La legge di Lidia Poët è la nuova produzione italiana disponibile su Netflix dal 15 febbraio. Il progetto è ispirato alla vera storia di Lidia Poët, la prima donna d’Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati. Nella serie troviamo Matilda De Angelis nei panni della giovane piemontese. La sua nomina, anche se tardiva, rappresentò un traguardo importante nella lotta per l’uguaglianza di genere. L’avvocata è uno dei maggiori esempi di protofemminismo del nostro paese.
Lidia Poët era nata a Perrero, comune della provincia di Torino il 26 agosto 1855. Dopo aver trascorso l’infanzia nel suo paese di nascita, Lidia, insieme alla famiglia, si trasferì a Pinerolo, dove il fratello maggiore Giovanni Enrico era il titolare di uno studio legale avviato. Studiò in Svizzera presso il Collegio delle Signorine di Bonneville. Tornata in Italia, dopo aver perso i genitori, studiò presso il liceo Giovanni Battista Beccaria di Mondovì dove, nel 1877 conseguì la licenza liceale.
Dopo il liceo si iscrisse alla facoltà di Medicina, diretta da Cesare Lombroso, ma ben presto Lidia decise di abbandonarla per seguire la sua passione ed iscriversi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino. A 26 anni, nel 1881, si laureò in giurisprudenza. La sua tesi di laurea era incentrata sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Dopo aver conseguito il diploma di laurea, Lidia Poët fece pratica legale a Pinerolo presso l’ufficio dell’avvocato e senatore Cesare Bertea e assistette alle sessioni dei tribunali.
Finito il praticantato, Lidia Poët superò l’esame di abilitazione alla professione forense e chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino. La sua domanda fu accolta nell’agosto del 1883 grazie al voto della maggioranza dei consiglieri. Gli avvocati Desiderato Chiaves, ex ministro dell’interno e Federico Spantigat, si dimisero per protesta.
Nel novembre del 1883, su richiesta del procuratore generale del Regno, la Corte d’Appello ordinò la cancellazione dall’Albo di Lidia, la Poët fece ricorso alla Corte di Cassazione, ma la sentenza le fu sfavorevole. La Corte dichiarò che “La donna non può esercitare l’avvocatura”. Tra le motivazioni della sentenza si leggeva che “La professione forense doveva essere qualificata come un ‘ufficio pubblico’, il che comportava una ovvia esclusione, dato che l’ammissione delle donne agli uffici pubblici doveva essere esplicitamente prevista dalla legge“. Inoltre, tra le motivazioni, c’era anche quella di carattere lessicale: “La legge unitaria sull’avvocatura era da intendersi solo per il genere maschile utilizzando il termine avvocato e mai quello di avvocata o di avvocatessa“.
Dopo la prima guerra mondiale, la legge Sacchi autorizzò le donne a entrare nei pubblici uffici, tranne che nella magistratura, nella politica e in tutti i ruoli militari. Dopo aver praticato per anni la professione forense insieme al fratello Giovanni Enrico solo di fatto, nel 1920 Lidia Poët, all’età di 65 anni, entrò nell’Ordine, divenendo ufficialmente la prima avvocata d’Italia. Nel 1922 divenne la presidente del Comitato pro voto donne di Torino. Morì a Diano Marina all’età di 94 anni.