sua affermazione ed emancipazione avviene attraverso la cucina, cercando di riappacificarsi con la sua famiglia disfunzionale e quindi con il suo passato. Una disamina di come l’ereditarietà famigliare e l’ambiente in cui viviamo ci influenzano e di cosa siamo disposti a fare e subire per riprendere il controllo.
The Fabelmans: Sammy e la paura di scegliere
The Fabelmans invece, racconta la storia del giovane Sammy (alter ego del regista Steven Spielberg) e il suo innamoramento verso il cinema. È un film che trova la sua realizzazione nel mostrare un cinema capace di far sognare, ma grazie a tanta artigianalità. Sammy impara a usare una cinepresa per gioco, per replicare quanto visto in sala e che lo aveva inizialmente spaventato e da lì in poi si immergerà nelle storie che vuole raccontare. Imparare a montare, filmare, gestire la pellicola e poi gestire la propria ambizione, trovare la propria strada e posto nel mondo, seguendo o no l’influenza genitoriale. Spielberg racconta una fiaba con il suo stile fanciullesco, tutto sembra servire per far crescere il protagonista e portarlo sulla strada su cui è destinato.
Ossessione e influenza genitoriale
Le due storie sarebbero separatissime. Epoche diverse, caratteri diversi. Ma ci sono due legami, due pattern nella vita di Carmy e di Sammy che li rendono, in fondo, non poi così diversi. Ed è interessante notare come queste due storie raccontino l’ossessione verso i propri desideri e il rapporto con i genitori.
Carmy non è solo una persona divorata dal proprio lavoro e ossessionata dall’ambizione. Il suo passato lo ha portato a costruirsi con il lavoro una barriera contro le sue fragilità e soprattutto un muro che lo tenesse a distanza dalla sua famiglia. E così facendo ha messo quel successo, quella realizzazione al primo posto. Al punto che le pressioni e le umiliazioni subite sul luogo di lavoro passavano in secondo piano al pensiero che il rapporto con la famiglia potesse di nuovo tornare a chiedergli il conto. La notizia della morte di suo fratello e il riavvicinamento a Chicago, l’incontro e il rapporto professionale che sviluppa con Sydney e poi la relazione con Claire, lo denudano. E nel discorso con lo zio alla vigilia dell’apertura del suo ristorante, precedente all’incidente in frigorifero, Carmy inizia a mettere in dubbio quella che fino a questo momento era stata la sua scala di valori e quei comportamenti che lo stanno trasformando nelle persone da cui sta scappando, sua madre in primis.
Sammy al contrario è un ragazzo ingenuo, non è un adulto che deve badare a sé stesso come Carmy. Vive la sua vita in pieno boom americano e la famiglia non gli fa mancare nulla. E il suo unico pensiero è quello di sperimentare. Replicare le storie e gli effetti speciali che vede al cinema, procurarsi i soldi per comprare la pellicola. Lo seguiamo in tutta la sua adolescenza fino alla scelta del college. Sammy cerca di capire chi è: spirito libero affascinato dall’arte come la madre ma anche preciso e instancabile come il padre. E quell’ingenuità viene inquinata dalla paura di crescere e della strada da seguire. La voglia di fare il cinema contro la sicurezza offerta dalla figura del padre ingegnere. E il discorso profetico dello zio che lo avvisa della grande verità con cui dovrà imparare a convivere se sceglierà la strada dell’arte: la solitudine.
Sammy non ne ha paura, il suo forse è più un timore che questa cosa sia sbagliata. Che dare priorità a sé stesso, risultando anche egoista, sia una mancanza di rispetto verso la sua famiglia. Se Carmy non si fa scrupoli a diventare egoista per scappare dalla sua realtà, per Sammy c’è il senso di colpa di lasciare un luogo sicuro e di diventare incompiuto come la madre.
L’ossessione per Carmy in sostanza è una fuga e diventa un ostacolo nel fargli vivere la sua vita senza paranoie. Per Sammy invece l’ossessione è il desiderio di fare la vita che vuole, accettando di scontentare il padre e convivendo con la paura di diventare come la madre. Una mente che vive nel disordine e si rifugge nel perfetto ordine delle cucine di classe, contro un’infanzia perfetta di una mente “fuori controllo”, vagante per altri mondi.
Poi ci sono i genitori. In The Bear sono la base dei traumi di Carmy. E lui come detto se ne allontana. In The Fabelmans i genitori sono due figure opposte che insegnano a Sammy un concetto loro di amore, passione e impegno. Carmy sta diventando come sua madre cercando di non esserlo e nella paura di rivivere i giorni con loro. Sammy per realizzarsi deve accettare di essere figlio di entrambi i suoi genitori. E quindi prendere il percorso artistico approcciandolo con la mentalità analitica del padre.