Ogni epoca ha i suoi Acchiappafantasmi. Correva l’anno 1984 quando il regista Ivan Reitman riusciva a coronare il suo sogno portando al cinema Ghostbusters. All’origine del progetto c’è l’attrazione dell’attore Dan Aykroyd per il paranormale e gli spettri, frutto di una lunga eredità familiare. Il progetto iniziale di Aykroyd era di farne un comico interpretato a fianco di Eddie Murphy e dell’amico John Belushi. Purtroppo la morte improvvisa di Belushi, nel marzo 1982, ha segnato un brusco stop. Ed è qui che entrano Ivan Reitman, “unico regista possibile”, e il co-interprete e co-autore Harold Ramis, che aiuterà Aykroyd a limare il suo trattamento iniziale ambientandolo nella New York contemporanea e rendendolo più realistico (e meno costoso).
Grazie alle trovate immaginifiche, ma non troppo, alla chimica tra gli interpreti, allo humor che permea la storia e all’originalità della trama, Ghostbusters si è rivelato un successo di pubblico e critica diventando il secondo incasso del 1984 e imponendosi come vero e proprio cult. La stessa sorte non è toccata al sequel, Ghostbusters 2, che Ivan Reitman ha impiegato cinque anni a realizzare senza riuscire a bissare l’exploit negli incassi dell’originale. La trilogia inizialmente prevista è rimasta incompiuta fino a quando, nel 2016, il regista Paul Feig ha deciso di metter mano alla leggenda riscrivendo un reboot al femminile. L’accoglienza è stata delle peggiori. Ben prima dell’arrivo del film in sala, le polemiche si sono riversate sul progetto e sulle sue protagoniste, vittima di haters e attacchi misogini. Adesso ci prova il figlio di Ivan Reitman, Jason, a proseguire la tradizione con Ghostbusters: Legacy, nuovo focus sugli Acchiappafantasmi in versione “aggiornata”. Diamo allora uno sguardo all’evoluzione della saga più amata dai fan attraverso le epoche.
Gli anni ’80: tra candore, seduzione e minoranze
Se il cinema rappresenta lo specchio dei tempi, gli anni ’80 si riflettono nel primo Ghostbusters in tutta la loro bonaria ingenuità condita da un pizzico di edonismo. Gli Acchiappafantasmi, magistralmente interpretati da Dan Aykroyd, Bill Murray e Harold Ramis, sono tre maschi bianchi eterosessuali. Una buddy comedy con venature soprannaturali potremmo definirla. Se Ray Stanz (Dan Aykroyd) sembra interessato unicamente a scovare ectoplasmi, il collega Peter Wenkman è il tipico donnaiolo che sfrutta la sua posizione di potere per irretire ignare fanciulle. Magistrale la sequenza subito dopo i titoli di testa che lo vede impegnato in un test sulla percezione extrasensoriale mentre dispensa scariche elettriche all’esasperato volontario maschio e bara sulle capacità dell’aitante bionda per convincerla a uscire con lui. Naturalmente i tempi non sono maturi per superare certi limiti. Lo stesso Venkman si sottrarrà ai tentativi di seduzione da parte del suo oggetto del desiderio, Dana Barrett (Sigourney Weaver), nel momento in cui è posseduta da un demone per non approfittare di lei. Perfino il distratto Egon Spengler (Harold Ramis), “cervellone” del gruppo, si lascia parzialmente andare alle avances della segretaria Janine.
Verso la metà di Ghostbusters fa la sua comparsa il quarto elemento del team, Winston Zeddermore, interpretato da Ernie Hudson. L’attore afroamericano si lamenterà spesso di aver avuto un ruolo marginale rispetto ai colleghi, ruolo che per altro non ha lanciato la sua carriera come avrebbe sperato. Winston entra nella squadra degli Acchiappafantasmi come loro dipendente. A differenza di Stanz, Venkman e Spengler, non ha titoli universitari, ma è depositario della saggezza dell’uomo della strada. Anche se Ivan Reitman gli regala alcune tra le migliori battute del film, la percezione che il personaggio di Winston sia un gradino più in basso rispetto agli altri tre permane fino al gran finale. Un po’ meglio andrà in Ghostbusters 2 in cui, quando la storia prende il via, il fallimento dell’attività di Acchiappafantasmi ha livellato i destini dei quattro colleghi.
Largo alle donne
Come ogni buddy comedy dell’epoca, la presenza femminile è garantita nel classico ruolo della damigella in difficoltà. La statuaria Sigourney Weaver tiene testa a Bill Murray con la sua presenza scenica e prova a elevare il personaggio di Dana Barrett dal ruolo della classica bella di turno chiedendo di cambiare il mestiere di Dana da modella a musicista (“_può sembrare severa, ma sai che ha un’anima perché suona il violoncello_” dirà l’attrice). A darle manforte nel tener testa al predominio maschile ci pensa la Janine di Annie Potts con la sua aria sprezzante e le sue battute al vetriolo che la rendono uno dei personaggi prediletti dai fan.
Per il capovolgimento del paradigma, però, dobbiamo attendere il 2016, anno in cui Paul Feig firma il remake al femminile di Ghostbusters con Katie Dippold. Il regista costruisce il suo remake in maniera speculare imitando anche le dinamiche dell’originale di Ivan Reitman. Kristen Wiig, Melissa McCarthy e Kate McKinnon rappresentano l’equivalente femminile di Peter, Ray e Egon, e a loro si unirà anche una dipendente della metropolitana di colore interpretata da Leslie Jones (Winston). L’ossessione di Melissa McCarthy per i fantasmi rievoca la dedizione di Ray e pur non raggiungendo i livelli di Peter Venkman, Kristen Wiig non è insensibile al fascino maschile. Anche Leslie Jones ripropone lo stesso humor schietto e spicciolo del personaggio di Ernie Hudson, mentre risulta totalmente incomprensibile la macchietta affidata a Kate McKinnon. La sua Holtz dovrebbe rappresentare l’equivalente femminile di Egon Spengler, ma il ruolo si riduce a un insieme di strani versi, balletti e scimmiottamenti accompagnati da qualche rara battuta che non riesce neppure a strappare un sorriso. Inoltre, il film ammicca al fatto che Holtz sia gay senza però avere il coraggio di prendere una posizione precisa al riguardo. Lo stesso Paul Feig confermerà l’identità sessuale del personaggio, specificando che però lo studio ha optato per non renderla esplicita. Un’altra occasione perduta.
L’operazione di rovesciamento più interessante di Ghostbusters è quella che vede il muscoloso Chris Hemsworth nel ruolo che fu della caustica Janine. Kevin/Hemsworth viene ingaggiato come segretario delle Acchiappafantasmi in virtù del suo aspetto fisico, anche se si rivela un incapace totale. La sua inettitudine, mista però a un ammirevole spirito d’iniziativa, forniscono lo spunto per le battute più divertenti del film anche se la performance comica dell’attore avrebbe potuto essere sfruttata ancora meglio. In più, a differenza del passato, il personaggio di Kevin fonde anche caratteristiche appartenute a Dana Barret nel primo film. Il suo corpo viene abitato dallo spettro dello scienziato pazzo Rowan North che lo sfrutta per scatenare l’inferno a New York. Per fortuna, Rowan ce lo restituisce integro, come lo ritroviamo nel finale, sempre più inetto e per questo irresistibile.
Dell’Omino dei Marshmellow e altri spettri
Pur conservando lo spirito irriverente dei B-movie, Ghostbusters richiese un budget elevato per via dei grandi nomi nel cast e del massiccio impiego di effetti speciali. Trovare il look adeguato delle presenze ectoplasmatiche non era una passeggiata, tanto che Richard Edlund usò parte del budget per fondare una compagnia ex novo, il Boss Film Studio, che impiegò una combinazione di effetti pratici, miniature e pupazzi per dar vita agli spettri. Il più noto tra questi, Slimer, creato in omaggio a John Belushi e membro fisso del team nella serie animata The Real Ghostbusters, richiese sei mesi e 300.000 dollari. Ma la vera e propria icona ectoplasmatica della saga è il gigantesco Omino dei Marshmellow che attraversa Manhattan evocato involontariamente da Ray. Un distruttore bianco e soffice il cui passo è stato mutuato su quello di Godzilla. Ritroveremo Marshmellow Man in Ghostbusters: Legacy. Stavolta non sarà uno solo, ma ce ne saranno tanti, minuscoli e cattivelli.
Lo scarso interesse di Ivan Reitman per gli aspetti tecnici viene ribadito in Ghostbusters 2 dove il regista lascia campo libero a Industrial Light & Magic. L’idea più visionaria è il fiume di slime rosa che corre nel sottosuolo di New York. Al ritorno di Slimer, con un design modificato per renderlo più rassicurante e amichevole, si accosta il cattivo di turno, Vigo il flagello di Carpazia, antico guerriero che esce da un dipinto con lo scopo di tornare sulla Terra incarnandosi in un neonato. Come nel caso del primo film, in cui l’antico spirito Zuul si incarna in una donna androgina dal look che occhieggia a un mix tra Grace Jones e David Bowie, anche Vigo, interpretato da Wilhel von Homburg, è uno spettro decisamente terreno, che ha qualcosa in comune con le incarnazioni più note del Conte Dracula.
Nonostante la riverenza nei confronti dell’originale, il reboot di Ghostbusters ripropone le icone Slimer, l’Omino dei Marshmellow e una miriade di altri spettri più o meno spaventosi senza riuscire a ricreare la stessa affezione da parte del pubblico. Ivan Reitman aveva creato la maggior parte delle sue creature facendo ricorso a effetti pratici, miniature e pupazzi mentre per Marshmellow Man era ricorso al classico attore dentro un costume. Con l’evoluzione della tecnologia, Paul Feig ha potuto attingere a sofisticati effetti digitali per creare figure come il gigantesco Babau che semina il terrore nel cuore della Grande Mela. Eppure, con la CGI è venuto meno il calore degli spettri ingenui, ma pieni di personalità di Reitman. A venir meno è anche la dimensione collettiva di quella che, primi due film della saga, è la missione degli Acchiappafantasmi: salvare la città, e la sua comunità, dagli spettri. Le gesta del quartetto sono seguite con attenzione dai newyorkesi e entrambi i film si concludono con un bagno di folla per i nostri eroi. Dimensione che viene completamente a mancare nel film del 2016.
Chi chiamerai? Largo ai giovani!
Dopo la feroce bocciatura al reboot, la saga di Ghostbusters torna nelle mani della famiglia Reitman. La palla passa di padre in figlio (o di nonno in nipoti, se vogliamo) con Jason Reitman intento a scrivere e dirigere il famigerato Ghostbusters 3. Al centro della storia troviamo una madre single interpretata da Carrie Coon (la seconda del franchise dopo Dana Barrett in Ghostbusters 2) che si trasferisce con i figli adolescenti in Oklahoma, nella casa del nonno, che altri non è se non Ego Spengler. Qui i ragazzini registreranno un’attività paranormale collegata in qualche modo con quanto accaduto a New York nel 1984 e dopo aver trovato la vecchia attrezzatura del nonno si improvviseranno Acchiappafantasmi per risolvere un mistero. A differenza del reboot di Paul Feig, Jason Reitman rivendica la filiazione di Ghostbusters: Legacy al glorioso passato della saga in un’operazione nostalgica che gli permette di guadagnarsi subito il sostegno dei fan. In più il film evoca il ritorno degli originali Ghostbusters. Va detto che Dan Aykroyd, Ernie Hudson, Sigourney Weaver e perfino Bill Murray compaiono in alcuni cameo anche nel reboot del 2016, ma in ruoli che hanno poco o niente a che vedere col loro passato di Acchiappafantasmi. Ma stavolta la musica è diversa. E allora, di fronte alla minaccia di vecchi e nuovi fantasmi, chi chiamerete?