L’uscita di Giurato numero 2, nelle sale italiane il 14 novembre per Warner Bros. Pictures, segna il ritorno dietro la macchina da presa dell’ineguagliabile Clint Eastwood. Alla veneranda età di 94 anni, il regista americano torna sul grande schermo con un nuovo dramma: dopo Cry Macho, il cinque volte Premio Oscar racconta una storia di giustizia legale e umana in cui tornano a dominare la scena alcuni temi fondanti della sua filmografia. Che si tratti di nuovi spettatori o di fan di lungo corso, è evidente che a parlare oltre le immagini siano spesso le sensazioni celate sotto la superficie. Il cinema di Eastwood è disseminato di perle brillanti, tanto dure da scalfire quanto sensibili al loro interno: “vere” storie americane in cui il protagonista si rivela spesso il senso di colpa che sfianca i personaggi fino all’ultima inquadratura.
ll dilemma etico e morale di Justin Kemp (Nicholas Hoult), un padre di famiglia che presta servizio come giurato durante un processo per omicidio, si inserisce alla perfezione in una corrente tematica molto cara al regista. L’America di Eastwood è cambiata insieme ai suoi film: ciò che un tempo avrebbe favorito uno slancio di puro orgoglio, oggi lascia spazio a un’introspezione profonda da cui è difficile uscire illesi. Non è un caso che lo stesso Clint, avvicinandosi passo dopo passo alla fine di un percorso lungo oltre sessant’anni, si conceda sempre più spesso a riflessioni che oltrepassano i confini dell’opera e si affacciano direttamente allo spettatore. Le icone del suo cinema, nato da quegli antieroi divenuti cult, sono da molti considerate “imperdonabili”: c’è qualcosa di superiore che aleggia fra i personaggi, dannandoli con un dolore che colpisce e affascina come la prima volta.
Lo sguardo dei dannati in un’America che cambia
Un autore di questo calibro avrebbe tranquillamente potuto crogiolarsi nella spettacolarità del suo cinema più imponente, ma da anni appare evidente la necessità del regista di guardarsi dentro. Probabilmente non sarebbe folle considerare la condizione umana come la più grande fascinazione della maturità di Eastwood: l’alternarsi di drammi in cui la moralità si scontra con i codici sociali e le pene interiori si è fatto predominante per diversi anni della sua cinematografia. Già Gli Spietati (1992) apriva la strada a temi cardine come il senso di colpa, esplorando le derive morali e politiche dell’uomo americano attraverso il ribaltamento delle prospettive. Un elemento che, in modo quasi analogo, si è poi fatto dominante anche in Gran Torino (2008).
Quando l’introspezione si fa maggiore, guarda caso, è sempre lo stesso Eastwood a tornare davanti la macchina da presa. Quasi spinto da una missione personale, da un moto d’orgoglio e responsabilità, il regista si rifà attore per farsi carico di quel peso enorme, lasciando che il dramma e il conflitto passino attraverso di lui per raggiungere gli occhi di chi osserva. Lui può farcela, lui è il duro, ed è proprio per questo che la sua figura si fa essenziale anche in film recenti: Eastwood decostruisce la sua stessa icona, permeandola di un senso di colpa che forse corrisponde alla sua vita, ma che permette allo spettatore di comprendere le sfumature più sottili del dolore. Così Gran Torino diventa un racconto di istinti e legami fragili, mentre The Mule (2018) si fa pura biografia – quasi testamento.
L’uomo e la sua condizione
L’idea di porre il pubblico di fronte alla fatica di una scelta puramente etica si è fatta quasi abitudine nel cinema eastwoodiano. Nel cuore di quel conflitto albergano contrasti enormi che tratteggiano con maestria la meravigliosa tragicità della condizione umana. Nel cinema di Clint il grigio è interiorizzato: quella colpa che si attacca ai protagonisti sfiora confini metafisici, abbracciando l’idea dei dannati in un mondo di peccatori – e di altrettanti peccati da espiare attraverso un castigo superiore. Non si tratta di una speculazione: attraverso i suoi “imperdonabili” Clint Eastwood ha compiuto un lungo processo di espiazione, accettando l’idea del sacrificio come atto purificatore.
Proprio qui torna quel senso di responsabilità che dominava la scena in film come Un mondo perfetto (1993) e Changeling (2008). La colpa, ormai interiorizzata, trova un veicolo espressivo attraverso parabole sociali più americane che mai in cui il regista non ha paura di mostrare le incongruenze e le ombre di un paese soverchiato dall’incomunicabilità tipica della società contemporanea. Mystic River (2003), che con Giurato numero 2 condivide lo stesso taglio stilistico e gelido, partiva da questo concetto per spaccare l’America tra giudici e carnefici – un riferimento giuridico tutt’altro che casuale. Cogliendo il senso più profondo del Cinema di maestri come Leone e Siegel, Clint Eastwood ha creato il prototipo del moderno eroe tragico, l’altra faccia del valore. Piccoli frammenti di storia del cinema che, nello spirito più puro della Settima Arte, vagano da una storia all’altra cercando la verità.
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