Il postapocalittico va un casino. Sarà che viviamo nel mondo in cui viviamo, sarà che gli americani sono particolarmente a loro agio con le storie di frontiera e la maggior parte della fantascienza che guardiamo continua a essere americana, ma questa particolare sfumatura di fantascienza ha avuto grandissima fortuna. Perfino Virzì l’anno scorso ha fatto un post-apocalittico! In questo panorama sovraffollato, c’è un prodotto che si è imposto su tutti gli altri come il miglior postapocalittico di sempre: The Last Of Us.
Il più prezioso
Parlo del videogioco del 2013 e dei suoi svariati aggiornamenti (perché della serie ho visto solo gli episodi andati in onda). È il miglior prodotto su schermo e su carta. Un’affermazione assoluta e come tale intrinsecamente scivolosa (e sì, ovviamente, il migliore secondo me), ma la faccio con piacere e nel farla mi sorprende e mi delizia che un videogioco abbia questo primato. Questo vuol dire che per me The Last Of Us è più prezioso di The Road, un romanzo di un grandissimo romanziere americano come Cormac McCarthy, più prezioso di un fumetto chiave del genere come The Walking Dead e più prezioso di quel capolavoro del cinema d’azione che è Mad Max: Fury Road. Insomma, che sia il miglior esito che l’ambientazione post-apocalittica ha avuto. Non capita spesso di poter fare un’affermazione simile ma il maledetto The Last Of Us, per dirla con parole poetiche, è solido in tutti i reparti e realizza ad ampio spettro le potenzialità del genere. È una gran bella esperienza di gioco, con una gran bella storia e una gran bella art direction, minimale ed elegante. E come se non bastasse ha anche…
Zombi fungo
Gli zombi non fanno più paura a nessuno. Sono sempre gli stessi cadaveri, scattanti o ciondolanti a piacere, a meno che non li si pompi a dismisura come quelli di Resident Evil (ma a quel punto, dal dobermann scarnificato all’abominio mutante alto venti piani, vale tutto e a maggior ragione aver a che fare con uno zombi semplice diventa quasi un sollievo). Gli zombi hanno voce in capitolo solo perché sono tanti e si impongono con i numeri e con la loro attitudine poco dialogica. A volte si trasformano in ondate di brutta CGI. Per definizione non sono carismatici.
TLOU ribalta tutto grazie ai clicker, che fanno uno spavento terribile e specialmente rubano la scena come niente altro (a onor del vero, quelli del gioco più di quelli della serie). Non guasta infine che negli ultimi anni il new weird sia diventato molto di moda e le formazioni funghescenti provocate dal Cordyceps si prestano perfettamente a degli affreschi organici che starebbero bene in qualsiasi Area X.
Dialoghi
I dialoghi tra Joel ed Ellie sono scritti bene. Benissimo. Sembra che dietro ci sia l’adattamento di un romanzo e invece è tutta decima arte. Non c’è molto altro da dire, se non dare la parola ai diretti interessati: “Là a Boston, quando mi hanno morsa, non ero sola. C’era anche la mia migliore amica ed è stata morsa anche lei. Non sapevamo cosa fare, e allora… lei ha detto: ‘Aspettiamo e basta. Possiamo rendere tutto poetico e perdere la testa insieme.’ Sto ancora aspettando il mio turno”.
Normalità
Il protagonista, Joel, è una persona normale. Con capacità normali. Specialmente se si gioca alla massima difficoltà, la sensazione è che sia a malapena all’altezza delle circostanze (d’accordo, forse un po’ meno quando si arriva all’ultima sequenza di combattimento). Questa sua normalità, difesa e tutelata durante il corso dell’intera storia, è fondamentale nel dare realismo e profondità alla psicologia di Joel e coerenza al senso di inadeguatezza che si porta dietro dopo gli eventi del prologo.
Distopia 10 e lode
Distopia è un’altra di quelle parole che sembrava dovesse sostituire fantascienza (e forse ancora ce la fa). The Last Of Us gode di una distopia semplice e ben fatta. Ci mostra un tessuto sociale così deteriorato, e in modo così capillare, da sembrare vero. I rapporti umani sono la conseguenza naturale di ciò che è successo, quasi mai forzati per amore di allegoria. E le istituzioni? Il governo fa strage di civili perché è meglio così, senza mezze misure. Non perde tempo a organizzare arene barocche tra adolescenti o a classificare i cittadini in base a caste astruse che impediscono agli adolescenti (sempre loro) di amarsi. Semplicemente allinea la gente davanti a un fosso e la fucila, perché in troppi non ce la caviamo.
Interattività
Il medium videoludico è sfruttato nel modo migliore possibile. L’interattività del gioco lavora direttamente per aumentare l’investimento emotivo nella vicenda. La fatica estrema che facciamo per proteggere Ellie da uomini e funghi, e l’impegno che ci mettiamo per aiutarla a crescere, sono la benzina che va ad alimentare il nostro affetto nei suoi confronti ed è ciò che rende così devastante il finale. L’interattività è parte integrante del percorso emotivo che facciamo. Senza fare spoiler, vedremo come se la caverà la serie ma, a giudicare dal carisma di Pedro Pascal e Bella Ramsey (e specialmente dai commenti di quelli che l’hanno già vista tutta) dovremmo essere in una botte di ferro.
Survival
The Last Of Us è un survival. È un survival strategico, che costringe il giocatore a valutare sempre il rapporto tra gli oggetti che sta usando e i risultati che otterrà, ma è anche un survival emotivo, che parla di quanto sia difficile conservare i sentimenti in un contesto di estrema scarsità. Questo tipo di perfetta sovrapposizione tra meccaniche di gioco e tema è ciò che rende l’esperienza potente e precisa come un colpo di fucile di precisione.
Musiche
Last but not least, le musiche. L’ennesima scelta azzeccata di un’art direction in stato di grazia, la colonna sonora di Gustavo Santaloalla, minimalista e dissonante ma allo stesso tempo emotivamente molto carica, è semplicemente perfetta per l’occasione. E la musica è una di quelle cose di cui non si può fare a meno. Come un buon cattivo. E anche il cattivo, in The Last Of Us, è il migliore possibile. Il che ci porta al…
Finale travolgente
Di cui non dirò niente perché insomma, no spoiler. Ma chi ci è arrivato lo sa, il finale da solo vale l’esperienza. Potrei andare avanti, ma direi che va bene così. Con queste premesse sbagliare l’adattamento televisivo sarebbe stato davvero difficile, ma per fortuna non è andata così e anzi, sorprese come il terzo episodio ci hanno solo confermato che la serie HBO ha saputo sfruttare i punti di forza del medium televisivo. Primo tra tutti, sembrerebbe, la maggiore libertà di focus sui personaggi. La libertà che ha la serie, e non ha il videogioco, di abbandonare temporaneamente i protagonisti, crea potenzialità enormi e non sembra aver paura di coglierle (adesso, figuriamoci nella Part II). Questo dovrebbe farci anche riflettere su quanto, in questo momento, i vincoli al punto di vista siano uno dei limiti fondamentali dei videogiochi dal punto di vista narrativo. Ma come si dice, prendiamoci il buono. O l’ottimo, in questo caso. Look for the light.
Simone Laudiero è scrittore e sceneggiatore. Nel 2010 ha fondato La Buoncostume. Tra i suoi romanzi: la trilogia de L’accademia dei supereroi (Il battello a vapore), la saga de Gli eroi perduti (Piemme), Killer Gamer (Il battello a vapore) oltre a Millennials – Il mondo nuovo (Mondadori) e Furioso – L’ultimo canto (Mondadori) con la Buoncostume. Ha collaborato con Khaby Lame nella stesura di Il diario di Khaby. Come sceneggiatore ha scritto Camera Cafè (Italia 1 e Rai Due), Kubrick – Una storia porno e Klondike (You Tube), Il candidato (Rai Tre). Presso la scuola Holden tiene il corso Scrivere l’avventura. www.simonelaudiero.it
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